rivista anarchica
anno 40 n. 351
marzo 2010


scuola

Contro la Berluscuola
di Stefano d’Errico

Se lo stato di civiltà di un Paese si vede dalla situazione scolastica e dal sostegno alla cultura, povera Italia!
E con quel che ci preparano la clericale Gelmini e in genere il governo (con la complicità di sindacati “ufficiali” e presunta opposizione) c’è proprio da stare allegri.

 

I tagli della Berluscuola

Secondo quanto dichiara il ministro Tremonti, la manovra generale legata ai provvedimenti Gelmini produrrà complessivamente dal 2009/2010 al 2011/2012 la bellezza di 130.000 tagli: 45.000 posti ATA (una percentuale maggiore di quella relativa ai docenti) ed 85.000 cattedre. In realtà il “ministro unico” glissa sulla Scuola Superiore: da quest’anno, con 9.000 tagli già operati (nonostante la controriforma vada a regime dal 2010/2011), sono state illegittimamente costituite cattedre ben superiori alle 18 ore (persino di 23) e gli “spezzoni” seguono una diversa gestione. In tal modo s’aggiungono altri 20.000 tagli, e la riduzione di cattedre della Scuola Superiore raggiungerà quota 50.000 (mentre il governo ne dichiara “solo” 30.000). Il totale complessivo sarà quindi di 150.000 posti in meno entro il 2012.
Vengono massacrati i precari, presi in giro da un ridicolo decreto ad hoc che certo non li salva (come invece pretenderebbe il “titolo” col quale è stato accortamente pubblicizzato). Ma anche una parte del personale di ruolo andrà in esubero, non potendosi certo assorbire il taglio col mero blocco del turn-over. Siamo di fronte alla manovra più pesante nella storia dello stato unitario, ma la cosa viene praticamente ignorata: i sindacati “rappresentativi” dormono (solo la CGIL ha fatto uno sciopero, ma “general-generico per il “pubblico impiego”), i media tacciono, l’imbonitore nazional-popolare Vespa “doverosamente” ignora e stessa prassi hanno adottato anche “Ballarò” e “Report”. Così il ministro-commercialista può continuare a dare numeri al Lotto e parlare indisturbato di un 8% di tagli, facendosi lo sconto ed addomesticando la matematica, come sempre quando si parla di scuola: una categoria di un milione di persone!

Cosa ha già prodotto la controriforma?

Nella Scuola Primaria tutti si sono resi conto dei disastri causati dal maestro unico (o “prevalente” che dir si voglia): rottura dell’unitarietà del tempo pieno, con un titolare a 22 ore ed un altro a 18 (e completamento in altre classi); distruzione definitiva dei moduli, con docenti spalmati anche su 10 classi (alla faccia del “modello stabile” di riferimento!).
Per quanto attiene al tempo pieno, occorre dire che una prima battaglia è stata vinta. Il Governo ha bleffato. Il gioco era semplice ma l’esito non era scontato: giocando sull’attacco al modello e l’instabilità dell’offerta, Tremonti & C. speravano che quanti hanno davvero bisogno del tempo pieno si sarebbero rivolti alle scuole private. Contemporaneamente puntavano sulla “presa” delle “nuove” (sic!) proposte: 27 (richieste solo dal 3% delle famiglie) e 30 ore (solo il 7% di iscrizioni). L’esiguità della domanda li ha spiazzati. Contemporaneamente la richiesta di tempo pieno è salita dal 27 al 34%. Mentivano sapendo di mentire: mentre sostenevano di voler incrementare il tempo pieno, nei decreti sulla formazione degli organici era disposto che quello del presente anno scolastico non avrebbe potuto superare i posti assegnati nell’anno precedente! Sono invece stati costretti ad allargare i cordoni della borsa e a sbugiardarsi: hanno dato più insegnanti, ma non hanno soddisfatto tutte le domande.
È ben visibile ciò che hanno prodotto le lotte dello scorso anno: sono state preservate le ore di programmazione (che volevano utilizzare per organico e supplenze) e quelle di contemporaneità. Ma questo è un punto dolente. Infatti, laddove il Collegio Docenti non sfrutta la possibilità di destinarle a progetti per l’arricchimento dell’offerta formativa (come prevede tuttora il contratto), ma lascia invece al dirigente la destinazione delle ore, succede che queste vengono disposte sulla copertura degli assenti senza coerenza con il resto degli obblighi di presenza. In tal modo, avanza nella primaria lo spettro dell’orario-gruviera, con “buchi” e rientri come nella Media, ma a partire da un obbligo settimanale di 24 ore anziché di 18. La presenza a scuola s’allunga così anche a 30 h. (più organi collegiali).

Mariastella Gelmini

Il minimalismo culturale

Da questo Governo alcuni attendevano una riforma in linea con la tradizione della destra storica. Il richiamo corre doverosamente a Gentile, autore di un sistema piramidale, autoritario, classista e di genere (ricordiamo il taglio e cucito). Un impianto che dava per scontata una sola scuola “vera” (e d’elite), con il resto come appendice e succedaneo. Però almeno il liceo classico di Gentile era una scuola seria, ed i programmi erano dovunque estesi e compiuti. Bene, cosa direbbe oggi Gentile di una “riforma” che marginalizza il latino nel Liceo Scientifico? E della riduzione generalizzata delle ore per materia, che investe ogni ordine e grado di scuola?
Prendiamo ad esempio la Primaria: dai tempi della Moratti (ed i suoi “ritocchi” sono rimasti intonsi con Fioroni ed il cosiddetto Centro-Sinistra), in quella che fu la miglior Scuola Elementare del mondo (dati OCSE 1990), il programma di storia della classe quinta non arriva più al giorno d’oggi, bensì alla fine dell’impero romano. In compenso si resta due/tre anni sull’età delle caverne! Vagli poi a parlare della “giornata della memoria” (come doverosamente previsto ancora dalle circolari ministeriali)!
Di contro, il governo delle “tre i”, ha quasi eliminato le ore di bilinguismo e di informatica (taglio di educazione tecnica) nella Scuola Media. Che dire poi della riduzione da 11 a 9 delle ore di lettere (dal novero delle quali, peraltro, viene ricavata la “grande innovazione” dell’educazione civica, oggi “educazione alla cittadinanza”)?
Distingue la controriforma un impianto minimalista che non solo è privo di riferimenti a questa o quella tradizione politico-culturale, ma che non ha alcuna radice in Europa. Solo negli USA la storia non è considerata materia curricolare, ma di mero approfondimento universitario: gli statunitensi studiano solo dalla rivoluzione americana in poi.
Ecco l’esempio luminoso della berluscuola: un Paese dove gli studenti che s’approssimano alle Università (tutte molto care, perché gestite da fondazioni, come imposto dallo scorso anno anche agli Atenei italiani), nei selettivi test d’ingresso (la percentuale di frequenza è molto inferiore al dato europeo), collocano mediamente (ad esempio) la Turchia ai confini col Canada. Un sistema di istruzione, quello americano, spesso di mero apprendistato, meccanicista, monoprofessionalista e comportamentista. Così come diventeranno i nostri Istituti Tecnici e Professionali (questi ultimi sottoposti anche a regionalizzazione, per realizzare spezzoni di “scuola nazionale padana”). Lo strumento per tagliare è la riduzione ad un massimo di 32 ore settimanali. Basta pensare agli Istituti d’Arte, che attualmente ne hanno 40. Ma l’abbassamento della qualità si determina soprattutto con il “riordino delle classi di concorso”: per utilizzare i docenti in esubero, si potranno insegnare materie per le quali non s’è sostenuto neppure un esame universitario.

Il disegno di legge Aprea

Valentina Aprea, già sottosegretario al tempo del dicastero Moratti, è oggi presidente della Commissione Cultura della Camera, dove il suo disegno di legge viene discusso in sede referente. Di che si occupa la Aprea (responsabile scuola del PDL)? Di distruggere tutto ciò che era fuori portata per la Gelmini: gestione delle scuole e stato giuridico del personale.
Tutto ruota intorno alla concentrazione massima dei poteri nella figura del dirigente scolastico. Si comincia con la trasformazione delle scuole in fondazioni, gestite da Consigli di Indirizzo (in realtà aziendalistici consigli di amministrazione), che prenderanno il posto dei Consigli di Circolo ed Istituto. Non saranno più presieduti da un genitore, ma (appunto) dal dirigente. Per far posto al privato, inteso come committenza, la componente del personale della scuola viene ridotta di numero. Acquisendo la gestione il capitale privato e persino la proprietà dell’edilizia scolastica, si producono due aberrazioni: la speculazione sugli edifici (trasformazione d’uso delle scuole dei centri storici, e spostamento delle stesse nelle periferie) ed un vulnus per la libertà d’insegnamento. Ma tutto ciò si rende oggi possibile grazie alla cosiddetta “autonomia scolastica”, avamposto della privatizzazione, introdotta (insieme al dirigente) dal 2000 col placet dei sindacati “rappresentativi”, anche perché il Piano dell’Offerta Formativa è di già solo proposto dal Collegio dei Docenti, ma adottato dal Consiglio. Un Consiglio che non avrà più i requisiti metodologico-didattici per vagliare il POF e sarà piegato (com’è di moda) ad un conflitto d’interessi strutturale.
Esattamente come nelle scuole private, si passerà ad assunzione e valutazione diretta del personale, smantellando il sistema dei concorsi pubblici e passando a bandi e commissioni esaminatrici di istituto presiedute dal dirigente scolastico, con una parte dei posti dati a termine e l’intromissione (ed i “suggerimenti”) del privato anche nel reclutamento. S’introducono poi cinque distinte fasce stipendiali “di merito” dove il personale verrà collocato in base alla discrezionalità del dirigente.
A questo punto occorre una breve digressione. Dall’approvazione del Dlvo 29/1993, che privatizzò il rapporto di lavoro di una parte di quello che prima era il pubblico impiego (scuola compresa, ma con l’esclusione di Università ed altri settori), in tutti i contratti nazionali della scuola dal 1995 in poi, il preside (prima che divenisse dirigente) è stato definito “datore di lavoro”. L’operazione (che vide la nostra feroce opposizione) ottenne benedizione (e firma) di tutti i sindacati “rappresentativi”. Possono CGIL, CISL, UIL, SNALS e Gilda oggi “stracciarsi le vesti” di fronte all’operazione Aprea che porta alle estreme (e già scontate) conseguenze un percorso che proprio loro hanno avviato? Era evidente che il “datore di lavoro” prima o poi avrebbe anche assunto direttamente il personale.

Valentina Aprea

Ma qual è la situazione relativa all’iter di approvazione del DDL Aprea? Sino all’aprile 2009, erano stati presentati solo due disegni di legge concorrenti (e non alternativi). Uno di Cota, della Lega Nord, che si preoccupa d’imporre l’assunzione regionale, con possibili “completamenti” dalle zone confinanti, ma previa prova dialettale. L’altro, del Partito Democratico, altrettanto preoccupante. Sfoggia “titoli” diversi, ma sostanza pressoché analoga. Ad esempio, mentre la Aprea mostra il coraggio politico di eliminare apertamente il Collegio dei Docenti (sostituito da “dipartimenti” meramente esecutivi delle volontà del dirigente – cosa già contenuta nella nuova riforma degli Istituti Tecnici), il PD mantiene l’organo, ma consente che venga diviso a inizio d’anno sempre in dipartimenti di nomina dirigenziale. Per quanto riguarda il Consiglio, il PD continua a chiamarlo come oggi, ma ne rivede i componenti e fa ugualmente posto al gestore privato.

La farsa degli scioperi

Si sente spesso chiedere in categoria: “come mai è passata la “riforma” Gelmini, con tutti gli scioperi che abbiamo fatto nel 2008?” È una domanda pertinente, alla quale occorre fornire risposta adeguata. Fu l’Unicobas a proclamare il primo sciopero dello scorso anno: era venerdì 3 ottobre. Si dà il caso che la “riforma” passò in prima istanza, alla Camera, esattamente il lunedì successivo. Che dire quindi dello sciopero general-generico indetto dal mese di giugno su altre questioni, quando ancora non si conosceva il piano della Gelmini, proclamato dai COBAS insieme (con tutto il rispetto) all’SDL dell’Alitalia ed alle RDB-CUB del pubblico impiego per il 17 ottobre? Non era forse la scuola il settore più colpito dalla ristrutturazione governativa? Non avrebbero potuto convergere, almeno per la scuola, sulla data del 3 ottobre? E cosa pensare poi di quello “unitario” di fine mese? Tutti sanno come è andata. La CGIL doveva aspettare la CISL, questa attendeva la UIL, che a sua volta inseguiva lo SNALS e tutti correvano dietro alla Gilda. Furono infine capaci di collocarlo esattamente per il giorno successivo all’approvazione definitiva della “riforma” in Senato: il 29 ottobre!
Anche noi scendemmo in piazza il 30 ottobre dello scorso anno (non potevamo correre il rischio di farci conteggiare fra i favorevoli, come i COBAS che riuscirono nel miracolo di non esserci né il 3, né il 30): all’astensione dal lavoro aderì il 65% della categoria (dati del Ministero). Ma la scuola era finita fuori tempo massimo.
Il 3 ottobre portammo cinquemila persone sotto il Ministero, ma l’opera di freno svolta dagli altri sindacati risultò decisiva. Le azioni di lotta vanno promosse prima e non dopo l’approvazione dei provvedimenti! In proposito, va ricordata anche la data del 12 dicembre 2008, quando la CGIL proclamò un altro sciopero (ma “generale”, come spesso accade, con la scuola a far da comparsa), perché il trend fu analogo. La sera prima (11 dicembre), alle 19, presso Palazzo Chigi, presenti Gianni Letta, la Gelmini, Sacconi e Brunetta per il Governo, Bonanni e Scrima della CISL, Angeletti e Di Menna della UIL, il segretario nazionale SNALS, quello della Gilda e – buon ultimo – Rocco Pantaleo, il tessile che ricopre la carica di segretario nazionale della Federazione Lavoratori della Conoscenza-CGIL, tutti s’accordavano sulla riforma: fu in quell’occasione che venne al Governo il suggerimento sul “maestro prevalente” (bastò che non lo chiamassero più “unico” per avere il via libera). Questa è la risposta alla domanda.
Sta a tutti noi capire, affinché la cosa non si ripeta col disegno di legge Aprea!

Stefano d’Errico
Segretario nazionale dell’Unicobas Scuola