rivista anarchica
anno 39 n. 349
dicembre 2009-gennaio 2010


Italia

Una situazione grave, molto grave
di Antonio Cardella

Viviamo in un contesto che sembra avere smarrito ogni senso della misura, con un’opinione pubblica indifferente allo stravolgimento delle regole più elementari di una civile convivenza.

 

È certo che attraversiamo tempi bui, che viviamo in un contesto che sembra avere smarrito ogni senso della misura, con un’opinione pubblica indifferente allo stravolgimento delle regole più elementari di una civile convivenza, insensibile persino alla violenza di un regime che riduce drasticamente gli spazi di libertà ed eleva a sistema la tutela dei privilegi più indecenti. Insomma un sistema di potere che ha trasformato la società italiana in una sorta di metastasi cancerosa in un contesto internazionale che, se non è certo esaltante, almeno non ha perso del tutto il senso della decenza.
Ecco il punto: l’Italia, attualmente, per il governo che esprime e per la maggioranza che lo sostiene, è un paese impresentabile, indecente, appunto.
Questa constatazione, difficilmente contestabile, pone anche a noi anarchici problemi che vanno al di là dell’indignazione sacrosanta per le leggi liberticide, spesso odiose e profondamente amorali, che il nostro parlamento quasi quotidianamente emette. Pone, questa constatazione, a noi anarchici, soprattutto l’esigenza di riprendere il filo di un discorso politico a tutto tondo, che affondi le sue radici sullo stato di salute assai precario di una comunità, quella di lingua italiana, affascinata, almeno nella sua maggioranza, dagli exploit di un ricco cialtrone, afflitto da severe devianze, che personifica le caratteristiche di un dittatorello a metà strada tra la volgarità di un crapulone da farsa e il protagonista di un racconto mal riuscito del marchese de Sade.
Quello che voglio dire è che il vulnus principale del nostro vivere quotidiano non è costituito soltanto da Berlusconi ma da tutto un contesto che consente l’emersione di un personaggio come lui e che di lui imita i tratti.
È di questo che dobbiamo occuparci, visto che destra e sinistra dello schieramento politico italiano siedono alla stessa tavola e, al di là di qualche timida riserva su alcune portate, mostrano di gradire tutto il resto.

Il vizietto degli italiani

Così il compito degli anarchici o, almeno, il loro compito prioritario, è quello assai difficile di ricostituire un tessuto civile, prima ancora che sociale, nel quale l’individuo sia permeabile almeno al buon senso, ad una visione non distorta della convivenza, convenendo che esistono valori, non ideologici né cristallizzati, senza i quali qualsiasi forma di aggregazione non barbarica è impossibile.
E questo perché nella comunità italiana si vanno consolidando convinzioni assai pericolose, non nuove nella storia del nostro tormentato paese e che hanno sempre costituito preludio per svolte dittatoriali di incalcolabili conseguenze.
La prima di queste convinzioni, ancora non espressa esplicitamente ma largamente praticata, è che il potere politico non debba avere confini e che chi lo detiene non debba essere ostacolato da vincoli o controlli di sorta. E si tenta di legittimare questa concezione da profondo Medio Evo con la distorta interpretazione dell’investitura popolare, quasi che un esito elettorale, personalizzato contro ogni dettato costituzionale, possa porre il “monarca eletto” al di sopra di ogni regola morale o giuridica.
Nel porsi come si pone, e al di là delle sue affermazioni più grottesche, Berlusconi vellica il vizietto di larga parte della società italiana (borghese e non) di rispettare le regole solo se sono compatibili con i propri interessi e le proprie vocazioni comportamentali, nell’esaltazione di un’egoistica concezione della libertà individuale che confina spesso con la legittimazione dell’arbitrio e della violenza.
È superfluo sottolineare che questa distorta concezione della convivenza sia alla base di quanto di più odioso rivela oggi la società italiana. In prima istanza il razzismo che caratterizza non soltanto i rapporti con gli immigrati che premono ai nostri confini ma anche con connazionali che popolano le regioni del Mezzogiorno e che, per esigenze di sopravvivenza, sono costretti ad abbandonare le loro case e i loro affetti per cercare fortuna altrove.
Poi la violenza generalizzata contro tutti coloro che disturbano il perbenismo di facciata di una borghesia ignorante e sonnolenta, incapace di leggere correttamente le emergenze di un mondo che una globalizzazione non controllata ha trasformato in una gigantesca arena di conflitti. Così si inasprisce il livore contro coloro che disturbano la nostra quiete (reale o presunta che sia), contro i diversi di pelle, gli omosessuali, gli zingari e i poveri che, espulsi dal lavoro e dai consumi, popolano sempre più numerosi le periferie delle nostre metropoli.

Ma gli anarchici sottovalutano?

Se questa è la deriva che ha imboccato la società italiana, a noi anarchici si pone il problema di sgombrare il campo da distinguo e incertezze che hanno sin qui prevalso nel nostro dibattito.
Siamo d’accordo: noi siamo contro ogni potere e ci sono indifferenti le sorti delle istituzioni, ma, in una situazione come quella attuale, queste affermazioni di principio equivalgono all’abbaiare alla luna.
Non si tratta ormai di marcare la nostra estraneità ad un assetto politico riconoscibile e strutturato secondo regole coerenti. Si tratta di affrontare un regime autoreferenziale che pretende di ridurci in schiavitù con l’intimidazione e con la violenza. La crescita esponenziale delle manifestazioni di xenofobia, di omofobia e di intolleranza verso ogni forma di dissenso prefigurano scenari di neonazismo impressionanti. Neppure il fascismo era andato tanto oltre nel ridurre ad encefalogramma piatto le capacità di un popolo già di per sé non reattivo e irrazionalmente scettico.
Nella Germania di Hitler, più ancora che nell’Italia di Mussolini, la pressione intimidatrice del regime represse ogni forma di opposizione e indusse a severa autocensura quelle poche voci critiche che ancora resistevano. Ne nacque quella mostruosa macchina di oppressione e di violenza che fu il nazismo, fonte di una tragedia mondiale di cui ancora non si sono rimarginate tutte le ferite.
Contro il fascismo, che del nazismo costituì relativamente la culla, i nostri compagni (e maestri) di allora elevarono le barricate. Cercarono alleanze con quelle forze che, pur non essendo anarchiche, nutrivano aspirazioni libertarie e antifasciste. Camillo Berneri intrattenne rapporti con gli esponenti principali di un antifascismo intransigente: Carlo e Nello Rosselli di Giustizia e Libertà, con i quali finì col condividere l’esilio a Parigi, e il Piero Gobetti di Rivoluzione Liberale, che, sul versante di una democrazia liberale, osteggiò senza riserve l’avvento e il consolidamento del regime.
Ho la sensazione che il movimento anarchico italiano nel suo complesso sottovaluti la gravità della situazione attuale. Sono convinto che il degrado politico-giuridico del sistema, sempre più colluso con la criminalità organizzata, indulgente con le arroganze dei potenti e indifferente verso le sorti di chi stenta a campare, non sia stato finora un segnale sufficiente per elevare il nostro livello di guardia. Le ronde, le squadracce che bastonano gli omosessuali, lo scempio della dignità della donna, avvilita e offesa dall’immagine che di essa traspare nei mezzi di informazione e di intrattenimento e poi ancora il degrado ambientale aggravato per offrire sponde alla speculazione e al malaffare, questi fatti ed altri che potremmo continuare ad elencare sono sintomi di una malattia profonda dell’intera società italiana, che rischia di rimanere preda arrendevole del primo capopopolo che promette ordine ed efficienza.
Come tutti sanno, non sarebbe la prima volta che una svolta del genere coinvolge il Paese.

Rompere l’isolamento

Io credo che alcuni di noi non condividano questo quadro allarmante della situazione italiana. Si pensa che Berlusconi sia un uomo come tutti gli altri e che, come tutti gli altri uomini, compia a parabola il suo percorso e sia già in fase discendente. Ciò che rimarrà – si dice – sarà una democrazia oligarchica, inserita in un contesto internazionale che, bene o male, ne regolerà i ritmi di sviluppo in un sistema di regole condivise.
Io, invece, sono convinto che la deriva autoritaria nel nostro paese sia destinata a durare, anche per la disfatta delle forze (potenzialmente) d’opposizione, incapaci non solo di arginare lo strapotere dell’attuale maggioranza, ma anche di riuscire a coinvolgere i propri elettori in un progetto politico credibile.
A noi anarchici – secondo la mia visione della situazione – incombe l’onere, intanto di elevare, e di molto, il livello della militanza antifascista, poi di aprire le nostre sedi a dibattiti pubblici sui problemi complessivi della società, primo fra tutti quello di sgomberare il campo da uomini e politiche che sono all’origine di tutti i nostri guai.
È chiaro che è un compito che richiede il contributo di altre forze, di soggetti di estrazione diversa dalla nostra ma non incompatibile con alcune delle nostre istanze. Dobbiamo, quindi, rompere l’isolamento e dissipare le diffidenze che si nutrono nei nostri riguardi, nella consapevolezza che vi sono donne ed uomini che avvertono i nostri stessi disagi e che, sino adesso – molto per colpa nostra – non ci hanno incrociato.
Per raggiungere questi obiettivi (minimi), è necessario (e urgente) rafforzare lo stato dei nostri assetti organizzativi, i soli ad essere in grado di offrirci una visibilità non episodica (e spesso malevolmente folklorica) e un megafono che faccia giungere la nostra voce in ogni angolo della Penisola.

Antonio Cardella