rivista anarchica
anno 40 n. 351
marzo 2010


attenzione sociale


a cura di Felice Accame

 

La lezione
del ciabattino

ai filosofi

 

1. Non sempre chi sta dalla parte degli oppressi è davvero convinto di potere e dovere mettere in discussione tutto. Per quanto animato dalle migliori intenzioni, spesso accetta una propria condizione di subordinato rispetto ai saperi altrui – come se fossero il risultato di menti al di sopra delle parti o come se le dignità professionali acquisite, invece che esiti della lotta tra le classi sociali, fossero un dato di natura. È così che la logica di quel potere che si vorrebbe abbattere si riproduce nell’oppositore e nei movimenti collettivi ai quali riesce a dar vita – e, troppo spesso, illusoria creatività.

2. Anni or sono – mentre mi accingevo alla scrittura de La funzione ideologica delle teorie della conoscenza – mi sono imbattuto in Josef Dietzgen e nella sua opera L’essenza del lavoro mentale umano. Stavo passando in rassegna tutti quei pensatori che, stando dalla parte degli oppressi, avevano ritenuto non solo opportuno ma doveroso riflettere sulla filosofia e sulla sua funzione sociale. Materialismo ed empiriocriticismo di Lenin, ovviamente, era un passaggio obbligato, anche perché lo scontro tra Lenin e Bogdanov – tra “centro” e “sinistra” bolscevica, tra “realismo” e “costruttivismo” o, almeno, una versione costruttivista dell’idealismo – vi era rappresentato al meglio in un momento in cui il rapporto tra pratica politica e teoria era particolarmente delicato. Fu qui che mi imbattei per la prima volta nel nome di Dietzgen, uno di cui Lenin, peraltro, diceva che “non manca di grandezza”. Così – da cosa nasce cosa – scoprii che lo stesso Marx, a suo tempo – il libro era uscito nel 1869 –, aveva letto L’essenza del lavoro mentale umano ricavandone l’impressione che contenesse “idee eccellenti”.

3. Dietzgen è un pensatore originalissimo e di straordinario coraggio. Vede cosa c’è che non va nel mondo e si pone come problema la filosofia che ne sta alla base. È antidualista – non ammette nessuna separazione fra “spirito” e “materia”, o tra “mente” e “cervello” -, perché in ogni dualismo sa riconoscere una sorta di ratifica della separazione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale. È un materialista che innanzitutto fa le pulci al materialismo ed è un antimetafisico che, ecumenicamente, cerca di salvare tutto il buono che può esserci nella metafisica, ma “quando (…) si tratta delle leggi fondamentali dell’ordinamento borghese”, dice anche, “i portavoce della morale delle classi dominanti sono tanto interessati da arrivare a negare la dipendenza di quelle leggi dai loro interessi e da rappresentarle come leggi metafisiche ed eterne del mondo”. Cerca di rimanere equamente distante dal realismo e dall’idealismo e, anzi, fa il possibile perché ne emerga una radice comune: “l’essenza delle cose in generale va trovata nella teoria del pensiero”, dice. Però, correttamente, sostiene che non è ancora disponibile una teoria del lavoro mentale e ne individua la stretta necessità, come compito primario dell’impresa scientifica. Assume correttamente il principio che non è osservando il cervello che ci si fa un’idea del pensiero, perché prima occorre partire da un modello di funzione e poi giungere al funzionamento. Dice che “lo studio fisiologico del cervello non può affrontare il problema di cosa significhi pensare” – esattamente come “l’esame anatomico della mano non può spiegarci cosa significa scrivere”. Sono consapevolezze di cui spesso – neurobiologia alla mano – si sente bisogno ancora oggi.

4. Purtroppo, riconoscere che la filosofia ha “dimenticato” che il suo compito è quello di indagare il processo del pensiero non gli può parere sufficiente per liberarsene. Alla smemoratezza, d’altronde, non si attribuisce subdolità.

5. Nella prefazione all’Essenza del lavoro mentale umano, tuttavia, Dietzgen sviluppa due argomenti preziosi. Il primo è quello in cui dichiara il proprio lavoro non un “prodotto individuale”, ma un “risultato storico”, sentendosi lui - ma chiedendo scusa ai lettori per l’espressione misticheggiante – “organo dell’Idea”. Un ceffone all’idea borghese della genialità e della proprietà intellettuale. Il secondo è quello in cui “ammette” di non essere “un professore di filosofia”, ma un artigiano – era conciatore e calzolaio – mettendo a sedere coloro che volessero ammonirlo col vecchio detto: “ciabattino parla solo del tuo mestiere!”. Risponde con il Karl Marx de Il capitale:
“questo nec plus ultra della saggezza artigianale è divenuto follia e maledizione dal momento in cui l’orologiaio Watt ha inventato la macchina a vapore, il barbiere Arkwright il telaio continuo, il garzone-orefice Fulton il battello a vapore”. Un essenziale vaccino ideologico.

Felice Accame

Nota
L’essenza del lavoro mentale umano è stato pubblicato da Feltrinelli nel 1953. Lucio Colletti che ne curò l’edizione gli rimprovera “sbandamenti nel campo del positivismo” e “temi, più e meno esplicitamente, idealisti”, in maggiore risalto “col procedere degli anni, fino a culminare talvolta (…) in un vero e proprio marxismo di tipo spinoziano”. Una sua seconda edizione è stata quella di Lavoro Liberato, a cura di Eleonora Fiorani, nel 1975. Oggi, per la cura scrupolosa di Paolo Sensini e edita da Mimesis, è finalmente disponibile in un’ottima edizione che comprende anche un’altra opera di Dietzgen, L’acquisizione della filosofia – fondamentale per comprendere il senso della sua critica alla filosofia e per valutare l’attualità del suo pensiero.

La citazione di Marx è tratta dal primo volume de Il capitale. Critica dell’economia politica, Editori Riuniti, Roma 1967, pag. 535.