rivista anarchica
anno 41 n. 360
marzo 2011


 

Rivoluzione strutturata
e organizzata

Provare a raccontare un sentimento di esclusione e di alterità radicale rispetto all’ordine delle cose che si vuole “naturale”, ma farlo a partire
da un contesto sociale preciso e situato, attraversandone perciò anche le contraddizioni e le impotenze. È il senso del romanzo di Piero Pieri Les nouveaux anarchistes. Atti intollerabili di disperazione a Bologna (Transeuropa edizioni, pp.158, euro 13,50).
Pieri racconta, con molta ironia, la vicenda di un gruppo di persone, studenti, precari universitari, anarchici e poliziotti, e attraverso di loro i rispettivi mondi, sociali e psicologici. Particolarmente corrosivi, ad esempio, gli squarci sulla professione universitaria (quesito sociologico:
perché è pieno di professori che hanno fatto il 68 ma non di professori che hanno fatto il 77?), le sue corrotte modalità di selezione, il baronaggio – cose che Pieri conosce dall’interno, insegnando Letteratura italiana contemporanea al Dams di Bologna (da cui la conclusione: “Le università non
vanno riformate, non vanno ricostruite da zero, non vanno neanche rivoluzionate. Le università vanno fatte brillare”). La vita di un assegnista di ricerca che lavora stancamente sul Fanciullino del Pascoli e di un “pittore scadente” viene scardinata da un’irruzione della polizia, che li ritiene anarco-insurrezionalisti, li incarcera, li tortura. Brutalità che condurrà a una svolta radicale, poiché Rita – la vera anarco-insurrezionalista – si farà vendicatrice dei torti inflitti ai due ex amanti.
È una svolta iperbolica, sul piano della narrazione, ché da quel momento in avanti il romanzo lo si legge ancora di più come metafora e riflessione. Fino a una critica violenta al metodo della Fai – federazione anarchica informale: “Che cazzo significa informale? Siete informali come una giacca di Armani? […] Non è mai stato teorizzato il caos orizzontale… solo a letto si fa il caos orizzontale… vero, Rita?”. Tanto è vero che Rita oscilla tra fughe spaziali in varie comuni misticheggianti e speranze millenariste che non riescano a concretizzarsi se non in pacchi bomba da spedire via posta.
Risposta finale della narrazione, allora, non l’impotente e astratta rivolta di insurrezionalisti, ma una rivoluzione strutturata e organizzata, che parte dai nodi e dalle contraddizioni reali della società: nella fattispecie, dall’esperienza banale di un assegnista frustrato e picchiato.

Marco Rovelli

 

Dal ventre della
scuola-azienda

L’autore (Dario Molino, Il budda, la ragazza, il professore, Besa Editore, Nardò (Le) 2009, pp. 149, euro 15.00) prosegue la sua indagine, relativa al “nuovo che avanza”, dall’interno del suo mondo lavorativo e quotidiano in senso lato. Come aveva già fatto nel precedente romanzo (Itala scola. I delitti di una scuola azienda, Zero in condotta, 2004), si avvale delle tecniche del racconto per rappresentare una forma sociale e culturale nuova che lo sovrasta e gli appare di difficile decifrazione, per i suoi canoni interpretativi consolidati in un tempo che ormai non c’è più. Anche questo libro ha il taglio di un giallo fantascientifico ma, a differenza del primo, tutto ambientato nella “scuola azienda”, per mettere in luce, la riduzione del sapere a merce, l’idiozia della burocrazia scolastica, in questo caso la scuola offre un pretesto per la trama narrativa che, poi, si sviluppa fuori dall’istituzione scolastica. Di questa resta una vivida traccia nella contestualizzazione iniziale del romanzo. Registri elettronici, pass di entrata e uscita per studenti e insegnanti.
Dirigenti super tecnocratici, progressivo incremento del numero di alunni per classe, che hanno portato a continue revisioni, verso l’alto, dei parametri delle ASL per renderli compatibili con le nuove esigenze. Inediti problemi di organizzazione dello spazio in classe. Eccezionale poi la seguente e futuristica descrizione dei bidelli e degli addetti alle pulizie, con placche applicate sotto le ascelle, sulla schiena e sul torace per misurare la sudorazione e, attraverso un complesso sistema di calcolo, definire la loro intensità di lavoro onde stabilire a chi andranno i premi di produttività, gli incentivi economici.
Questo è lo sfondo, diciamo il luogo nel quale operano due dei protagonisti del racconto, un professore e un’alunna, che si svolge però tutto fuori da quell’ambiente e con l’aggiunta di un monaco buddista. A cominciare da una solita gita scolastica a Parigi, la vicenda prende spunto e si incardina nei luoghi tipici della torinesità quotidiana: piazze e piazzette, vie e corsi, bar, osterie, appartamenti del centro storico. Fino al cimitero monumentale di Torino dove il racconto si conclude, tra spari, riti, tombe e depositi di armi. Si svela man mano l’esistenza di un’organizzazione con ramificazioni in Italia e Francia che opera attentati per colpire i nemici della fede, compresi i tibetani, cercando di attribuirlo ad altri gruppi religiosi, in modo da scatenare un conflitto, irriconoscibile, rispetto a quelli che avevano caratterizzato e dinamizzato la vita sociale dell’allora città industriale. Questo è un conflitto di culture, di differenze, di religione. Uno scontro che ha implicazioni “omicide”, infatti qualcuno ci lascia la pelle, la studentessa protagonista è data misteriosamente per morta, per poi ricomparire e tessere, assieme al suo prof., la trama dell’intera narrazione.
È il professore che, forse per la sua formazione e per la sua storia, si pone, più che gli altri, la domanda relativa al senso di ciò che sta accadendo. E la risposta è disarmante, ma rappresentativa dei tempi che sta vivendo. Si tratta di riflessioni amare e solitarie. Passiamo la vita, dice a se stesso, proiettandoci nel futuro, alla ricerca di qualcosa: amore eterno, sesso, denaro, posizione sociale, carriera politica, un mondo diverso, il tramonto dell’impero americano, la vittoria della Santa Fede, l’ultimo modello di Levi’s, un condizionatore d’aria sempre più moderno, mentre nel presente litighiamo con i vicini, ci vengono le coliche renali, facciamo un lavoro precario per 550 euro al mese, nostra moglie se ne va con un altro.
Questo fragile e leggero presente diventerà il nostro passato, conclude, pertanto la nostra memoria, la nostra collocazione nella storia null’altro sarà che un ricordo di litigi, desideri effimeri, vacui, insuccessi e sconfitte personali. L‘incertezza del presente, la sua debolezza esistenziale si insinua a tal punto nel professore portandolo, nei momenti di maggior depressione, a riconoscere la sua sofferenza dovuta a una vita vissuta nel dubbio sistematico: qualche volta non so neppure decidere se stare seduto o in piedi, faccio fatica a immaginare che si possa fare a meno di dubitare praticamente di tutto.

Diego Giachetti

 

Cronache anarchiche:
Umanità Nova nella storia del ’900

Il libro recentemente pubblicato da Zero in Condotta, Cronache anarchiche (1), è una raccolta di contributi di diversi autori sulla storia del periodico anarchico “Umanità Nova” (UN), nato nel 1920 come quotidiano diretto da Errico Malatesta e pubblicato ancora oggi in forma di settimanale. Particolarmente interessante è anche la possibilità di accedere ai numeri originali del giornale raccolti in due dvd allegati al libro.
Come ben spiegato da Gigi Di Lembo nel libro, il processo di gestazione di un quotidiano anarchico inizia nel 1909 con “La Protesta Umana” di Ettore Molinari e Nella Giacomelli, la cui pubblicazione quotidiana dura circa un mese. L’idea continua però a fermentare fino a quando la nascita dell’Unione Comunista Anarchica Italiana (UCAI) nel 1919, poi Unione Anarchica Italiana (UAI) nel 1920 (2), riuscivano a concretizzare gli sforzi raccogliendo fondi sufficienti a garantire l’uscita del giornale quotidiano Umanità Nova diretto da Errico Malatesta il 26 febbraio 1920.
È importante sottolineare che anche questo ambizioso progetto di realizzazione di un quotidiano anarchico “aperto a tutte le tendenze” sia stato caratterizzato inizialmente da una cospicua opposizione interna al movimento e da conseguenti lunghe discussioni sull’opportunità di un tale mastodontico sforzo per un movimento che, anche allora, era ampiamente minoritario e dotato di scarsi mezzi. Va però rilevato come, anche grazie agli sforzi tendenti all’unità da parte di Malatesta, il giornale costituì un elemento progressivamente unificatore degli sforzi di (quasi) tutti gli anarchici e rese possibile un allargamento della base libertaria fra le masse lavoratrici che salutarono con entusiasmo l’uscita di un quotidiano schierato su posizioni apertamente e coerentemente rivoluzionarie. Nell’epoca, uno sbocco rivoluzionario sembrava, infatti, a portata di mano e i socialisti (con un proprio quotidiano, L’Avanti) non riuscivano più a rappresentare il desiderio di cambiamento radicale dei lavoratori.
Il libro descrive bene la parabola del quotidiano che, nonostante si sorregga su una redazione limitata ad un manipolo di compagni e in un contesto anarchico milanese non certo esaltante in termini di militanti (3), già dopo pochi mesi dal primo numero viene giudicato dai socialisti pericoloso per via del contagio anarchico in atto: la Kuliscioff scrive, infatti, a Turati che “ormai l’Avanti è quasi boicottato e gli operai non leggono che l’Umanità Nova, che mi dicono superi ora le 100.000 copie” (4). L’occupazione delle fabbriche di settembre 1920 probabilmente segna il massimo
splendore del quotidiano. UN sostiene lucidamente le posizioni più avanzate del proletariato che viene, invece, tradito dai socialisti e dalla Confederazione Generale del Lavoro (CGL) che accettano il compromesso col padronato, portando alla sconfitta totale il movimento e aprendo la strada alla repressione che colpirà soprattutto gli anarchici, inclusa la redazione di Umanità Nova (5).
La prolungata e ingiustificata detenzione in attesa di giudizio di Malatesta, Borghi e Quaglino, rei soltanto di aver sostenuto pubblicamente le proprie posizioni politiche attraverso il giornale, e il conseguente sciopero della fame proclamato dai prigionieri e che metteva a rischio la vita del settantenne Malatesta, generano una fibrillazione nella base anarchica esasperata dall’abbandono degli anarchici al loro destino da parte dei socialisti e della CGL.
È in questo contesto di gravi tensioni che alcuni simpatizzanti anarchici, individualisti, nel marzo del 1921 promuovono un attentato dinamitardo contro il questore Gasti presso il Teatro Diana di Milano che provocherà ventuno morti e più di centocinquanta feriti (6). L’obiettivo della bomba scamperà all’attentato e addirittura esiste il concreto sospetto che ci siano state delle false informazioni poliziesche per indirizzare l’attentato. L’effetto immediato è comunque deleterio per tutto il movimento: la distruzione della redazione e della tipografia di UN da parte dei fascisti, la caccia all’anarchico ovunque e la sostanziale scomparsa della simpatia popolare fino ad allora dimostrata nei confronti degli anarchici e del loro quotidiano. E il fascismo guadagnerà simpatie popolari fino ad allora inesistenti e da allora avrà mano sostanzialmente libera per “normalizzare” la situazione. “Da allora, i fascisti capirono che le bombe e il terrorismo potevano costituire un ottimo strumento per realizzare i loro fini e la storia italiana successiva prova senza dubbio che cercarono di utilizzare ancora questo strumento. Ma anche gli anarchici impararono la lezione e, da allora, si tennero lontani da tentazioni dinamitarde.” (7)
Il libro procede poi a tracciare il nobilissimo cammino di resistenza che i compagni in Italia ed all’estero cercarono di opporre ad una situazione politica ormai drasticamente divenuta inospitale per un giornale anarchico di lingua italiana. Umanità Nova comunque sopravviverà trasferendosi a Roma dal maggio 1921 fino al luglio 1922 in forma quotidiana e poi settimanale dall’agosto 1922 al dicembre 1922 (8). Ma la storia di UN scacciata dal fascismo ormai imperante in Italia riesce a risorgere anche nel lungo esilio del ventennio a New York (9), Buenos Aires (10) e Parigi (11) e successivamente nella resistenza in diverse città italiane (12). Ed è questa anche la parte di storia relativamente sconosciuta sulla quale Cronache Anarchiche finalmente getta piena luce. L’ultimo articolo di Martina Guerrini analizza una serie di articoli apparsi sull’edizione fiorentina di Umanità Nova dedicati all’universo femminile che, quindi, si guadagna la visibilità che merita nella storia del periodico anarchico.
Per concludere il piacere di condividere la lettura di questo bel libro voglio ricordare che, come è stato giustamente sottolineato da emmerre in una precedente recensione del libro (13), la “nostra” Umanità Nova è risorta dopo la guerra in forma settimanale ed è ancora viva e attiva da allora a differenza di molte altre testate storiche di movimenti politici, pur non usufruendo di alcun contributo pubblico. Mi è quindi gradita l’occasione per salutare e ringraziare le compagne ed i compagni che nel corso degli anni si sono impegnati volontariamente e gratuitamente nella redazione (che cambia frequentemente le proprie componenti) e che mantiene viva la voce degli anarchici italiani. E suggerisco a tutti i lettori di A di abbonarsi anche ad Umanità Nova perché in Italia abbiamo bisogno di giornali liberi che non rappresentino i soliti gruppi di potere e siano indipendenti anche dal contributo statale e Umanità Nova è forse l’unica occasione (14).

Marco Gastoni

Note

  1. Cronache anarchiche. Il Giornale “Umanità Nova” nell’Italia del Novecento (1920-1945), a cura di F. Schirone, Ed. Zero in Condotta, 2010 con 2 dvd, € 28. Scritti di De Agostini, Di Lembo, D’Errico, Galzerano, Guerrini, Ortalli, Pagliaro, M.Rossi, Sacchetti, Scaliati e Schirone. Nei due DVD allegati è contenuta la raccolta completa, digitalizzata, del quotidiano anarchico «Umanità Nova» (1920-1922), edizione di Milano e Roma. Seguono le edizioni dell’esilio: USA (1924-1925), Argentina (due numeri unici, 1930 e 1932) e Francia (1932-1933). Il lavoro si conclude con la raccolta di «Umanità Nova» pubblicata in Italia nel periodo della Resistenza: Firenze (1943-1945), Genova (numero unico in occasione dell’insurrezione contro il nazifascismo, 22 aprile 1945) e Roma (1944-maggio 1945).
  2. “La caratteristica principale dell’UCAI fu il suo essere un’organizzazione di tendenza fondata sui principi del comunismo anarchico. L’organizzazione che ne prese il posto dopo il suo scioglimento, l’Unione Anarchica Italiana, si costituì invece su pressioni di Malatesta come un’organizzazione di sintesi, aperta cioè a comunisti anarchici, individualisti, sindacalisti, pacifisti, insurrezionisti, ecc.” da Anarchopedia (http://ita.anarchopedia.org/Unione_Comunista_Anarchica_Italiana). Sull’esperienza dell’UAI si veda M. Antonioli, T. Antonelli ed altri, L’Unione Anarchica Italiana. Tra rivoluzione europea e reazione fascista (1919-1926), Zero in Condotta, Milano, 2006, pp. 312.
  3. Si veda l’analisi di Mauro De Agostini (Cronache Anarchiche, pag.43-44) sull’articolo di Dante Pagliai del marzo 1921.
  4. Due tra le personalità più influenti del socialismo dell’epoca. Il brano della lettera dell’agosto del 1920 è tratto da Cronache Anarchiche pag.29. La Kuliscioff sovrastima la diffusione di UN (100.000) che Franco Schirone più conservativamente valuta in 60.000 nel 1920 ma si ricordi che l’Avanti nello stesso periodo ne tira 70.000 (Cronache Anarchiche, pag.227).
  5. La redazione di Umanità Nova è infatti arrestata al completo e riesce a sfuggire soltanto il caporedattore Gigi Damiani che garantirà sorprendentemente l’uscita del giornale in quelle condizioni di latitanza anche grazie allo sforzo di numerose compagne e compagni.
  6. Si veda il saggio di Giuseppe Galzerano nel libro: vedi anche Vincenzo Mantovani, “Anarchici alla sbarra-La strage del Diana tra primo dopoguerra e fascismo”, Il Saggiatore/Net, Milano, nuova edizione 2007.
  7. Marco Gastoni “Anarchici alla sbarra”, Umanità Nova, n.29, 2010.
  8. Si vedano i contributi di Giuseppe Scaliati e di Giorgio Sacchetti nel libro che ben descrivono questo periodo.
  9. 18 numeri tra il 1924 al 1925: si veda l’interessante contributo di Giulio D’Errico nel libro.
  10. 2 numeri unici nel 1930 e nel 1932: cfr Angelo Pagliaro nel libro.
  11. 10 numeri fra il 1932 e il 1933 sotto diversi titoli per sfuggire alla persecuzione delle autorità francesi, cfr Franco Schirone nel libro.
  12. 16 numeri fra il 1943 e il 1945 a Firenze, 22 numeri fra il 1944 e il 1945 a Roma e un numero unico del 25 aprile 1945 a Genova, cfr Marco Rossi nel libro.
  13. Emmerre “Cronache Anarchiche”, Umanità Nova, n.41, 2010 (http://www.umanitanova.org/n-41-anno-90/cronache-anarchiche).
  14. Abbonati a UN! Per copia saggio gratuita richiedere a: email: unamministrazione@virgilio.it postali: Federico Denitto Casella Postale 812 34132 Trieste centro. Abbonamento 55 € annuale, 35 € semestrale, 65 € abb.+ gadget, 80 € estero o sostenitore. Versamenti sul ccp n. 89947345 intestato a Federico Denitto Casella Postale 812 34132 Trieste centro. Per bonifici bancari: IBAN: IT88Q0760102200000089947345 CODICE BIC/SWIFT: BPPIITRRXXX intestato sempre a Federico Denitto. Quest’anno chi si abbona a 65 euro può scegliere tra diversi gadgets (http://www.umanitanova.org/abbonamento).