rivista anarchica
anno 39 n. 348
novembre 2009


racconto

Il ritorno delle donne salmone
ovvero: il sogno astratto del no choice

di Dada Knorr
disegni di Patrizia “Pralina” Diamante

 

La vita scorre così... da bambina ti vestono di rosa. Sei buona. Sei brava. Nessuno ancora ti dice di più ed i discorsi dei grandi non ti si rivolgono ancora. Poi, a scuola, iniziano a raccontarti quel che accadrà quando sarà il momento di deporre le uova. Ma non vi sono immagini di questo momento troppo intimo e importante. Solo parole.
”Prenditi cura di te”, ti dicono, perché presto anche tu potrai metter a frutto le tue virtù di donna, e ne sarai orgogliosa.
Tutto inizia col corteggiamento e la fecondazione, un tempo non erano fusi in un unico argomento. Ora, grazie alle nostre qualità morali e alla scienza, non c’è più quello che allora chiamavano, con termini veramente sciocchi, “l’atto sessuale”. In realtà, quell’insieme di pratiche e tentativi coi quali la coppia cercava un fugace godimento, dovuto allo sfregamento ed all’affluire del sangue negli organi, diciamo, preposti a questo rapporto.

No, ora il piacere è totale, dovuto alla lunga e meticolosa immersione nelle vasche battesimali primarie, presenti nelle nostre Chiese, accanto a quelle tradizionali, adesso chiamate “secondarie”.
La fecondazione, guidata da salde mani maschili, avviene per immersione in un liquido che provoca anche un intenso piacevole stordimento, maggiore anche di quello cui molti e molte ricorrono per vie non legali.
Cosa accade poi? Quale istinto ci spinge a ritrovare la via della nostra vera casa, che è poi quella della perpetuazione della razza? E qui non intendo certo il pesce, ma la razza come specie umana caratteristica.
Dopo pochi mesi sentiamo la voglia, e la gioia, di incamminarci sulla strada di Maria, quella che è segnalata da tutte le città, dai più piccoli paesi e dalle più sperdute località, spesso ornata di fiori finti o veri, di rose, di fiocchi azzurri e bianchi, di grandi M puntute e luminose e di grandi ceri, di piccole candele.
Quella strada che da ogni luogo giunge a Roma.
Tutte, anche quelle che non sopravviveranno, o quelle che sentono di dover partorire un essere dal triste destino, si mettono passo dopo passo sulla strada di Maria, miglia dopo miglia, camminando volenterose e corrette, senza mai tentare sorpassi, in modo da far marciare le colonne veloci e senza intoppi.
A volte solo centinaia, a volte migliaia, a causa della sincronia della volontà fertilizzatrice, ci incontriamo sulla strada e spesso cantiamo, ci scambiamo ricette, schemi per golfini. Ed anche la società civile partecipa a questo che possiamo definire un pellegrinaggio dell’utero. Lo fa organizzando brevi soste, con riprese televisive, e le disfide dette delle “Amiche”, nelle quali giocosamente ci mettono l’una contro l’altra e ci danno modo di dare saggio delle nostre capacità, anche quelle più mondane.
Spesso la notte camminiamo comunque, spinte dall’istinto e capaci di sentire la strada verso il Santo Padre distinguendola anche tra mille, come se ne assaggiassimo il sapore e sapessimo qual’è la differenza tra l’acqua di mare, salmastra e amara, quella della solitudine e della vanità, e la dolce acqua che ci aspetta. A volte proprio di notte alcune non riescono a sventare i pericoli, pace all’anima loro.
Ma la maggior parte di noi giunge. Al Sacro Ovario ci aspettano sacerdoti di tutte le età rivestiti coi paramenti sacri di colore rosso e bianco.
Sono loro che badano, a debita distanza, che prese dall’allucinazione noi si dia luogo al rito finale, la deposizione delle uova, compiuta nel più assoluto silenzio e dopo giorni di cammino e di digiuno.
Nel largo anfiteatro rivestito di marmi neri, rosa, grigiastri, screziati di verde, ci denudiamo e deponiamo ognuna centinaia di uova fecondate, immergendoci nell’acqua. Già, mentre calano sul fondo, dal guscio traslucido e viscido piccoli volti pensosi si possono intravedere.
Ci abbandoniamo poi, fiduciose e stremate, provando una strana sensazione di vuoto. Cosa accada poi non so. I sacerdoti dicono che le salme si sciolgono in acqua come fiori appassiti in uno stagno.
Nuovi figli e figlie si avviano verso le colonie infantili dopo qualche mese, camminando mano nella mano, sotto il bianco colonnato, col sole di fronte in una Roma assonnata. Le oblate li accompagnano, persone private di quelle funzioni organiche e di volontà propria, sorridenti per aver compiuto il sommo sacrificio per un più alto servizio: l’educazione dei bimbi.
Ora e sempre.
Il futuro comincia e comincia e comincia. Già da prima, e da ancora prima, sin dall’inizio. Prima che ci fosse un suono nell’universo, c’era la paura della morte. Prima che ogni ellissi roteasse, c’era il potere sulle donne.

Dada Knorr
Dedicato a Superquark