rivista anarchica
anno 41 n. 360
marzo 2011


autoeditoria

Riprendersi la parola
di Claudia Vio

L’autoeditoria non è altro che quella editoria dove l’autore si fa responsabile in prima persona delle modalità di produzione e di circolazione delle proprie opere. L’autore-editore scrive, produce e diffonde i propri libri secondo criteri che lui stesso ha stabilito.

 

Aut Aut

Nel 2007 si è svolta a Venezia la rassegna “Aut Aut – Autrici e autori autoprodotti”. Cinque incontri, da gennaio a febbraio, per accendere l’attenzione sull’autoeditoria e dare voce alle esperienze di autoproduzione presenti nel territorio. Protagonisti dell’evento quanti si dedicano a scrivere letteratura – romanzi, poesie, racconti – con un tratto in comune, l’avere cercato uno sbocco editoriale alternativo a quello dell’editoria tradizionale. Destinatario della manifestazione era il grande assente dalla scena letteraria: l’autore inedito.

Intorno all’editoria

Una moltitudine di “aspiranti scrittori”, di fantasmi, ruota intorno alle case editrici, migliaia di autori ignoti che tentano la strada della pubblicazione.
Che li spinga la vanità personale oppure la persuasione di avere compilato il best-seller dell’anno, o che semplicemente vogliano provarci, per tutti l’editoria si rivela presto una porta chiusa. Non un ponte per arrivare al pubblico, bensì un ostacolo, uno stop.
Ai pochissimi autori che hanno la fortuna di suscitare l’interesse di una casa editrice, corrisponde una massa di esclusi. La stragrande maggioranza di questi reietti non si dà pace, di fronte al rifiuto di un editore riprova con un altro.
La pervicacia con la quale gli aspiranti scrittori si dannano a cercare a tutti i costi un editore nasce da un convincimento ben radicato: la pubblicazione equivale a una sorta di investitura, di patente, senza la quale l’autore non può essere considerato davvero uno scrittore. Non lo riconoscono come tale i lettori; l’autore stesso è incapace di pensarsi scrittore senza uno straccio di pubblicazione.
Questa sudditanza agli editori non è campata in aria, si fonda su una realtà inoppugnabile. Nell’industria del libro, e specificamente in quel settore che produce letteratura contemporanea, l’accredito di un editore è davvero indispensabile. Il vantaggio di essere pubblicati non consiste nella moltiplicazione delle copie stampate, quanto nel riconoscimento del valore letterario che la pubblicazione esprime: per il fatto stesso di pubblicare un autore, l’editore dichiara che quell’autore merita di essere letto.
Nel mercato letterario l’editore è l’unico soggetto che ha il potere di conferire questa sorta di attestato, mancano i luoghi dove gli autori inediti possano misurarsi con il giudizio dei lettori e trarne le debite conclusioni. Le riviste letterarie sono decedute una dopo l’altra nel secolo scorso, università e biblioteche si occupano di scrittura letteraria solo quando è celebrata dall’editoria, le recensioni sono evaporate dai giornali, i premi si concentrano sugli autori pubblicati. Anche i salotti letterari sono implosi, come l’elité alto-borghese che li animava, in bilico fra mondanità e la critica paludata.
Di norma, la prima pubblicazione è decisiva. Essa è il trampolino per accedere alla pubblicazione successiva, magari con un editore di maggior calibro in grado di garantire un pubblico più vasto, che inneschi le vendite e collochi finalmente l’autore tra gli scrittori a tutti gli effetti. Senza quel primo vagito, l’autore rimane un inedito a vita. È un circolo vizioso: per essere pubblicati occorre avere pubblicato.

L’accredito

Ho detto che gli editori hanno il potere di accreditare gli autori. E che essi detengono di fatto il controllo esclusivo dell’accredito, solo attraverso di loro avviene il riconoscimento della qualità di un’opera, di un autore.
Occorre sottolineare la centralità dell’accredito nell’editoria letteraria. A differenza degli autori di saggi, gli scrittori di romanzi o di poesie non possono testimoniare il proprio valore se non attraverso i libri che pubblicano. I saggisti, di solito, hanno accumulato altrove le proprie credenziali, fuori dell’editoria: sono cattedratici, oppure giornalisti, o membri di istituzioni prestigiose. Per la produzione letteraria non esiste niente di simile.
Per loro c’è il giudizio dei lettori, del pubblico. Ma il punto di vista del pubblico è mediato dagli editori. Gli editori ne interpretano i gusti attraverso la cartina di tornasole delle vendite. Il buon libro è il libro che vende. Il valore di un autore è subordinato al suo appeal commerciale.
La qualità letteraria coincide dunque con il successo commerciale, non è un quid posseduto dall’opera in sé e per sé. Marketing e promozione sono i due campi che assorbono i maggiori investimenti, l’uno per indovinare l’orientamento dei lettori, l’altro per modellarlo secondo le esigenze della produzione editoriale. Pubblicare significa appunto mettere in atto quelle operazioni preliminari che vanno sotto il nome di “marketing” e quelle che accompagnano la circolazione del prodotto, che ricadono nella “promozione” .
Per gli “aspiranti scrittori” la vita è dura. Essi non hanno il modo di collegarsi al pubblico, perché i canali della comunicazione coincidono con quelli della promozione, interamente controllati dagli editori. Gli editori ottengono recensioni sui giornali, passaggi televisivi, partecipazioni a manifestazioni letterarie, presentazioni nelle grandi librerie. Inaccessibili per chi non ha pubblicato.
Trasformare un illustre sconosciuto in un autore degno di essere letto è un’impresa commerciale che richiede forti investimenti, il gioco deve valere la candela. Può farlo, con qualche speranza di successo, solo una grande casa editrice, la quale ha anche i mezzi per assorbire un eventuale flop. Certamente non è alla portata delle piccole case editrici, per loro il rischio è troppo grande. Infatti non pubblicano esordienti. Sia l’una che l’altra sono interdette agli autori sconosciuti, proprio perché sono sconosciuti.
In questa situazione è stupefacente il comportamento degli aspiranti scrittori, sembrano incapaci di decifrare la realtà. Accecati da un idealismo deteriore, essi faticano a collocare gli editori nella cornice “miserevole” dell’economia, a concepire l’opera letteraria come il frutto di un sistema di produzione regolato dal mercato. Sono persuasi che l’etichetta di una casa editrice sia indispensabile alla loro immagine, non riescono a farne a meno. Se non trovano l’editore disposto a rischiare, arrivano al gesto estremo: pagano un editore perché li pubblichi.

Perché pubblicare?

Eppure la reazione degli esclusi potrebbe essere diversa, anche a tutela della loro salute mentale. Gli autori dovrebbero mettere da parte per un po’ il problema personale (sono o non sono uno scrittore? ho scritto qualcosa di buono?) e considerare le cose da un altro punto di vista. Se fossi un editore, potrebbero chiedersi, pubblicherei ciò che ho scritto? Come mi comporterei per far conoscere il mio libro? Soprattutto: perché voglio pubblicare?
Ponendo a se stessi i quesiti che di norma sono demandati agli editori, gli autori si renderebbero conto che i loro interessi non coincidono con quelli degli editori. Potrebbero perfino immaginare un percorso editoriale su misura delle loro esigenze, non delegato agli editori.
Chiarire il proprio fine e scegliere i mezzi che gli sono congrui è il primo passo per l’autoeditoria, tema della rassegna veneziana a cui accennavo all’inizio. L’autoeditoria non è altro che quella editoria dove l’autore si fa responsabile in prima persona delle modalità di produzione e di circolazione delle proprie opere. L’autore-editore scrive, produce e diffonde i propri libri secondo criteri che lui stesso ha stabilito.
Tra immaginarsi editori e l’esserlo davvero il passo è breve, tutto sommato, e ha radici nel do it yourself di antica memoria. Implica la volontà di riprendersi la parola, togliendo agli editori quel ruolo di filtro nel rapporto fra gli autori e i lettori, che dà loro un potere immenso sugli autori. Comporta un’assunzione di compiti decisionali da parte dell’autore, che vanno oltre la semplice stesura del testo. In quanto editore egli stabilisce se orientare la sua produzione sul profitto, oppure se sono preferibili lo scambio e la gratuità; se avvalersi della pubblicità o se puntare sulla nuda informazione, e così via. Attraverso le sue scelte di “politica editoriale” l’autore esprime un giudizio di valore sul sistema di produzione della cultura e sceglie la propria collocazione. Si autodetermina rispetto al contesto, anziché subire le scelte di un editore.
L’autoeditoria presuppone che l’autore pensi alla pubblicazione non come a una proiezione del proprio ego in cerca di conferme, ma come il tassello di un quadro più vasto dove pubblicare in un modo piuttosto che un altro è un atto politico, cioè comporta conseguenze che vanno oltre il singolo autore perché hanno una ricaduta collettiva. L’autore-editore è impegnato su un doppio fronte, ovviamente; deve oggettivare se stesso. Serve un pizzico di elasticità mentale per agire pro se stessi in quanto autori e contemporaneamente prescindere da sé in quanto editori. L’alternativa però è restare muti.

Dentro l’autoeditoria

L’autoeditoria non garantisce nulla circa la qualità dei libri che produce, non nasconde tesori. È un mito romantico credere che fra gli inediti si celino capolavori, mentre nella grande editoria trionferebbero libri mediocri perché tarati su un mercato di massa. Ed è altrettanto vero che fra gli inediti abbondano i libri scadenti (per forza, aggiungo, se non può nutrirsi dell’apporto dei lettori, il talento si atrofizza).
Analogamente l’autoeditoria non è necessariamente una forma di “lotta al capitalismo”, può benissimo essere scelta dall’autore con il bernoccolo degli affari, che vuole mettersi in proprio per guadagnarci (ma in questo caso farebbe meglio ad affidarsi alla grande editoria, che meglio di lui sa come trasformare i libri in denaro sonante).
Infine l’autoeditoria non predilige alcuni contenuti piuttosto che altri, né tantomeno li prescrive.
La sua virtù è un’altra e risiede nel principio antiautoritario che la anima. L’autoeditoria sottrae agli editori il monopolio dell’accredito, colpisce gli editori nel loro ruolo esclusivo di “garanti della qualità degli autori”, di intermediatori fra gli autori e i lettori, ruolo che essi esercitano selezionando le opere secondo i criteri del profitto.
Il fondamento antiautoritario è la condizione per creare più ampi spazi di libertà. Solo nell’autoeditoria le necessità letterarie dell’autore (di comunicare, di verificare la tenuta della sua scrittura, di interagire con i lettori) possono prevalere su quelle commerciali. Nessun altro editore fuorché l’autore stesso può fare una scelta simile.
Le esigenze della scrittura spingono a cercare i lettori in situazioni diverse da quelle piegate alle esigenze del lucro. L’autore-editore privilegia il contatto diretto con i lettori, l’incontro di persona, il dialogo, il rapporto con le associazioni, perché i lettori sono i suoi interlocutori. Ai lettori chiede che interagiscano con lui, li fa partecipi dell’autoeditoria. Egli trascura, perché non essenziale, la distribuzione commerciale.
L’autore-editore usa i mezzi che facilitano l’accesso ai suoi testi, perché per lui è importante essere letto. La vendita è perciò subordinata alla circolazione: reading, assaggi letterari, iniziative autofinanziate e autogestite sono le occasioni preferite dall’autore-editore.
Autofinanziata e autogestita era anche la rassegna “Aut Aut”, promossa e realizzata da Unica Edizioni, la mia piccola casa editrice creata nel gennaio 2006 per i miei racconti, e da Scoletta dei Misteri di Antonella Barina, autrice-editrice presente nella rassegna con “Edizione dell’Autrice”, rivista di poesie e racconti registrata nel 2005, ma già presente nei reading in forma episodica un paio d’anni prima.
Entrambe le autrici pubblicano solo se stesse, non altri autori. Ciascuna pratica l’autoeditoria con proprie motivazioni, com’è ovvio. Per quanto mi riguarda la decisione di creare una casa editrice con tanto di Partita Iva, smisurata rispetto alle esigenze reali, ha un significato simbolico. Il paradosso esprime la volontà di riappropriarmi della componente gestionale dell’editoria, saldando in un’unica figura il ruolo direttivo, tipico dell’editore, con quello esecutivo o, peggio ancora, di fornitore della materia prima agli editori, solitamente assegnato agli autori. Una casa editrice “in piena regola” rende lampante cos’è l’autoeditoria: figlia dell’autoproduzione, essa ricompone una scissione profonda nella divisione del lavoro, che spesso rimane in ombra.
Anche l’accento posto sull’individualità mi sembra importante. Sebbene l’autoeditoria possa realizzarsi in forma associativa, tuttavia è solo nella forma individuale che il principio antiautoritario si afferma in modo limpido, perché sgombra la strada da possibili equivoci, quali si generano quando il soggetto editoriale è un gruppo: inevitabilmente il gruppo viene percepito come “colui che accredita” i singoli autori, facendo rientrare dalla finestra ciò che è uscito dalla porta. Se poi il gruppo si costituisce su una base ideologica (l’autoproduzione come forma di produzione antagonista a quella capitalista), ancora di più l’accredito discende dall’alto di un’autorità precostituita, l’ideologia appunto, anziché fondarsi sull’autore stesso. Il nome “Unica” è un adattamento prosaico, addomesticato, dell’Unico di Stirner. A buon intenditor.

Prospettive

La rassegna del 2007 aveva lo scopo di raccogliere e mettere in contatto esperienze locali analoghe a quelle delle due promotrici. O quanto meno affini. Spesso le associazioni di scrittori svolgono un’attività che di fatto è un lavoro editoriale, perché propongono iniziative culturali, inventano forme di circolazione dei loro scritti, promuovono incontri con il pubblico in luoghi anomali; eppure, quando si tratta di pubblicare i loro testi, anche le associazioni si rivolgono a un editore e lo pagano. Si tratta dunque di comprendere che là dove si svolge un’attività volta a rendere pubblici degli autori, si deve parlare di editoria. Senza soggezione verso gli editori. Anche gli autori e le autrici che stampano in proprio, che cioè rinunciano, dignitosamente, all’etichetta editoriale sulla copertina, sono già con un piede nell’autoeditoria, purché questa loro scelta non sia vissuta come ancella dell’editoria, o premessa per il “salto di qualità”.
Ad “Aut Aut” sono seguite negli anni altre iniziative, promosse ora da Unica Edizioni ora da Edizione dell’Autrice, in aggiunta alle attività svolte individualmente per i propri libri. L’obiettivo è sempre promuovere l’autoeditoria, fare rete, confrontare e condividere le esperienze. Che sono ancora sporadiche, per la verità; la resistenza degli scrittori a “fare da sé” è fortissima, niente di paragonabile a quanto avviene fra gli artisti o nell’ambito della musica, dove l’autoproduzione è diffusissima.
Nelle iniziative di questo tipo l’idea di fondo è che l’autoeditoria possa e debba diventare un valore sociale. Proprio qui, nel collegamento fra i soggetti sparsi che praticano l’autoeditoria, essa abbandona la dimensione individuale, si socializza, e perciò implica un orientamento politico. Questo orientamento non può che essere libertario, perché fruttifero della massima libertà possibile, in consonanza con il nucleo antiautoritario che sta all’origine dell’autoeditoria.
Per questo motivo è di grande importanza il fatto che iniziative di autoeditoria siano state realizzate dall’Ateneo degli Imperfetti – Laboratorio di cultura libertaria di Marghera e a Fuori Posto di Mestre. Il primo, ha organizzato nel giugno scorso “Festa d’artista” con Federico Zenoni, milanese, creatore della Casa Editrice Libera e Senza Impegni “per l’autoproduzione di manufatti artistico-editoriali e sonori a tiratura limitatissima e saltuaria, realizzati artigianalmente con materiali riciclati”.
A Mestre, nel teatrino dell’associazione Fuori Posto, sede anche dell’associazione che da anni autoproduce la rivista “ApArte – Materiali irregolari di cultura libertaria”, si è svolta in ottobre la rassegna di autoeditoria “Dopo l’ultima parola”, dove protagoniste erano le diverse modalità attraverso le quali gli autori rendono pubblico il proprio lavoro (pubblicare non significa per forza riprodurre, a mezzo stampa o in web).
Autori e autrici che si autoeditano sono ancora pochi, come dicevo. Ignari l’uno dell’altro e difficili da reperire. Eppure proprio ora è importante che l’autoeditoria trovi una definizione libertaria. O meglio: è necessario che l’autoeditoria concorra a tenere saldi i principi libertari. L’urgenza è dettata dai fatti. Le case editrici a pagamento, cresciute vertiginosamente negli anni Novanta del secolo scorso, oggi sono un’infinità e dilagano nel web. I siti di autopubblicazione, di “autoeditoria”, si rivolgono agli aspiranti scrittori, ai quali sbandierano la “libertà” di cui possono godere pubblicando da sé, ovviamente “con il supporto” dei siti stessi. In modo capillare, e con investimenti enormi in pubblicità, l’autopubblicazione mira a raggiungere uno per uno i desaparecidos dell’editoria, attirandoli sotto la bandiera della libertà. L’aspetto cruciale di questo fenomeno non riguarda tanto le sorti degli aspiranti scrittori, non è questo che allarma, quanto l’idea di libertà che viene veicolata da questi siti. È una libertà scempiata, distorta, fatta a brandelli: sulla quale però si va modellando un mercato vastissimo.
Vogliamo parlarne?

Claudia Vio

Autoeditoria/Per saperne di più

Nel sito di Unica Edizioni (www.unicaedizioni.com) sono scaricabili in pdf gli opuscoli della collana “Appunti di autoeditoria” scritti a partire dal 2007 con riflessioni sull’autoeditoria. L’ultimo opuscolo, Bizzarro Infernale, esamina l’autopubblicazione in web. Nel blog collegato al sito la categoria “Segnalazioni” contiene informazioni su autori autoprodotti.

Indirizzi utili:
Claudia Vio: claudia.vio@alice.it
Ateneo degli Imperfetti: digasta@tin.it
Fuori Posto: http://fuoriposto.altervista.org
Edizione dell’Autrice: www.edizionedellautrice.it
F. Zenoni (Casa Editrice Libera e Senza Impegni): www.myspace.com/liberaesenzaimpegni

La nota che segue rende conto dello sforzo compiuto per divulgare l’autoeditoria nel veneziano e ne disegna le ramificazioni.
Ho parlato di autoeditoria in: “M_editando”, incontro sull’autoeditoria presso la galleria d’arte A+A di Venezia (2007) con Edizione dell’Autrice e Auteditori; Autoproduzione in un’autointervista, “Leggere Donna” (Maggio-Giugno 2007), auto-intervista di A. Barina e C.Vio; Esperimenti editoriali nel settore librario italiano: produrre dal basso!, tesi di laurea di A. Zabatino, Ca’ Foscari (Economia e Gestione delle produzioni culturali, 2009); Circolo dei Lettori di Torino (Maggio 2009): incontro con Unica Edizioni e Edizione dell’Autrice; alla Torre Civica di Mestre “Editarsi o farsi editare. Questo è il dilemma”, incontro promosso dalla Municipalità di Mestre-Carpenedo in collaborazione con la Biblioteca n.12 – Terraglio, coordinamento di Ruggero Lazzari (Febbraio 2009), con Auteditori, Edizioni Centro Internazionale della Grafica di Venezia, Edizione dell’Autrice, Autoedizioni dell’Ultima; all’Università Ca’ Foscari di Venezia in “L’autoeditoria. Una nuova proposta per la comunicazione letteraria”, conferenza A. Barina, A. Pagan, C. Vio (Marzo 2010); nella rubrica “Spazio Donna” di Radio Cooperativa di Padova; a Villa Settembrini di Mestre con Bizzarro Infernale nel ciclo “L’Editoria culturale in Veneto” a cura della Regione Veneto; al Salone Internazionale del Libro di Torino, ospite della Regione Veneto con Bizzarro Infernale; all’Istituto Tecnico Luzzatti di Mestre nel ciclo “LetteralMente” (Maggio 2010); a Libri in Cantina – Mostra nazionale della piccola e media editoria, con Bizzarro Infernale (Ottobre 2010).
Di Unica Edizioni e Edizione dell’Autrice hanno parlato Mario Marchetti, Tra scrittura e autoeditoria, “L’Indice dei Libri”, Luglio-Agosto 2007; Alessandra Pagan in Editare se stessi. Realtà veneziane, Sinopia Edizioni (2010); Max Citi nel blog “Fronte&Retro”.

Ricordo inoltre gli incontri promossi da Edizione dell’Autrice in collaborazione con Unica Edizioni al Salone dell’Editoria di Pace di Venezia “Io m’edito, tu medita” (2007) con A.Barina, A. Pagan, C.Vio e nella rassegna FrariFuori di Venezia gli incontri “M’editare” (2009), “M’Editare – Riflessioni su autoeditoria e dintorni” (2010), seguiti dalla mostra presso la Torre Civica di Mestre “M’Editare – Mostra di autoeditoria e dintorni” (Febbraio 2010). Infine la rassegna “Fuori dal Coro”, organizzata da Alberto Rizzi presso la libreria Effetti Personali di Padova. (Aprile 2010).