rivista anarchica
anno 41 n. 364
estate 2011


dibattito anarchismi

Pensieri ibridi e aperti
a cura di Andrea Staid

In questa sesta puntata interviene Andrea Papi. E proponiamo una recensione.
Fatevi sotto, mandateci le vostre riflessioni.


Umanesimo anarchico

La specie umana appare sempre più priva di sentimenti di solidarietà fra i suoi componenti, come pure di compassione e comprensione per gli altri esseri viventi. È un’umanità che sembra disumanizzarsi progressivamente. Noi, che abbiamo compassione di noi stessi per questa abissale decadenza, sentiamo l’impellente necessità di riappropriarci di un profondo spirito umanitario, per reimpostare una nuova qualità dello stare insieme, per essere parte del mondo nel mondo e per tendere ad essere parte integrata ed elemento dinamico di interventi creativi nei contesti in cui operiamo.
C’è bisogno di una nuova collocazione dell’uomo nel pianeta e nell’universo, una vera e propria radicale ri/collocazione culturale, per diventare consapevoli di essere parte dello status dinamico della terra che ci ospita. È l’affermazione del bisogno di un nuovo umanesimo, antitetico all’umanesimo tradizionale che, completamente immerso in una visione antropocentrica, colloca l’uomo al centro di tutto.
È sempre più impellente il bisogno di un’umanità finalmente aperta e disponibile all’incontro col mondo, al contrario di come ha sempre fatto e continua a fare incitata da un’antropologia il cui fondamento culturale è sempre stato l’appropriazione dell’altro da sé, per dominarlo e sottometterlo ai propri bisogni e alla propria volontà. L’antropocentrismo ancora trionfante è un paradigma ormai usurato e vecchio, che ci si sta riversando addosso perché non funziona più. Se, in piena coerenza coi bisogni e le finalità da perseguire, si sapesse accogliere la nuova consapevolezza, indispensabile per un cambiamento necessario, non potrebbe che avere caratteristiche che collimano coi valori e le proposte fondanti dell’anarchismo.

Le possibilità dell’eguaglianza

Parlare di un nuovo umanesimo anarchico allora non vuol dire perorare una causa tutta e solo interna all’anarchismo. Bensì significa rendersi consapevoli che è l’umanità intera che ha bisogno di riscoprire se stessa e di ridefinire la propria collocazione nel mondo e nell’universo. I presupposti di questa nuova fondazione, capace di ridare senso all’esistere come possibilità e capacità di esserci, porteranno “naturalmente” ad assumere i presupposti che sviluppano in pieno e fino in fondo le possibilità dell’uguaglianza, della libertà e della solidarietà, che sul piano delle relazioni sociali si traducono nella realizzazione della giustizia. Valori e metodi scaturiti dalla tradizione libertaria e anarchica fin dalle origini.
Al contempo lo stesso anarchismo non potrebbe che trovare beneficio e qualità di rinnovamento dallo stimolo dato dal bisogno della specie di riumanizzarsi. Dovrebbe gioirne, a meno di non volersi ridurre a scivolare verso una storicizzazione paralizzante. Fin dalle sue origini l’anarchismo ha avuto una propensione e un respiro universali, possiede cioè valore e senso oltre i limiti di specifici territori e di specifici periodi storici. Ma per rispettare questa sua propensione non può accettare di farsi irretire in irrigidimenti teorici, o peggio ideologici, che lo ingabbierebbero in una standardizzazione che non gli appartiene. Per potersi manifestare l’anarchismo ha bisogno di potersi esprimere in tutte le sue possibilità, di esternare e manifestare il pluralismo che gli è proprio e connaturato.
Partiamo dal presupposto/constatazione che il vecchio paradigma dominante ha smesso di funzionare. Non serve più a sostenere e spiegare i movimenti che sottendono all’interpretazione delle dinamiche della realtà. L’idea base dell’antropocentrismo, secondo cui tutto esiste in funzione dell’uomo, considerato animale superiore cui tutto è dovuto e con la facoltà di ridurre ogni cosa ed essere vivente al proprio esclusivo vantaggio, è smentita continuamente e sempre di più ripugna alla coscienza civile. Inoltre i conseguenti effetti pratici di questa visione del mondo stanno diventando ogni giorno più nocivi e disastrosi: dall’intossicazione mediatica, alla schiavizzazione e all’impoverimento di grandi masse di esseri umani sottomessi da spietate oligarchie al potere, alla distruttività di un permanente stato di guerra, all’avvelenamento dell’acqua dell’aria e della terra. Sono i risultati del trionfo del dominio antropocentrico, che da troppi millenni impera nelle nostre menti, indirizzando scelte e modi di vivere e portando seco distruzione e impoverimento.
Dovremmo riappropriarci del profumo della libertà di esprimersi, di manifestarsi e di essere creativi. Le relazioni sociali, oggi intrise di potere, cioè di momenti e luoghi di imposizione e sottomissione, dovrebbero essere ridefinite all’insegna del riconoscimento reciproco, della non prevaricazione, di una gestione paritaria e condivisa oltre strutture e logiche gerarchiche e di comando. Bisognerebbe cominciare a sentirsi collettivamente parte integrata degli ecosistemi in cui viviamo, i quali per funzionare hanno necessità che tutte le loro componenti, dalle più piccole alle più grandi, siano cooperanti reciprocamente, senza che nessuna assuma il comando sulle altre o accumuli più di ciò di cui ha bisogno. In un ecosistema l’energia disponibile si distribuisce spontaneamente in modo autoregolato e non nocivo, senza bisogno di erigere centrali da cui dipendere.

Giorno dopo giorno fin da ora

Dovremmo diventare consapevoli che siamo immersi nella complessità. Anche individualmente siamo sistemi complessi che sono parte di sistemi ancora più complessi, dove l’idea di ordine che ci ha dominato per millenni perde di senso e di valore. Non c’è un ordine a priori cui bisogna conformarsi, come erroneamente si continua a pretendere, mentre c’è una dimensione di continua ridefinizione e correzione determinata dalle esperienze che si fanno. Il caos non è affatto la messa in discussione di un ordine preesistente, ma un elemento dinamico delle continue dinamiche di assestamento. Per questo dobbiamo smettere di averne paura e cominciare a considerarlo nella sua positiva dinamicità. Dovremmo capire che la molteplicità è una costante imprescindibile delle relazioni complesse nelle dinamiche del divenire, per cui perde di senso cercare il modello giusto per instaurare l’ordine nuovo. Basta coi modelli precostituiti da imporre sulla realtà. Al loro posto luoghi e situazioni di sperimentazione, che favoriscano la capacità dinamica di autocorreggersi per riuscire a trovare il momentaneo equilibrio stabile che permette di continuare l’esperienza.
Il nuovo umanesimo è una consapevolezza che va oltre l’idea di ordine e disordine e oltre l’idea che bisogna identificare i modelli da applicare, sapendo che il potere non è soltanto nelle strutture gerarchiche di comando, bensì è connaturato alle stesse dinamiche di relazione sociale. Per dare forma a qualcosa di nuovo bisogna sperimentarlo autocorreggendo in continuazione il processo sperimentale, senza aver paura del caos, elemento dinamico che aiuta a capire come autocorreggersi. Per sperimentare bisogna raggiungere la giusta conoscenza che permette di stare in modo integrato e creativo nel contesto e nel biocontesto in cui si vive. Se si vuole trovare un rapporto di armonia con la complessità del reale ci si deve liberare della propensione a dominare, imparando ad essere e a sentirsi parte integrata e creativa.
Il nuovo umanesimo non vuole correggere il presente, ma trasformarlo alle radici, per cui attiva processi rivoluzionari di trasformazione sociale e si collega a quelli che sorgono spontaneamente. Corroborato dall’esperienza storica sa però che per reimpostare i rapporti sociali è insufficiente abbattere le strutture di potere esistenti, per cui diffida delle strategie di annichilimento che si ammantano di tensioni insurrezionaliste. L’alternativa radicale va sperimentata e costruita giorno dopo giorno cominciando fin da ora. Per essere efficace l’azione rivoluzionaria deve tentare di costruire una società alternativa nella società vigente. Una trasformazione radicale dentro l’esistente, con la consapevolezza e la volontà di dilatarsi progressivamente fino a trasformare l’insieme della società.

Andrea Papi

nsigli di lettura • consigli di lettura • consigli di lettura • consigli di lettura • consigli di lettura • consigli di lettura • consigli di lett

Andrea Staid
Elogio dell’inutile

La lettura consigliata su questo numero è una lettura profonda e impegnativa. L’inutile, di Marco Caponera, le Nubi edizioni. Un saggio di filosofia critica che cerca di contrastare la logica della produttività forzata della società fabbrica che ci opprime.
È possibile interrompere la logica retorica e perversa che rende accettabile soltanto ciò che è egoisticamente produttivo? Il nuovo saggio di Marco Caponera affronta il tema dell’inutile in chiave filosofica, prendendo come spunto la riflessione di filosofi classici e moderni, sia occidentali che orientali.

Il tentativo è quello di creare, definire e praticare uno spazio socio-politico autonomo della categoria dell’inutile, mettendolo in relazione con alcune manifestazioni del pensiero e dell’agire. Sulla retorica della contrapposizione tra utile e inutile oggi si giocano le sorti della vita individuale e sociale di ciascuno.

«L’inutile è un virus che interviene a scombussolare le categorie assodate, alla ricerca di falle concettuali, che, scovate in più punti, attendono soltanto qualcuno, qualcosa, che le allarghi facendo crollare per sempre l’edificio mediatico-politico che costringe la società in stati alterati di coscienza».

L’inutile è un testo aperto che non fonda alcuna nuova teoria ma che prova a gettare un guanto di sfida al reale.
Oltre a consigliare questo saggio, suggerisco ai lettori della rubrica di dare un occhio all’interessante catalogo di questa ottima casa editrice romana; http://www.lenubi.it.

A. S.