rivista anarchica
anno 40 n. 352
aprile 2010



a cura di Marco Pandin

 

 

“The feeding of the 5,000”

Ho ascoltato per la prima volta i Crass verso la fine dell’estate del 1979: un amico, appena tornato da un viaggio a Londra, mi aveva portato in regalo una copia di “Stations of the Crass”. Era, quello, il loro secondo album, e finì per sostituirsi ripetutamente, suscitando le perplessità del mio gatto e dei miei genitori, agli ellepì di Joni Mitchell, Robert Wyatt, Henry Cow e Fabrizio de Andrè che frequentavano di solito il mio giradischi.
Il punk a Londra era già roba vecchia, ma da noi se n’era appena appena sentito parlare al telegiornale: gente che sputava addosso a quelli che suonavano, e poi lamette, sangue, spintoni, vomito... Il “fenomeno punk” veniva appiattito dai media alla sola dimensione spettacolare: i vari gruppi guadagnavano spazio sui giornali tramite fotografie e dichiarazioni ritenute oscene secondo il comune senso del pudore. All’inizio neanch’io avevo capito bene di che cosa fosse fatto “Stations”: era ovvio, la mia attenzione si era soffermata sulla musica (nessun altro gruppo di allora suonava in maniera così ...devastante), ma quello che fece breccia nel mio cuore era la copertina del disco, intrisa di parole, dichiarazioni, testi, spiegazioni. Una confezione graficamente singolare: i due dischi erano alloggiati in un grande poster ripiegato, da una parte un collage apocalittico in bianco e nero, dall’altra quintali di parole scritte a macchina. Una quantità di messaggi e provocazioni che andavano ben al di là dei tre minuti di ciascuna canzone: erano testi che ti prendevano a schiaffi e ti ributtavano in faccia la realtà come uno specchio.
Era una sfida. armato di vocabolario, mi sono messo leggere: ho voluto capire. o almeno, volevo provarci. Sul retro della busta c’era un indirizzo. Un giorno ho scritto una lettera e gliel’ho spedita: avevo poco più di vent’anni, molti interrogativi, molte speranze ed illusioni anche, e un po’ temevo non ci fosse nessuno dall’altra parte. Speravo che non si trattasse di un altro scherzo: sono sempre state fatte così tante promesse (puntualmente mai mantenute) dai palchi dei concerti e dalle canzoni dentro ai dischi. La risposta invece non tardò ad arrivare, e a quella prima lettera ne seguirono altre, poi riuscii a telefonare e a visitare la loro casa, e a ritornarci più volte nel corso di questi anni, poi qualcuno è venuto a trovare me qui in Italia. Siamo ancora in contatto, ci siamo visti e sentiti anche di recente. Direi che per me sono stati dei compagni importanti: mi hanno aiutato a sviluppare una certa sensibilità e a dare una certa direzione alla mia vita, la loro è stata un’influenza di cui sono consapevole e, se possibile, orgoglioso.
Ascoltando lo snodarsi delle canzoni dei Crass si può leggere la storia dell’Inghilterra della fine del XX secolo (anche se certe tematiche sono universali) da un punto di vista alquanto singolare, e seguire la metamorfosi imprevedibile di un gruppo di giovani nato per caso in una cantina a suonare per scacciare la noia; giovani che proprio a causa delle loro canzoni furono emarginati da ogni circuito musicale, boicottati e picchiati, accusati di collusioni col terrorismo, insultati e trascinati in tribunale per blasfemia, processati per oscenità e condannati per vendita di materiale pornografico.
Nonostante non abbiano più agito collettivamente e con l’alta voce di quegli anni, i diversi membri del gruppo non hanno abbandonato né il lavoro né la mentalità che li ha contraddistinti: i loro vecchi dischi hanno continuato ad essere ristampati (...e venduti), i concerti dei vari nuovi collettivi da essi fondati continuano tuttora ad essere organizzati e l’ispirazione a diffondersi.
Il cantante Steve Ignorant era il più giovane dei Crass (tra lui e il batterista Penny Rimbaud c’è una differenza anagrafica consistente: nessun altro gruppo ha reso così insignificanti le differenze d’età e sesso dei componenti) e ha continuato a urlare dentro ai microfoni: un’avventura inarrestabile la sua, che dopo i Crass è andata da Schwarzeneggar agli Stanford Mercenaries (assieme a Phil Barker dei Buzzcocks) fino ai compagni di strada Conflict.
Esce adesso per Southern il dvd che documenta il concerto collettivo del novembre 2007 all’Empire di Shepherds Bush a Londra, che ha visto Steve tra i protagonisti. L’idea era quella di riproporre, a trent’anni dall’uscita, le canzoni dell’album di debutto dei Crass “The feeding of the 5,000”. Hanno partecipato, tra gli altri, Conflict, Zounds, Disrupters e Flux, ritornati insieme apposta per questo concerto. Non voglio entrare nel merito delle polemiche che hanno preceduto (soprattutto) e seguito la manifestazione, vorrei puntualizzare solo che questo è stato un concerto di “Steve Ignorant e compagni”, non un concerto dei Crass riformati quasi 25 anni dopo dopo lo scioglimento. Non è stata, secondo me, né un’occasione per vendere magliette e vecchi dischi, né una rimpatriata nostalgica, quanto la presa di coscienza che il canto politico anarchico degli anni Ottanta è un coltello che ha affondato la lama nel cuore dei grandi temi politici del nostro tempo. Non ci sono state parole migliori per urlare rabbia e disperazione, non c’è stato suono migliore per descrivere il rumore dell’emarginazione e della disoccupazione. Non ci sono state parole migliori per descrivere l’incubo nucleare e il ghigno dei potenti, non c’è stato suono migliore per raccontare le cariche di polizia, la consapevolezza, l’impossibilità della rassegnazione.
Anarchici, pacifisti, antimilitaristi e vegetariani, i Crass sono stati considerati (è il parere del giudice del tribunale che, ritenendo i loro dischi “materiali volgari contenenti parole offensive” ha condannato il loro album “Penis envy” per oscenità e loro al silenzio) “un’associazione che opera al limite estremo della legalità”. È il limite che ci separa dalla libertà. Quello che non ci sarà mai permesso oltrepassare da chi ci governa.
Ho raccolto in rete e tradotto una lunga e brillante intervista a Steve Ignorant fatta meno di un mese prima dei concerti al Shepherds Bush Empire. Ne sono riprodotti qui alcuni stralci. Il testo completo è leggibile sulle pagine dedicate ai Crass nel website di stella*nera all’indirizzo www.anarca-bolo.ch. Il testo inglese originale è leggibile su www.punk77.co.uk.
Il sito ufficiale di Steve Ignorant è www.steveignorant.co.uk.
Il dvd “The feeding of the 5,000” è pubblicato da Southern e reperibile su www.southern.net ed altri negozi online.

Marco Pandin
stella_nera@tin.it

Crass, 1984

Ho detto Clash, non Crass…

Mio fratello e mia sorella maggiori compravano abitualmente dischi, quindi cose tipo i Beatles le conoscevo, ma è stato solo con la prima ondata skinhead nel 1968 che ho ascoltato ska e bluebeat. Avevo tutti gli lp originali Trojan, chissà dove sono finiti adesso… È stato il genere di musica che mi piaceva da ragazzino. Ho ascoltato per un po’ roba di quel tipo, finché il massimo per me come per un mucchio di altra gente è stato David Bowie. Poi c’è stato il punk.
Al tempo vivevo a Bristol e lavoravo in un ospedale e c’era una ragazza che si vestiva tutta strana e le ho chiesto “perché te ne vai in giro così?” e lei mi ha risposto “perché è punk, non sai cos’è?”, e io “no”, e lei “c’è un gruppo in gamba che suona domani a Colston Hall”, e poi viene fuori che sono i Clash. Sono andato con lei al concerto ed è stato stupendo e mi sono reso conto che era una cosa di cui dovevo fare parte. Alla fine del concerto c’era tutta questa gente sotto il palco che urlava “fate cagare”, a un certo punto viene fuori Joe Strummer e dice “se davvero pensate di saper fare di meglio, forza, formate voi un gruppo”… Che idea fantastica! Ho pensato sì, potrei mettere assieme qualche amico e suonare della roba tipo questa, poi ho pensato che avrei potuto somigliare a Paul Simonon, sembravano tutti fighissimi ed erano davvero tremendi sul palco, è stato quell’atteggiamento che mi ha conquistato. Non ho formato un gruppo a Bristol perché lì non avevo amici, per un motivo o per l’altro non ero riuscito a farmene.
La mia idea era di ritornare al mio paese, a Dagenham, e riprendere i contatti coi miei vecchi compagni e formare un gruppo assieme a loro, così, anche solo per fare gli scemi. Ma quando sono tornato al paese ho scoperto che si erano tutti sposati, avevano dei figli e un lavoro fisso, cose così, dovevano pagare l’affitto o le rate del mutuo. È stato così che sono finito a gironzolare a Dial House. Lì da un po’ ci abitava Penny, che un giorno mi fa “cosa vuoi?”, e io “sono un punk e voglio formare un gruppo”, e lui “va bene, ci sto, ma la batteria la suono io”.
Penso sia stato facile, ci conoscevamo da un po’, andavamo d’accordo e ce la spassavamo. Tutto lì, anche dopo, quando abbiamo cominciato a suonare sul serio, non si pensava di arrivare più in là del portone di casa. Del tipo che viene qualcuno a trovarti e gli dici “sai, adesso suoniamo in un gruppo punk” e loro rimangono lì sbigottiti. Penny allora aveva trent’anni, forse anche 34 o 35, e io ne avevo 18-19 e c’era questa differenza ma pensavamo vabbé, è punk, fatelo da soli, non ce ne frega niente dell’età e del colore della pelle e del sesso. Non è mai stato un problema, e poi chi vuoi che venga a dirci cosa possiamo e cosa non possiamo fare. È partito tutto da qui, sul serio.

Steve Whale e Giz Butts, 2007

I ragazzi sono solo volgari...

Avevamo deciso di chiamarci Stormtrooper, è durata un paio di giorni poi meno male che abbiamo cambiato nome. Era stata una mia idea, ma non perché avessi tendenze naziste o cosa, solo mi piaceva il nome, avrebbe fatto una certa figura stampato su una maglietta. Pensa che Penny aveva proposto Les Enfants Terribles, che è un libro e un film di Jean Cocteau. Cazzo (ride), sarebbe stato impossibile andare su un palco ed essere aggressivi con un nome così… Poi è venuto fuori il nome Crass da una strofa di “Ziggy Stardust” di David Bowie: “The kids were just crass”, i ragazzi sono solo volgari.
Sin dall’inizio l’idea era di fare da soli, quindi suonare roba nostra, organizzare i concerti per nostro conto, stamparci le magliette da soli. Non abbiamo mai cambiato idea. I vari membri del gruppo suonavano ma non erano musicisti, nessuno sapeva leggere la musica, me compreso. Era davvero strano come riuscissimo a mettere insieme i pezzi per quei testi che scrivevamo.

Il Roxy Club e i primi concerti, e poi cacciati dal Roxy...

Abbiamo suonato lì due volte. Quella che siamo stati interrotti e cacciati credo sia stata forse la quarta o la quinta volta che suonavamo in pubblico. Il nostro primo concerto è stato in un posto occupato in Huntley Street a Londra. Il secondo concerto l’abbiamo fatto al Roxy ed è andato bene, allora ci chiamavamo già Crass. È stato lì che abbiamo conosciuto molti punks di Deptford, tra cui Charlie che suonava in un gruppo sperimentale di nome This Heat. Abbiamo fatto amicizia, siamo andati spesso in giro insieme. Il nostro terzo concerto doveva essere a Covent Garden, una specie di festa per la ricostruzione della zona, ma Penny per qualche motivo non è potuto venire, non ricordo perché, ed al suo posto ha suonato con noi Charlie dei This Heat. Quella volta terribile del Roxy dev’essere stato il nostro quarto o quinto concerto.
A essere onesti non ricordo granché di com’è andata, quello che ricordo piuttosto bene di quella sera è il nervosismo e l’agitazione che mi avevano preso. Erano venuti a sentirci molti miei amici da Deptford e io ero proprio emozionato, continuavano a offrirmi canne ed io a fumarle. Ricordo di essermi sentito male e di aver vomitato sul marciapiede lì fuori. Mi sono ritrovato a dover salire sul palco all’ora in cui di solito andavo a letto. Credo che Pete avesse bevuto appena un po’ e Penny doveva essersi scolato due o tre bottiglie di vino rosso prima del concerto, era così fuori che quando s’è trattato di suonare faceva fatica a riconoscere la batteria. Non credo che quella sia stata per noi la grande rivelazione, come ha scritto Penny, penso piuttosto che sia stata per lui un’importante occasione di svolta, che poi è stata l’occasione di svolta per tutti noi. È stato stupido presentarsi sul palco così rovinati, ma avremmo potuto fregarcene e invece è stato il motivo per darci una regolata: se volevamo sul serio cantare le nostre canzoni allora dovevamo fare sul serio.

Steve Ignorant, 2007

Avete fatto canzoni serie e con un contenuto politico, e le avete sbattute in faccia alla gente.

Abbiamo avuto un po’ di riscontro solo dopo aver pubblicato “Feeding”, già un paio di mesi dopo si vedeva gente ai concerti col nostro nome scritto sui giubbotti. Fino ad allora avevamo solamente scritto le canzoni e le avevamo provate, non avevamo minimamente preso in considerazione l’idea che qualcuno si accorgesse di noi o ci dedicasse un po’ d’attenzione. Credo che quasi tutti noi, me incluso, pensassimo di fare abbastanza schifo: alle mie orecchie un gruppo punk doveva suonare come una specie di Sex Pistols oppure Clash oppure Damned, con quel basso ritmico in evidenza e la batteria pestona. Noi invece no, avevamo questa batteria militaresca e facevamo un rumore strano. All’inizio non abbiamo pensato di fare apposta delle canzoni con un contenuto politico così esplicito come poi invece abbiamo fatto. I testi delle nostre canzoni sono stati letti con attenzione e poi anche copiati, tanta gente ne ha tratto ispirazione.
La faccenda si è fatta seria, sono iniziate ad arrivare lettere di gente che aveva comprato i dischi e ci siamo resi conto che non era posta del tipo “mi piace la musica che fate, mandatemi una spilletta” ma erano ragazzi che ci facevano domande serie e pretendevano da noi risposte precise. Erano lettere davvero serie e problematiche. Quindi dovevamo fare attenzione, bisognava scegliere le parole giuste perché poi la gente le avrebbe esaminate attentamente una per una. Ci siamo ritrovati a non poterci permettere di non fare sul serio. È stato un incubo di merda! (ride) Non ho mai potuto scrivere una cazzo di canzonaccia da stadio su come odiavo il governo… (ride)

La gente che suona assieme in un gruppo deve anche vivere assieme!

Mi ricordo che andavo spesso in giro con gente di altri gruppi tipo i Conflict, si andava spesso al pub insieme, eravamo un gruppo di buoni amici che si davano una mano l’un l’altro, cose così. Ai Crass non piaceva bere quindi non ho granché da raccontare su quando si andava insieme al bar o alla festa di compleanno di qualcuno perché come sai preferivamo starcene fuori dai giri e farci gli affari nostri. Penso sia stato un peccato che noi non si sia stati insieme come un gruppo di amici normale. Quando abbiamo cominciato a farci conoscere abbiamo avuto intorno sempre più gente, ricevevamo sempre più posta e diventavamo sempre più seri. Siamo stati costretti ad adeguarci, anzi no, non è che ci siamo adeguati ma bisognava proprio che la prendessimo sul serio. Certo che si rideva, noi ci divertivamo tanto e sempre, ma è una cosa che non si capisce facilmente dai nostri testi e dai nostri concerti. Come avrei potuto cantare le cose che cantavo con una faccia sorridente?

Scusa Steve, tu non canti in questo album, “Penis envy”...

La prima cosa che ho detto è stata “cazzo, andate tutti affanculo!” ma poi ci pensato su e devo dire che l’idea mi piaceva. A quel tempo tranne forse Patti Smith non c’era nessuno che facesse cose simili, e Patti Smith non era certo dura e radicale come i Crass. Sono tematiche femministe affrontate da un certo punto di vista, nel modo in cui le donne sanno cantarle. Fino ad allora le uniche volte che mi ero ritrovato a che fare col femminismo erano state le manifestazioni in cui si bruciavano i reggiseni. Ho provato a leggere “L’eunuco femmina” di Germaine Greer ma dio che palle... Ho provato anche a leggere “Scum” (La società per l’eliminazione del maschio, ndt) di Valerie Solanas e proprio lo detesto, tutte quelle stronzate sul tagliare le palle ai maschi...
È stata per me una boccata d’aria fresca venire a contatto con questa idea di femminismo, mi ha interessato perché non era più solo una questione di odio e di rifiuto dell’oppressione, mi ha fatto riconsiderare il mio modo di relazionarmi con le donne. Penso che la cosa davvero interessante del disco sia stata il fatto di aver spinto delle altre ragazze a cantare e a fare qualcosa. Ha anche spinto i ragazzi a riflettere e a scrivere testi non sessisti.

Steve Ignorant, 2007

I Crass e l’industria musicale: siete stati in classifica e a Top of the Pops...

Questo non me lo ricordo mica. C’era una rivista interamente dedicata al business delle case discografiche e mi ricordo un giorno una telefonata di John Loder, che ci chiama agitatissimo perché sul giornale risultava che stavamo vendendo più dischi degli AC/DC. Era davvero una cosa pazzesca, mi sembra sia stato quando “Nagasaki nightmare” appena pubblicato è schizzato al 19° posto nella classifica dei dischi più venduti. Mi ha sorpreso quando John Peel ci ha chiamato per il suo programma alla BBC, non pensavo assolutamente che gli interessasse quello che facevamo, ma ovviamente mi sbagliavo. È stato davvero strano sentire le nostre cose trasmesse alla radio. I Crass organizzavano e propagandavano i concerti praticamente per corrispondenza, allora non c’erano telefonini, né computer né posta elettronica. Ci stampavamo i volantini e li diffondevamo ai concerti e in giro, chiedevamo ai gruppi locali che suonavano prima di noi se conoscevano dei posti in cui avremmo potuto suonare, magari a volte saltava fuori che sì, c’è un posto così e così a Preston, ecco il numero di telefono. C’era anche gente che ci telefonava, del tipo “siamo del Worcestershire, abbiamo un tendone, verreste a suonare venerdì prossimo?”, e noi “sì, va bene, veniamo”. Cose così non potrebbero succedere oggi. Sapevamo bene che i Crass non sarebbero mai finiti in televisione: se ci fossimo azzardati a farlo avremmo ricevuto chissà quante telefonate di protesta e di insulti e nessuno sarebbe più venuto ai nostri concerti. E comunque non ci avrebbero certo permesso di cantare canzoni tipo “Do they owe us a living” a Top of the Pops. Sto cercando di ricordare una canzone dei Crass in cui non ci siano parolacce, e non me ne viene in mente neanche una... Certo, eravamo duri e inflessibili e testardi. Nessun compromesso, affanculo.

La responsabilità dei Crass, come gruppo, è stata quella di cambiare la vita della gente.

In ogni posto dove vado mi si parla dei Crass e del loro impatto. Ci sentivamo addosso un’enorme responsabilità. Ancora adesso non so proprio cosa dire a quelli che vengono a dirmi che i Crass gli hanno cambiato la vita. Mi sento responsabile per tutto quello che abbiamo fatto, mi sono dedicato interamente a questo, dovevo essere al 101% delle mie possibilità. Non sarei mai stato capace di svendermi, la mia coscienza non me l’avrebbe permesso. Adesso vivo nel Norfolk, a Stanhope, un paesino dove sulla strada c’è solo un paio di negozi, pensa che nel jukebox dell’unico pub del paese ci hanno messo dei vecchi dischi dei Crass e c’è pure gente che ancora se li ascolta. Sono stato una volta in vacanza in Grecia, ho incontrato un tipo al bar e ci siamo messi a parlare, mi chiede “cosa fai?” e io “cantavo in un gruppo”, e lui “che specie di gruppo?” e io “mah, penso che non ne avrai mai sentito parlare da queste parti, si chiamavano Crass…”. e lui salta sulla sedia e si mette a urlare “cazzo, ma sei Steve Ignorant, cazzo!”, aveva cantato “Do they owe us a living” sotto la doccia proprio quella mattina!
È buffo, ma in tutti i posti al mondo in cui sono stato ho sempre incontrato qualcuno che sa chi erano i Crass o conosce le nostre canzoni. Quindi non c’è stato alcun bisogno di andare a Top of the Pops. Ho visto i Sex Pistols quella volta che ci sono stati e hanno fatto proprio una figura di merda (ride).

Le rogne...

Ci sono state pressioni della polizia per farci smettere di suonare, addirittura sono arrivati a metterci sotto controllo il telefono. Il poliziotto del paese veniva ogni tanto a trovarci, si beveva il tè insieme ma lo insospettivano i barattoli delle nostre tisane… (ride). I punks che scendevano alla fermata della metropolitana a North Weald oppure a Epping e chiedevano di casa nostra venivano indirizzati apposta altrove, oppure li fermavano per accertamenti e li perquisivano in mezzo alla strada. Riguardo al farci smettere di suonare, comunque, non ci sono mai riusciti. Ci hanno vietato di suonare a Bournemouth, mi sembra. E poi ci hanno vietato di suonare entro il confine della città di Londra, ma abbiamo suonato comunque sotto un nome falso, come Shaved Women, questo anche perché in città potevamo permetterci di suonare solo in posti piccoli.
Se avessimo suonato come Crass sarebbe venuta tantissima gente, magari avremmo attirato incursioni degli skinhead. Allora ritrovarsi in mezzo ad atti di violenza ai concerti era piuttosto comune. Conflict, Flux of Pink Indians e tutti gli altri gruppi nostri amici hanno avuto un sacco di rogne ai concerti, anche perché allora i concerti erano autogestiti, li organizzavamo da soli e non c’era bisogno di alcun servizio d’ordine, alla sicurezza ci pensavamo noi ma non sempre tutto filava liscio. Ci sono stati concerti in situazioni orribili, ma anche molti concerti bellissimi.

I Crass sono riusciti a raggiungere i loro obiettivi e a guadagnarsi un posto nella storia del rock...

Beh, penso che ce l’abbiamo fatta. D’accordo, non siamo riusciti a cambiare il sistema, non siamo riusciti a ottenere anarchia e pace e tutto il resto. Adesso si vive ancora tutti come fossimo in televisione, come se ci fosse bel tempo ogni giorno, calma e tranquillità ovunque. Quello che siamo riusciti a ottenere però è stato creare una certa consapevolezza alternativa di cose come la politica, lo stile di vita, i rapporti sociali e l’alimentazione vegetariana.
Sì, penso che ci si possa riferire a questo come il nostro successo. Non sono diventato il proprietario di un qualche studio di registrazione né vado alle feste di Elton John o cose di questo genere. Ecco, per me il nostro successo sta da tutt’altra parte. Come ti ho detto prima, in tutti i posti dove sono stato, sia qui in Inghilterra che in giro per il mondo, ho incontrato gente che conosce i Crass. Siamo riusciti a creare una rete di contatti e a ispirare tanta gente che è poi riuscita ad andare ben più avanti di dove siamo riusciti ad arrivare noi…

introduzione e traduzione dall’inglese di Marco Pandin


“Duemila papaveri rossi”
2 cd con libretto

I due cd contengono 37 canzoni di Fabrizio de André
interpretate da musicisti e gruppi indipendenti.
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Paola Sabbatani e Roberto Bartoli
“Non posso riposare”
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Un cd e un dvd, dodici canzoni da ascoltare e un documentario realizzato da
Mario Bartoli e Giangiacomo De Stefano (Va.C.A. Vari Cervelli Associati).
Una co-produzione Editrice Bruno Alpini, Aparte e stella*nera.

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