rivista anarchica
anno 42 n. 369
marzo 2012


dibattito antispecismo

Ma noi umani possiamo scegliere (i predatori no)

di Troglodita Tribe

Il fatto di voler riconoscere solo agli umani la libertà e il diritto a non essere torturati e sfruttati non trova alcuna giustificazione.
Dalle colline del Maceratese Lella e Fabio (ri)dicono la loro.

Il termine specismo è stato coniato da Richard Ryder nel 1970, ma in realtà si tratta di un pensiero molto più vecchio di cui troviamo tracce piuttosto evidenti anche nel movimento anarchico del passato.
D’altronde, l’idea che la specie umana non possa considerarsi superiore e detentrice del diritto di supremazia su tutte le altre è talmente ovvia e connaturata nel pensare libertario che non ci sarebbe neppure bisogno di particolari approfondimenti, proprio come è ovvio il pensiero che nessuna razza, nessuna casta, nessun sesso, nessun esercito possa considerarsi in diritto di schiavizzare, sfruttare, imprigionare altri.
Il fatto di voler riconoscere solo agli umani la libertà e il diritto a non essere torturati e sfruttati non trova alcuna giustificazione perché, semplicemente, si tratta di un pregiudizio, di una decisione arbitraria basata esclusivamente sull’atteggiamento superficiale di chi, ostinatamente, si rifiuta di affrontare la questione in modo serio e approfondito.
Gli animali senzienti di specie diversa da quella umana sono, né più né meno, popolazioni di persone con le loro particolari organizzazioni sociali (branchi, stormi, sciami, famiglie...) che interpretano l’esistenza in modo differente dal nostro. Sono persone che fuggono di fronte al dolore, che si riconoscono tra loro attraverso gli odori, che agiscono in modo intelligente costruendo tane, nidi, ragnatele, dighe..., che hanno rapporti di competizione e di collaborazione, che comunicano tra loro (ma a volte anche con noi) con linguaggi più o meno complessi, che utilizzano utensili, che sono in grado di apprendere, di provare affetto, rabbia, noia, terrore, che viaggiano alla ricerca di luoghi adatti per vivere in relazione alle loro personali esigenze.
Queste persone, queste popolazioni, manifestano con assoluta evidenza il loro desiderio di essere lasciate in pace, di non essere imprigionate, sfruttate e mutilate come avviene quotidianamente negli allevamenti di ogni genere. Come si noterà è proprio la differenza, l’essere diversi dagli umani che, a tutti gli effetti, determina la cancellazione della dignità, della libertà e di ogni altra forma di rispetto.
Curiosamente, la differenza, l’essere diversi dai bianchi, l’essere diverse dagli uomini, l’essere diversi dagli eterosessuali, l’essere diversi da chi vive in modo stanziale, l’essere diversi da chi accetta le regole del gioco è sempre stata la discriminante che ha designato e che designa chi può essere deportato, incarcerata, sfruttato, violentata, schiavizzato e chi, invece, detiene i diritti civili e deve essere rispettato.

La questione della differenza

A ben vedere, se escludiamo giustificazioni platealmente false, come ad esempio: “gli animali diversi da noi non possono soffrire” o “non si rendono conto della differenza tra libertà e prigionia” o “noi umani abbiamo bisogno di prodotti animali per la nostra sopravvivenza”, resta solo la questione della differenza. Si può legare un cavallo al carretto e costringerlo a tirare, a soddisfare i nostri personali interessi perché, in fondo, è solo un cavallo, è diverso da un umano. Ed è proprio quando la differenza diviene giustificazione dello sfruttamento, della violenza e della schiavitù che si cade nel razzismo, nel sessismo, nel fascismo e in tutte le tipiche manifestazioni dell’ideologia del dominio.
Un altro aspetto sorprendente e utile per smascherare l’incongruenza e la superficialità dello specismo lo possiamo individuare nel diverso trattamento che subiscono alcune specie animali. In molti appartamenti occidentali i cani vengono considerati come membri della famiglia, vengono curati se si ammalano e si piange la loro morte. Ma anche chi non vive con un cane considera ovviamente il maltrattamento o l’abbandono dei cani come un atto riprovevole e inaccettabile. Quelle stesse persone, però, accettano che i maiali trascorrano l’intera esistenza in uno spazio grande come un letto matrimoniale senza neppure riuscire a muoversi, accettano che le aragoste vengano bollite vive nei ristoranti, accettano che le oche vengano alimentate forzatamente con tubi di plastica infilati in gola, accettano, sostengono e finanziano la prigionia, lo sfruttamento e la morte di molte altre specie diverse dai cani.
E non c’è una ragione, lo specismo non ha delle ragioni. Lo specismo, come tutte le ideologie basate sulla soprafazione ed il dominio, si basa sul diritto del più forte e prospera sulla superficialità, sulla mancanza di informazione, sulla pigrizia e sull’inerzia mentale di chi non vuol vedere ciò che sta accadendo e, di conseguenza, accetta che tutto proceda senza porsi domande, senza intervenire, senza dissentire.
Lo specismo è anche una forma di condizionamento che viene vissuto in modo del tutto automatico. Molti, infatti, sostengono di condividere o di simpatizzare con le tesi antispeciste, ma nella pratica lo specismo resta un tranquillizzante punto di riferimento a cui non possono e non vogliono rinunciare. Quando si dice di "aspettare il momento giusto per diventare vegan" di "aver bisogno di tempo per maturare la decisione" si continua ad inquadrare la questione in maniera decisamente specista. In effetti, se a rimetterci la libertà e la vita fossero delle persone umane, chi presta una minima attenzione all’etica non si sognerebbe certo di sostenere che per smettere di causare quelle morti e quelle prigionie occorra riflettere e attendere l’illuminazione. E così lo sfruttamento animale diventa una semplice e rispettabile scelta personale. Ma scegliere di tenere degli schiavi, usare il bastone per educare un bambino, praticare mutilazioni genitali sulle bambine, tenere un cane alla catena per l’intera esistenza, uccidere dei vitelli per appropriarsi del latte della loro madre, non possono essere considerate delle rispettabili scelte personali perché si riflettono con violenza sulle vite di altre persone che soffriranno e moriranno per questo.
Le società moderne sono basate sull’ideologia del dominio. L’esistenza degli stati, dei confini, delle carceri, dei centri di detenzione, degli eserciti, delle chiese, delle gerarchie presenti in ogni azienda, in ogni famiglia, in ogni associazione ne sono testimonianza diretta. Il pensiero anarchico, dal canto suo, è o dovrebbe essere proprio quel pensiero che tende a disfare e a smascherare questa ideologia fondata sulla legge del più forte, del più spietato, del più violento, del più potente. La legge di chi domina, di chi controlla, di chi dirige e decide impedendo, di fatto, la realizzazione della libertà.
Ma ovviamente non è possibile smascherare o disfare l’ideologia del dominio se, nello stesso tempo, si sceglie consapevolmente di applicarla.

Carne, potere, maschilismo

Su tutti gli animali di specie diversa dalla nostra viene incontestabilmente e consapevolmente applicata l’ideologia del dominio. Anche molti anarchici, quindi, sostengono che l’appartenenza ad una specie piuttosto che ad un’altra garantisca il diritto al rispetto morale, ad essere cioè riconosciuti come persone che non possono essere schiavizzate e sfruttate. Secondo loro, tutti gli altri, tutti quelli che sono differenti, non contano, perdono il loro status di persona, diventano degli oggetti, delle merci, vengono annullati per il solo fatto di avere degli stili di vita diversi dai loro. E qui non si tratta, dunque, di definire “la posizione anarchica”, ma di definire con chiarezza la propria posizione nei confronti dell’ideologia del dominio, nei confronti della possibilità di dominare, sfruttare e usare per i propri interessi persone senzienti che cercano di liberarsi una volta imprigionate, che fuggono e si terrorizzano di fronte alle minacce e alle violenze, che si affezionano e ricercano amicizia e collaborazione.
Le tesi sostenute da chi, pur tentando di mantenere una pensiero etico, insiste su una posizione chiaramente specista sono sempre molto superficiali e denotano con chiarezza una totale mancanza di riflessione e approfondimento. Si passa dal “ma anche le piante soffrono” al “ma anche il leone mangia la gazzella” dal “ma se liberiamo gli animali, poi dove li mettiamo?” al “ma l’uomo è cacciatore per natura”. Tutto questo denota chiaramente una forma di chiusura e di inerzia di fronte ad una questione di rilevante importanza che, semplicemente, ci si rifiuta di affrontare.
Noi umani siamo onnivori, abbiamo cioè la possibilità di scegliere, per la nostra sopravvivenza, se alimentarci con prodotti vegetali o con prodotti animali. Questo ci rende estremamente adattabili anche nelle condizioni più difficili. Si tratta di un vantaggio. Avere la possibilità di scelta è sempre un vantaggio.
I grandi predatori non hanno possibilità di scegliere, non possono nutrirsi con frutti o foglie e, se non catturano la preda, muoiono di fame. Noi abbiamo due opzioni. Una di queste prevede la deportazione, la prigionia, le mutilazioni, la nutrizione forzata, la schiavitù e ogni genere di violenza e sfruttamento che vengono perpetrate ai danni di persone non umane che indubbiamente percepiscono e comprendono tutto quello che sta accadendo loro. Una di queste prevede un impatto ambientale e uno spreco di acqua enormemente più alto (ci vogliono 3200 litri d’acqua per produrre cinque chili di carne). Una di queste prevede, a livello globale, un’emissione di gas serra superiore all’intero trasporto mondiale. Una di queste prevede la deforestazione e lo sfruttamento delle terre del sud del mondo che si useranno per gli animali che devono sfamare i ricchi del nord del mondo. Una di queste è una forma arrogante e insostenibile di spreco e sfruttamento (in un campo usato per ottenere un chilo di carne se ne potrebbero ottenere 60 di riso).
L’altra opzione è quella di nutrirsi con prodotti vegetali che, fino a prova contraria, non possono percepire alcun genere di sensazione. Si tratta di un’opzione a bassissimo impatto ambientale. Si tratta di un cambiamento con grandi implicazioni a livello etico e sociale.
Ma il punto essenziale è che, nella maggior parte dei casi, questa scelta non viene effettuata. Nonostante la tanto decantata superiorità, saggezza, intelligenza umane, si continua con i prodotti animali, così, per abitudine, per gusto, perché lo si è sempre fatto, perché cambiare richiederebbe un certo sforzo... Oppure perché non si vogliono approfondire le drammatiche connessioni che legano lo sfruttamento animale a quello umano, che legano lo sfruttamento animale al disastro ambientale che ci circonda e, di conseguenza, si giudica il problema come di secondaria importanza, una perdita di tempo che non merita neppure due colonne sul giornale.
E non è un caso: la cultura della carne è pur sempre associata all’ostentazione della forza, del potere, del machismo. Come normale conseguenza, chi si è completamente arreso al condizionamento specista, considera la questione vegan come faccenda adatta a chi si commuove facilmente, a gente moscia e senza palle. In effetti, gli USA hanno impiegato un centinaio d’anni a costruire l’immagine del duro legato al consumo di hamburger hot-dog e affini. E oggi, anche negli ambienti meno sospetti, la questione animale è considerata con sufficienza, per nulla rivoluzionaria, per nulla interessante da un punto di vista politico. Tutto il suo dirompente contenuto destabilizzante viene completamente snobbato. L’unica interessante consolazione è che questo approccio piuttosto squallido è soprattutto una prerogativa dei "vecchi", mentre, proprio all’opposto, tra le giovani generazioni libertarie (certamente meno soggette ai tristi doveri di mostrarsi duri e maci) l’antispecismo si diffonde molto velocemente.
Per finire, chi si offende e si arrabbia di fronte alle tesi antispeciste considerandole intolleranti nei confronti di chi la pensa diversamente, continua a non comprenderne l’essenza. Sarebbe come dire che un antifascista, per una questione di tolleranza, dovrebbe accettare il fascismo perché è pur sempre l’idea di qualcun altro e, di conseguenza, un pensiero rispettabile. Più che offendersi, il fascista o lo specista, dovrebbero affrontare la questione dell’etica e, invece di limitarsi a dire “io la penso così, punto e basta” dovrebbero trovare delle valide ragioni che sostengano l’ideologia del dominio, che spieghino il perché chi non appartiene al loro gruppo, al loro partito o alla loro specie può essere oggetto di sfruttamento e violenza.

Troglodita Tribe