rivista anarchica
anno 40 n. 350
febbraio 2010


Rom

A forza di essere vento
di Paolo Finzi
fotografie di Paolo Poce

La Shoa, il Porrajmos, lo sterminio di ebrei e Rom da parte dei nazisti. L’antiziganismo, l’antisemitismo, i pregiudizi. Nel passato e oggi.

Nell’ambito del Corso di educazione alla cooperazione internazionale organizzato dalla Fondazione Anna Ruggiu onlus e dall’Associazione Sucania onlus, si sono tenute due anni fa a Cagliari numerose conferenze su tematiche legate ai Rom.
Quelle relazioni sono state ora raccolte nel volume Rom e Sinti in Italia tra stereotipi e diritti negati, a cura di Roberto Cherchi e Gianni Loy, edito da Ediesse (Roma 2009, pagg. 268, € 15,00),
Pubblichiamo qui una parte della relazione tenuta all’Università di Cagliari, facoltà di Economia, il 31 marzo 2008 dal nostro redattore Paolo Finzi – con l’avvertenza che si tratta della trascrizione di un intervento a braccio, più una chiacchierata che una lezione accademica.

In superficie sotto gli occhi della gente

Due cose volevo dire. Primo, problema generale che non riguarda solo gli zingari e che rimanda al discorso di prima sulle responsabilità: negli anni quaranta l'Europa è stata attraversata per anni da migliaia di treni che per anni hanno trasportato ebrei, zingari, politici, omosessuali eccetera, verso le destinazioni finali, come Dachau e altre. Questi treni non erano come le linee della metropolitana di Milano, non andavano sottoterra ma erano dei veri treni che viaggiavano in superficie sulla normale rete ferroviaria. Questi treni si fermavano, per esempio a Bolzano, e stavano in stazione magari tre giorni; puzzavano di escrementi e l'odore si sentiva a grande distanza, la gente dentro urlava, piangeva, cercava di attirare l’attenzione, sappiamo in che condizioni viaggiassero, e nel frattempo le stazioni erano frequentate, come le nostre attuali stazioni, perché è vero che c'era la guerra ma i pendolari andavano al lavoro, c'era chi andava alle terme eccetera. Questi treni magari venivano fermati un po' fuori dalla stazione, ma l'Europa sapeva, magari non poteva sapere del crematorio numero cinque o delle differenze tra Auschwitz e Dachau, ma sapeva che non c'erano più alcune persone, che magari il compagno di scuola di mio figlio era sparito, che il banco di Giuseppe Levi era improvvisamente vuoto. Si sapeva, e questa è una cosa che sul discorso delle responsabilità generali va tenuta presente. Sui trasporti c'è poi un elemento specifico che riguarda gli zingari.
Apro un’altra parentesi: è uscito recentemente un libro in Germania che si intitola È vietato agli ebrei l'uso del vagone ristorante, titolo che riprende una disposizione nazista dell'epoca, ed è un libro in cui si ricostruisce attentamente la responsabilità del ministero dei trasporti e delle ferrovie tedesche in questa organizzazione. Per non farla troppo lunga vi dirò che in sostanza il punto è che le efficienti ferrovie tedesche volevano che fosse pagato il biglietto, a tariffa intera, solo andata (bontà loro!), per il trasporto di ogni detenuto che andava non del tutto di propria volontà ai lager.
Dove poterono, come nel caso degli ebrei austriaci, estorsero loro i soldi, dicendo noi vi portiamo a lavorare (Arbeit macht frei!) quindi pagate il biglietto. In molte situazioni riuscirono, per esempio nella Francia di Vichy del collaborazionista Petain, al regime filo-nazista francese le ferrovie tedesche riuscirono a imporre il pagamento di un biglietto per ogni ebreo o non ebreo francese o preso in Francia che veniva spedito nei campi. Il trasporto aveva quindi un costo che preoccupava le autorità, per cui furono ben felici con gli zingari di organizzare in alcune occasioni altre modalità di trasporto. (...)

La testimonianza di Mirko Levak

Mi avvierei ora alla conclusione, in modo da lasciare spazio a domande, interventi ecc. che io stimolo in queste occasioni pubbliche, non tanto sul piano storico, dove ci possono essere integrazioni o domande da fare, ma anche sul piano dell'attualità, perché queste presentazioni nascono dalla volontà di ricordare una pagina di storia e non dimenticarla ma in realtà filano dritte all'attualità, e il messaggio di fondo che si vuol trasmettere è quello di ricordare il passato, non scordarlo perché non si ripeta, ma pensiamo anche all'oggi, a che rapporto avere oggi con la situazione degli zingari.
Sul piano storico difficilmente qui ci sono sostenitori della parte avversa e se ci troviamo qui una scelta l'abbiamo certamente fatta, più difficile, e lo sottolineo, è affrontare oggi la situazione degli zingari, perché essa nella sua concretezza pone delle questioni grosse e pesanti.
Quando parlo ai ragazzi delle scuole, per esempio, cerco di partire dalle dicerie come quella che gli zingari rubano i bambini, per cercare di immettere il seme del dubbio, in linea con quello che dicevamo all'inizio ossia parliamo di ciò che conosciamo. Prima di tirare le conclusioni volevo citare l'intervista a Mirko Levak che Rosa ha visto recentemente a Biella, perché difficilmente esce dalla sua Marghera; è un rom calderasch, che viene dalla Jugoslavia, dall'Istria e racconta in questa intervista realizzata dall'Opera Nomadi la sua esperienza ad Auschwitz. È una testimonianza di segno completamente diversa nella metodologia e nel linguaggio da quella di Hugo Holleìnreimer, che è assolutamente il pezzo più denso di cui raccomando la visione.

Mirko, che ha la stessa dignità – ci mancherebbe – ha però un ricordo meno preciso, ma è anch'essa una testimonianza che vale assolutamente la pena vedere e ascoltare.
In questa testimonianza è interessante l'aspetto del ritorno, come ne La tregua di Primo Levi. Lui ritorna al suo paesino, un ritorno lento, la famiglia è stata tutta sterminata, a un certo punto vede una bambina che identifica come rom e tramite lei arriva a un piccolo accampamento, dove ritrova un suo parente sopravvissuto e da questo ricostruisce la storia.
Il buon Levak, che non ho conosciuto personalmente, nella sua intervista presta il fianco ad alcune osservazioni critiche che sono quelle che a me interessano di più. È una persona che, con tutto il rispetto, definirei ignorante sotto alcuni punti di vista, ma soprattutto da un punto di vista in particolare. A parte osservazioni formali sul politically correct su cui non mi soffermerei, come quando lui all'inizio dice "...mio nonno conosceva la razza tedesca..." ossia non parla dei nazisti ma dice tedeschi, e anche a me è scappato stasera di dire tedeschi anziché nazisti perché fin da bambino i cattivi erano i tedeschi e occorre stare molto attenti a questo errore, come anche per il discorso sulle responsabilità collettive generali quando prima parlavamo dei treni, non dobbiamo mai commettere lo sbaglio di coinvolgere un intero popolo, soprattutto finché si riesce a dimostrare che c'è stato chi, e in Germania c'è stato, magari non tantissimi, si è opposto.
C'è un altro punto più avanti che mi ha colpito, in cui Levak dice, con quella che a me pare un forte dose ingenuità, parlando della situazione ad Auschwitz dice che non capiva perché ce l'avessero con loro zingari e con "i brei", gli ebrei. "Noi non facciamo mica male a nessuno, giriamo il mondo", dice lui. Mi permetto di dire che la situazione è forse un po' più complessa, e lo era anche nel passato, sono convinto che ci sia una forma di razzismo, di pregiudizio nei confronti degli zingari, ma i problemi della convivenza tra gli zingari e i gagé, i non-zingari è un tema complesso che ha che fare un po' con tutti, anche con gli zingari.
Poi però parla degli ebrei e dice "i brei sì, loro soldi!". Ma caro Levak, tu che sei stato ad Auschwitz e hai potuto constatare che gli ebrei che erano lì erano in gran parte proletari ebrei, dell'Europa centro-orientale, che fra l'altro uno come me (anarchico) sa che da quell'ambiente e da quegli ebrei è nata anche l'esperienza del Bund, un'esperienza sindacalista di tipo critico, socialista ecc. Erano ebrei proletari: gli ebrei con i soldi, come i non ebrei con i soldi, avevano cercato di emigrare in America o da qualche altra parte; la grande maggioranza degli ebrei, quelli che erano lì con te a raccogliere patate per poi finire, come racconti, nei forni crematori, erano proletari. Ovviamente non c'è nessun problema specifico con Levak, ma lui costituisce un esempio per dimostrare che non basta nemmeno essere stati vittime di un'ingiustizia per acquisire in sé, naturalmente, il senso della giustizia. È un fatto normale che riguarda tutti, ma ce la dice lunga sulla fatica che si fa per superare il pregiudizio.

Porrajmos contro Shoa?

Termino con un'ultima considerazione. Noi abbiamo realizzato questo lavoro come anarchici, io inoltre mi chiamo Finzi, cognome che non lascia molto spazio alla fantasia sulle mie radici. Eppure bisogna stare attenti perché in occasione di molte mie conferenze sul Porrajmos ho trovato persone, perlopiù di sinistra, che mi hanno detto "finalmente parliamo degli zingari, basta con quella rottura di coglioni degli ebrei!”, “Sembra che le uniche vittime della guerra siano stati loro”, “La menano con la loro Shoà poi guarda quel che fanno oggi ai palestinesi”.
Non è solo una forma di stanchezza, che per certi aspetti potrei anche capire (io sono figlio di una partigiana combattente e anche a me la Resistenza a volte mi ha “infastidito”, quando veniva presentata nel suo aspetto noiosomente istituzionale).
Ma contrapporre la vicenda degli zingari a quella degli ebrei significa non aver capito assolutamente niente, perché sono parti dello stesso disegno criminale del nazismo e più in generale sono parti simili della stessa vicenda umana. Poi non è detto che gli ebrei in quanto tali devono essere amici degli zingari o viceversa, o degli handicappati o dei Testimoni di Geova, però bisogna stare attenti a non buttare il bambino con l'acqua sporca.
C'è una retorica resistenziale, c'è una retorica che forse anche l'istituzionalizzazione del Giorno della Memoria per certi aspetti può favorire, per cui poi hanno fatto quello delle foibe per par condicio eccetera, ma io credo che chi si avvicina alla macchina dello sterminio nazista di chiunque debba tenere presente che non c'è una gara fra questo e quello degli armeni, o quello dei tutsi in Africa, perché noi siamo contro ogni forma di violenza.

Tuttavia, la materia che abbiamo maneggiato oggi è una materia ultra-sensibile, che ha una sua unicità perché il disegno storico del nazismo ha avuto una sua specificità del tutto particolare, che ha superato anche il gulag. Noi anarchici non abbiamo aspettato il libro nero di Berlusconi per sapere che anche in Russia c'erano i campi di concentramento. Non potevamo ignorarlo e non l’abbiamo mai taciuto, tantopiù che nostri compagni, anche italiani, ci hanno lasciato la pelle a Vorkuta e in altri campi dell’arcipelago gulag.
Questo ci serve per la comprensione storica, perché l'eventuale sottovalutazione della Shoah o del Porrajmos non diventi poi un’auto-assoluzione di noi europei, perché quello che è successo è successo alla luce del sole e potrebbe ripetersi.
Occorre dunque tenere le antenne alte e le menti deste, poi ognuno può scegliere di quale problema occuparsi, nel mio caso nell'ultimo periodo mi sono occupato molto dei Rom e dei Sinti. Proprio in questi giorni ho iniziato a leggere un libro sullo sterminio degli handicappati, iniziato nelle camere a gas se non sbaglio nel 1941 e addirittura i primi erano in ospedali psichiatrici, uno sulla collina di un paese dove mentre la gente passeggiava in giardino dentro iniziavano a gasare le persone.
Bisogna assolutamente ricordare tutti questi episodi, non per fare graduatorie ma per imparare a tenere acceso il cervello, oltre che il cuore, e questa è la piccola lezione che mi sentirei di trarre da tutto questo discorso.

A proposito di antisemitismi

Mi si chiede quanto abbia contato nello sterminio degli ebrei e degli zingari la cultura antisemita cattolica nel nostro paese. E quanto lo abbia facilitato e ancora oggi giochi nel consolidare certi stereotipi.
Rispondo che ha contato moltissimo, perché l'antisemitismo di matrice cattolica, di cui l'ultimo recente esempio è la decisione del papa di ritirare fuori nella preghiera l'auspicio alla conversione degli ebrei, cosa peraltro legittima perché ognuno tifa per la sua squadra, ma anche un po' sospetta, come la conversione pubblica di Magdi Cristiano Allam. Ognuno è libero di credere in quel che vuole ma questi usi strumentali lasciano un po' basiti.
Per più di un millennio le preghiere cattoliche trasudavano odio per il popolo deicida, quindi l'antisemitismo di matrice cattolica, riconosciuto anche dai cattolici seri e onesti, e nella mia affermazione non c'è niente di anti-cattolico, è semplicemente una constatazione, è stato fondamentale nella storia e in particolare in alcuni luoghi come l'Italia che ha la "fortuna" di ospitare il Vaticano e che sente quindi più da vicino questa influenza.

Ci sono altre forme di antisemitismo, c'è da dire che oggi ci siamo occupati degli zingari, c'è l'antisemitismo, ci sono altre forme di criminalizzazione e persecuzione, questo è un terreno assolutamente friabile nel quale spesso casca l'asino, nel senso che è molto trasversale. Esiste un antisemitismo di tipo nazifascista, con la sua specificità, ma c’è anche un antisemitismo di sinistra, spesso frammisto e mascherato da antisionismo, in cui – come sempre – ignoranza e pregiudizi si sostengono a vicenda.
Uno dei classici esempi degli indicatori dell'antisemitismo, esempio che riguarda anche l’antiziganismo, è quello relativo al loro numero: in Italia gli ebrei sono circa trentamila, ma il numero medio indicato nei sondaggi è un milione, e questo dà un'idea della stima del pericolo e dell'influenza percepiti ecc. Lo stesso riguarda anche gli zingari.
A Milano, tra le cose che si potrebbero dire, c'è l'Ufficio nomadi e stranieri che si occupa anche degli zingari e a Milano gli zingari sono per due terzi cittadini italiani, milanesi nati a Milano. In più non sono nomadi perché il nomadismo è vietato quindi nessuno può girare se non alcuni gruppi irregolari, ma ormai il nomadismo è stato stroncato da una serie di leggi regionali o statali. Oggi anche un bravo gagio come noi, in giacca e cravatta, può comprarsi un camper ma non può fare il nomade, devi avere una residenza e puoi andare solo nei campeggi autorizzati.
Occhio: c'è una poesia di Brecht che non ricordo a memoria (più o meno recita così: prima hanno arrestato gli zingari, e non me ne sono interessato perché non sono zingaro, poi gli ebrei, e non me ne sono interessato perché non sono ebreo, ecc. poi quando hanno arrestato me non c'era più nessuno a protestare).
Noi possiamo ampiamente fregarcene degli zingari e della loro situazione e i leghisti dimostrano benissimo come si possa vivere felicemente senza avere alcuna simpatia – anzi – per gli zingari.
Però chi ama la libertà sa che nelle limitazioni alla libertà degli altri c'è sempre anche una limitazione alla libertà propria, e non è un discorso che riguarda solo gli altri. La forma di grande controllo sociale che in molti auspicano per gli zingari, con la rilevazione delle impronte e il resto, viene sperimentata su di loro ma alla fine ricadrà su di noi. (...).

Paolo Finzi