rivista anarchica
anno 39 n. 348
novembre 2009


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

Categorie in transito:
dal maschile al femminile

 

1. Quando si parla in certi termini di certe cose mi viene in mente quel raccontino di Gianni Rodari sulla famiglia e sulle gerarchie che dovrebbero caratterizzarla.
C’è quello che domanda ad una bambina: “Chi comanda in casa ?”, e siccome quella non risponde insiste: Allora? Me lo dici, Chi comanda?, Non sai cosa significa comandare? Sì che lo sa. E allora ? Lei non risponde e lui si arrabbia. Allora lei scappa via di corsa e quando è ben lontana gli tira fuori la lingua e gli grida: “Non comanda nessuno, perché ci vogliamo bene”.

2. L’ora delle ragazze alfa non si discosta granché dalla via intrapresa da Valeria Palumbo allorché, nel 2003, scrisse Prestami il volto – passando, poi, per Lo sguardo di Matidia, Le donne di Alessandro Magno, Donne di piacere, La perfidia delle donne, Svestite da uomo e Le figlie di Lilith. Palumbo analizza biografie femminili. Di solito – siano modelle, matrone romane, attrici agli albori del cinema, travestite da uomini per poter ottenere gli stessi diritti al sapere, professioniste della rovina maschile o della rovina propria – le sceglie significative, sintomatiche – di un mutamento sociale in atto, di un mutamento sociale prossimo venturo. Restando, peraltro, in lei, la consapevolezza che è difficile trarre regole generali dal caso singolo.

3. Regola generale indubbia, però, resta quella sul modo con cui, in genere, vengono distribuiti i poteri fra i generi. Storia vuole che ai maschi ne tocchi una parte preponderante e che alla femmina ne tocchi pochino e, quando c’è, piuttosto peloso. A coprire – giustificare – questa diseguale distribuzione dei poteri, come è noto, ci hanno pensato in tanti – alcune istituzioni – si veda la Chiesa – quasi non hanno pensato ad altro. È così che, nei grovigli di quelle biografie, emergono i pregiudizi delle rispettive epoche: donne infide e avvelenatrici, donne demoniache, donne assatanate sessualmente, donne inferiori mentalmente, donne con il cervello diverso – donne che possono essere innalzate alla dignità del maschio solo e soltanto – lo dice San Tommaso d’Aquino – in virtù di astinenza e vedovanza, prima l’una e meglio, se c’è, anche l’altra.

4. L’illuministica epoca moderna diciamo che inizia con qualche contraddizione. Datata al 1789, quando la rivoluzione francese è ancora una speranza per l’umanità intera, è la Dichiarazione dei Diritti dell’uomo e del cittadino, ma chi pensasse che in quel titolo la parola “uomo” designasse davvero tutti gli umani nessuno escluso ne verrebbe deluso. Non a caso, allora, nel 1791, Olympe De Gouge, pubblica una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che le farà perdere letteralmente la testa. Sotto la ghigliottina. Non solo, nel 1795, la Francia post-rivoluzionaria vieterà le assemblee femminili – con una delibera che prelude a quelle di alcune amministrazioni comunali dei nostri giorni: non più di cinque donne, non più di tre extracomunitari.

5. Nonostante il Nietzsche di Così parlò Zarathustra ritenga ancora che l’uomo deve essere educato alla guerra e la donna al conforto del guerriero (Palumbo non casca nelle trappole delle letture “di sinistra” dei pensatori di destra), e nonostante tutti i suoi autoritarismi, il Novecento è un secolo in cui, qua e là, si creano opportunità diverse, percorsi in grazia dei quali, per alcune donne non solo c’è qualche accesso alle arti e alle scienze, ma anche a ruoli rigorosamente maschili – si pensi al direttore d’orchestra e al magistrato. Passi avanti – quando ci sono davvero – che, tuttavia, non mettono granché in discussione l’istituzione familiare (“famulus” è il servo, la famiglia è una totalità di schiavi appartenenti ad un uomo) e, soprattutto, non preludono in alcun modo alla sua eliminazione “in quanto unità economica della società”, così come, sotto forma di condizione essenziale, era stato dettato da Marx ai fini dell’emancipazione femminile.

6. Su questo versante del dare e dell’avere nella contabilità storica dei generi, i libri di Valeria Palumbo sono passi in avanti. Netti e inequivocabili. Tranne in un caso che concerne proprio quest’ultimo suo libro L’ora delle ragazze alfa, libro che – palesemente, in grande evidenza nel titolo – contiene un elemento subdolo che, a mio avviso, andrebbe eliminato. Per capirne il perché, tuttavia, sarà bene ricostruirne la genealogia.

  1. Negli anni Quaranta del secolo scorso, gli etologi cominciano a studiare la vita sociale dei lupi e, per descriverne le gerarchie interne, utilizzano il concetto di maschio alfa, o maschio alfa dominante.
  2. Ben presto, il termine viene utilizzato per descrivere situazioni analoghe per la vita di altri animali – dai più ovvi scimpanzé ai meno ovvi avvoltoi – perfino a proposito di alcune specie di farfalle.
  3. Nel 1970, David Mech pubblica The wolf: the ecology and behavior of an endangered species (Doubleday Publishing Co., New York) e, grazie alle sue numerose traduzioni, diffonde in ogni angolo del mondo l’idea del maschio alfa.
  4. Si forma dunque il brodo di cultura idoneo affinché il termine venga metaforizzato per designare l’uomo di potere.
  5. Tra il 1970 e il 2005, tuttavia, la ricerca etologica sui lupi prosegue e le osservazioni si moltiplicano. Emerge che la situazione non è più chiara come sembrava a prima vista. Da un lato, sembra che in certi branchi “artificiali” (come quelli che si formano nei parchi protetti), sia la femmina che ha messo su famiglia a svolgere un ruolo che potrebbe essere definito di “alpha female”; dall’altro, sembra che, in circostanze più “naturali”, spesso, sia una coppia di lupi – maschio e femmina – ad assumere tale ruolo nei confronti del branco. Tutto ciò ha comunque indotto David Mech a scusarsi per il precedente spaccio di certezze e gli etologi in genere a rinunciare alla categorizzazione divenuta, ormai, “scientificamente inaccurata”. Oggi, pertanto, si preferisce parlare di “breeding male and female” – rinunciando, pertanto, al concetto di singolo e di coppia dominante per designare, più semplicemente, la coppia che ha messo su famiglia, ovverossia l’insieme costituito da un padre e da una madre.

7. Direi che c’è più di un motivo per rinunciare alla categoria di “alfa dominante” – si riferisca essa a maschi o a femmine. Innanzitutto, va detto che non tutte le gerarchie implicano una sottomissione lineare (A su tutti). Di solito, le gerarchie sono elastiche e contraddittorie (A su B e C, ma D su A). È il caso delle galline – e degli esseri umani. Poi, va detto anche che le gerarchie cambiano in rapporto ai contesti (natura, zoo, etc.) e che le gerarchie cambiano con il tempo (mobbing, ascensori sociali vari). Non solo. Resta il fatto che certe categorie diagnostiche interagiscono con il soggetto cui si riferiscono. Come dire che se qualcuno vien descritto come “alfa dominante” da qualcun altro e se viene a saperlo
tenderà a modificare il proprio comportamento conformandolo alla descrizione.
Il titolo del libro di Valeria Palumbo, allora, resuscita una metafora se non morta almeno moribonda. Ne promuove l’uso e il retroterra ideologico che l’ha originato. E, soprattutto, sembra suggerire come rivoluzionaria una soluzione che, invece, riproduce la medesima asimmetria sociale che l’ha scatenata. Capovolgendone il senso, ma lasciandola intatta.

Felice Accame

Note
L’ora delle ragazze alfa di Valeria Palumbo è pubblicato da Fermento, a Roma nel 2009. Buona parte delle informazioni relative al cambio di atteggiamento nei confronti del concetto di “maschio alfa” le devo alla mia amica Carola Catenacci. Le ricerche sui lupi pubblicate tra il 1944 e il 1947 sono quelle di A. Murie e R. Schenkel. Il “pentimento” di Mech è recuperabile in Youtube.