rivista anarchica
anno 40 n. 350
febbraio 2010


lavoro

Sicurezza sul lavoro?
di Fabrizio Dentini

Riflessioni sul rapporto fra individuo e sicurezza sociale. il ruolo della medicina del lavoro.

“La mia libertà termina dove inizia quella del mio prossimo”. Con un adagio simile Voltaire, illuminista francese del XVIII secolo, descriveva efficacemente l’unico limite che può essere posto all’esercizio delle libertà individuali. Ho il diritto sacrosanto di disporre della mia libertà, per farci ciò che mi aggrada, sino a quando il mio agire non arreca danneggiamenti al prossimo. Questo assioma è pacificamente condivisibile e diventato nei secoli parte integrante della concezione pubblica in merito a che limiti si possano e si debbano imporre al singolo individuo sulla base del benessere della collettività. Vediamo allora come questo insegnamento viene recepito dai nostri politici e trasformato in legge nel campo delle attività compiute per diminuire uno dei principali flagelli che strazia la società italiana: gli infortuni e le morti sul lavoro, in particolare, nelle loro concause relative all’abuso di alcolici e stupefacenti.
Il comma 4, dell’art. 41 del D.Lgs Testo Unico sulla sicurezza 81/2008, ha stabilito che: “Nei casi ed alle condizioni previste dall’ordinamento, le visite mediche preventive, periodiche, di cambio di mansione, richieste da lavoratori o di cessazione del rapporto di lavoro, sono altresì finalizzate alla verifica di assenza di condizioni di alcol dipendenza e di assunzione di sostanze psicotrope e stupefacenti”. Il medico competente, sulla base delle risultanze delle visite esprime uno dei seguenti giudizi relativi alla mansione specifica: idoneità, idoneità parziale, (temporanea o permanente), con prescrizioni o limitazioni, inidoneità temporanea, inidoneità permanente. Il lavoratore trovato positivo ai test verrà, a seconda dei casi ammonito, spostato di mansione, indirizzato all’aspettativa, a valutazioni di idoneità e comunque a un percorso di educazione, cura o disintossicazione presso i SERT. Terminato il periodo in cura presso gli enti, il lavoratore viene rinviato al medico del lavoro che esegue di nuovo il test. Qualora risulti ancora positivo non avviene il licenziamento, ma l’esonero definitivo dalle mansioni che mettono a rischio la salute di terze persone, in caso contrario si può tornare al proprio lavoro.

Il ruolo dei sindacati

La norma prevede insomma un controllo sui lavoratori che svolgono mansioni considerate a rischio: nello specifico si tratta soprattutto delle attività di trasporto marittimo, ferroviario, aereo e su gomma, come i conducenti di veicoli stradali per i quali è richiesto il possesso della patente di guida categoria C, D, E, quelli per i quali è richiesto il certificato di abilitazione professionale, taxi o veicoli in servizio di noleggio con conducente, i veicoli che trasportano merci pericolose; il personale addetto alla circolazione dei treni e alla sicurezza dell’esercizio ferroviario, gli addetti alla guida di macchine di movimentazione terra e merci. Dal punto di vista dei lavoratori questi controlli tendono a prevenire situazioni di potenziale pericolo conducendo obbligatoriamente in caso di positività, le persone che manifestano a vario livello problemi di dipendenza verso un percorso di cura.
Altruismo e tutela quindi? Nel mondo del lavoro, falcidiato quotidianamente dalle morti bianche, eufemismo, per celare una realtà di sangue, ingiustizia, retorica, disinteresse, vedove e orfani, queste leggi che effetti otterranno.
Se i sindacati non sembrano avere le idee chiare in merito, tanto meno i lavoratori sanno che posizioni assumere: prostrati alle logiche del neo liberismo, flessibili e precari, sembrano percepire l’anticamera di futuri problemi, ma senza la forza e la coscienza tale da potersi opporre. Non si sanno che tipologie di analisi verranno effettuate: sangue, urine, capello, sudore? Non si sanno le conseguenze nel caso di positività, oltre al lavoro, sono previste sanzioni penali? Esiste un termine di preavviso? Il lavoratore può rifiutare le analisi e con quali conseguenze? Se il sindacato tace, non sono certo i datori di lavoro a spiegare questi aspetti delicati.
Chi invece dimostra di avere le idee più chiare è il sindacato dei medici del lavoro: CONAMECO. Nel forum del sito internet della confederazione sindacale, i medici esprimono le perplessità legate a questo legiferare. In definitiva la sensazione è quella di uno snaturamento del ruolo del medico del lavoro. Negli anni ’70 la diffusione di questa figura era dovuta alla coscienza che il lavoro, condotto ai ritmi forsennati del boom economico dell’Italia industrializzante, creava forti patologie, oltre che statistiche apocalittiche di morti e infortuni. La nocività di tanti prodotti chimici usati nelle lavorazioni industriali era sconosciuta, le lotte operaie cercavano dunque di poter tutelare i lavoratori, scorgendo nel medico un presidio che, alle logiche del guadagno e dello sfruttamento, anteponesse il benessere fisico del lavoratore. Il medico era una figura altra che poteva e aveva il dovere di decidere per la salute del lavoratore. Le attuali disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro invece conducono il medico a rivestire un ruolo diametralmente differente, il ruolo del controllore.
Al medico infatti spetta l’onere di verificare i costumi e gli usi del lavoratore al di fuori dell’orario di lavoro. Esegue un test a sorpresa e comunica i risultati all’azienda. Ai medici spetta inoltre l’osservanza di tutta una serie di dispositivi burocratici, scartoffie e moduli, che intasano un lavoro che ha come base il contatto personale con il paziente, sottraendo di fatto il tempo alle visite, alle anamnesi accurate, vera base di una diagnosi efficace, e al confronto diretto con il lavoratore. Se una volta dunque i medici del lavoro dovevano verificare quanto della performance lavorativa entrava e nuoceva alla sfera privata, adesso questo ruolo è invertito e impone ai medici di entrare nella sfera privata per trovare riscontri che si ritorcono sul futuro del lavoratore stesso. È chiaro che non si debba guidare ubriachi o in preda alle allucinazioni e che sul posto di lavoro tali comportamenti possano essere importanti fattori di elevato rischio, ma che direzione può assumere in un futuro concreto, una legislazione che mette il lavoratore in condizione di rinunciare alle proprie abitudini e ai propri comportamenti privati, pena l’espulsione dal circuito produttivo? Non si sta ledendo in questa circostanza la sfera individuale più intima della persona, rendendo il tempo libero e il proprio utilizzo una dimensione che non può più prescindere dalla produttività, un tempo quindi non più libero, ma condizionato dalla logica professionale che acquista però il dominio anche del campo extra lavorativo?

Un altro strumento in mano ai padroni

Il buon lavoratore in definitiva non è più quello che svolge la propria mansione con dedizione e impegno, ma quello che mantiene anche fuori del posto di lavoro una certa condotta, un profilo retto, lontano da svaghi ed evasioni per mezzo di sostanze più o meno legali.
I dubbi sono molti, l’aspetto filantropico della norma, sicuramente apprezzabile, se concepito come unico motivo d’azione, è pero molto riduttivo. Non potrebbe infatti tale normativa avere ricadute pesanti nella regolamentazione dell’accesso al mercato del lavoro?
Nel momento storico attuale dove il paese è schiacciato, da una politica finalizzata a se stessa e da una crisi economica di portata globale, (che spinge gli industriali a tagliare il costo della mano d’opera nazionale grazie ai contratti individuali, a seconda della necessità del singolo e non a seconda della disponibilità di una categoria, contratti di collaborazioni, co co co, sub appalti, contratti a progetto dove il lavoratore ha perduto ogni diritto acquisito in passato), ecco sotto quest‘ottica, emerge un’altro strumento in mano ai datori di lavoro per classificare ed escludere chi non è omologato alla retorica produttiva.
E senza stancarsi di ripetere che la sicurezza sul posto di lavoro è certamente prodotto di una somma di fattori, fra i quali è giusto inserire anche lo stato di vigilanza di chi lavora, e quindi le implicazioni dovute all’assunzione di sostanze (ma solo ed esclusivamente nell’orario di lavoro), pur tuttavia tale fattore non sembra manifestare un’importanza primaria rispetto ai tanti altri motivi che rendono il luogo di lavoro in certi settori, uno dei posti più insicuri e pericolosi nel quale una persona può decidere di impiegare le otto ore quotidiane della propria esistenza.

Tutti si sciaquano le mani

Si paventano poi le analisi prima dell’assunzione, un abominio giuridico, se si considera l’importanza data alla formazione preassuntiva nell’ottica della prevenzione del rischio. I precari fanno formazione sul posto, non hanno diritto a un periodo di formazione precedente, loro e nessun altro è responsabile dei loro infortuni. E tutti si sciacquano le mani da questa responsabilità. E i sindacati che hanno sottoscritto quest’accordo appaiono latitanti sotto il dominio del padrone. Non hanno in agenda la ridiscussione delle responsabilità che, con questa priorità accordate all’analisi, sono del tutto scaricate sul lavoratore.
In fin dei conti questa legge sembra porre un nuovo sbarramento alla vita dei lavoratori, sbarramento che diventa effettivo con la responsabilità dei medici competenti, responsabilità che gli stessi medici preferirebbero declinare, in quanto invasiva di un mestiere che in prima istanza vuole prevenire e non reprimere. Perché l’effettività di tale norma, il suo spirito altruistico, non viene riproposta con intransigenza verso i centri nevralgici del potere economico, contro gli speculatori che campano e si arricchiscono sulla pelle dei lavoratori? Perché con la stessa determinazione non si forniscono strumenti efficaci agli ispettorati sul lavoro? Perché non si decide di punire con la sospensione dell’attività lavorativa tutti i padroni che non rispettano le norme della sicurezza, invece che con multe che rappresentano solo le briciole di un profitto acquisito grazie all’inottemperanza delle leggi sulla sicurezza?
La risposta purtroppo sembra essere negativa, si preferisce un’azione intrusiva nella vita del singolo, che un’azione strutturale per contenere le sperequazioni fra chi vive per lavorare e chi da lavoro per vivere.

Fabrizio Dentini