rivista anarchica
anno 42 n. 370
aprile 2012


racconto

Pitecantropi al potere

di Pietro Ferrua

Parabola (autobiografica?) di un cittadino che si astiene, poi decide di partecipare alle elezioni, ma alla fine...

 

Ruggero, malgrado il suo tradizionale antielettoralismo, stavolta aveva deciso di votare. Non che le sue convinzioni politiche fossero cambiate, ma cosi, per divertimento, per vedere come si faceva e, magari, sotto sotto, con la speranza che servisse a qualcosa. Malgrado la non tenera età, non aveva mai visto da vicino un seggio elettorale. Da giovane animava i capannelli astensionisti che il locale gruppo anarchico organizzava alla vigilia delle elezioni, con gran dispetto dei suoi amici che erano invece impegnatissimi, magari su fronti opposti.
Prima si trattò di scegliere fra monarchia e repubblica e quest’ultima venne proclamata a malapena. Poi sorse il dilemma di destra o sinistra e quest’ultima non riusciva mai a spuntarla. Ruggero, comunque, non aveva l’età per votare e quando la raggiunse, pur volendo, non avrebbe potuto esercitare il suo diritto per ragioni varie. Nel primo paese estero in cui andò a vivere non poteva votare perché era uno straniero. Nel secondo, del quale assunse la cittadinanza, la dittatura militare aveva proibito le elezioni. Nel terzo era in pianta fissa e, dopo cinque lustri decise finalmente di naturalizzarsi e ottenne, per la prima volta in vita sua, il diritto di voto. Gli venne spiegato che bastava compilare una schedina a matita, infilarla nell’apposita busta, apporvi un francobollo e il gioco era fatto. Gli recapitarono chili di documentazione: statistiche, biografie, programmi, fotografie e...promesse, una miriade di promesse.
L’unico candidato che pareva umile e modesto, che invitava l’elettorato ad impegnarsi attivamente nelle cause sociali, era una donna e per di più una nera (una volta si mormorava “negra”, oggi, invece, si dice più elegantemente “afroamericana”) la quale proponeva un programma socialista assai progressista per il paese. Spedì la cedola elettorale. Non s’aspettava certamente che il suo voto preferenziale bastasse per eleggere la candidata prescelta, ma rimase interdetto dal risultato che le attribuiva lo 0,00%.

Forse lo 0,0013%

Si recò a protestare alla circoscrizione elettorale, chiese loro dove fosse andato a finire il suo voto. Calmamente gli spiegarono che la sua candidata aveva ricevuto 35.000 preferenze in tutta la nazione ma che, rispetto alle decine di milioni dei due grandi candidati presidenziali, percentualmente ciò costituiva forse lo 0,0013% e che il calcolo tenendo conto solamente di due decimali al di là dello zero, il risultato mostrava solo gli zeri precedenti.
Si rese conto che il vecchio detto “la matematica non è un’opinione” era falso.
Vennero altre elezioni e stavolta decise di “non sprecare il voto” e scelse il pretendente meno disgustoso. Vinse e fu eletto. Malgrado il suo scetticismo politico sperò che la situazione economico-sociale generale prendesse una rapida svolta verso il progresso: assistenza medica garantita a tutti, aumento considerevole del salario minimo, sovvenzioni per l’educazione e la cultura (circolava la voce che la sola città di Berlino stanziasse una somma maggiore per questo genere di attività, superiore a quella erogata dal Ministero competente [dovremmo dire piuttosto “incompetente”] per tutta la nazione) e via di seguito. L’unica crescita, invece, venne registrata nel bilancio del Ministero della Difesa (un eufemismo per evitare il termine “guerra”, magari d’aggressione). Cominciarono presto gli scandali e ci mancò poco che il capo della nazione non venisse revocato, non manu militari ma cortesemente, con tanto di inchini, in virtù di un qualche codicillo.
Nuove elezioni dopo quattro anni. Il candidato delle destre (si fa per dire perché qui le sinistre non esistono o son sopravvivenze che non pesano affatto sulla bilancia politica) era una mezza cartuccia, rozzo e incolto. La solita amica francese rivolse a Ruggero l’insidiosa domanda: voterai per lui? Alzò le spalle e disse: ma da dove è venuto fuori quel pitecantropo? Donna colta e intelligente Marie pensò che Ruggero si riferisse all’aspetto somatico del candidato e osservò che sí, l’altro contendente era più aitante e simpatico ma che per guidare la nazione più potente del mondo ci voleva un uomo di polso...
Ruggero lasciò correre e cercò di far circolare l’immagine del pitecantropo. Inutilmente! I suoi amici americani, pur laureati, non avevano forse mai studiato la paleontologia oppure era lui che magari pronunciava male la parola. Consultò il fidato dizionario Oxford, che confermò l’esistenza del lemma e anche il suo valore fonetico. Provò allora a sostituire il termine con “troglodita”. Fece di nuovo cilecca. O la parola suonava ostica oppure non veniva riconosciuta. Allora cominciò a divertirsi e a trattare tutte le persone antipatiche di pitecantropi e trogloditi e ad arrischiare – senza che gliene derivasse danno – anche qualche epiteto più spinto, come “microcefalo”.
Un connazionale, insegnante di latino, sorrise appena nell’ascoltare la narrazione delle sue prodezze e si vantò di ben maggiori esiti nelle sue invettive in latino non aulico (talvolta maccheronico o da legionario) e tirò fuori dal suo repertorio qualche esempio divertente. “Vedi!” disse, “se uno ti tratta da “buco del c...” (insulto quotidiano molto comune qui), tu gli rispondi “magna meretrix filium” lui rimane esterrefatto e completamente disarmato. La superiorità nell’insultare non consolò però Ruggero quando lesse nei giornali i risultati finali delle elezioni: il Pitecantropo aveva vinto, magari rubando qualche voto in Florida, sotto gli auspici delle leggi locali.
Ruggero – ma che dabbenaggine! – s’aspettava che il Troglodita venisse sommerso da una maggioranza dell’ottanta per cento, almeno. Le statistiche gli davano torto: uno scontro del genere non era mai avvenuto. Per lui era uno scandalo che l’uomo avesse vinto con tanti milioni di voti: prova che né l’intelligenza, né la cultura, né le buone intenzioni, né i programmi lodevoli bastano per far trionfare il buon senso. Ormai il paese si sarebbe avviato verso modelli da terzo mondo, guerre, distruzioni ambientali.

Cina (Zhoukoudian, vicino a Pechino)
Museo dei resti storici dei Pitecantropi

Inguaribile mediocrità

Cominciarono le angherie, le spavalderie, l’arroganza, soprattutto nei riguardi degli altri paesi, dei rapporti internazionali. Risorse il capitalismo selvaggio che non rigettava frontiere. Prevalse definitivamente il clima delle privatizzazioni, della desindacalizzazione (le maestranze aderenti alla centrale sindacali scesero a livelli infimi), il rincaro del costo della vita, intervennero i tagli alla sanità, all’educazione, all’assistenza sociale.
Come se non bastasse, sopravvennero i conflitti bellici, anche se queste guerre erano state dichiarate ingiuste dal Papa (stranamente, i cattolici americani anziché ascoltare il saggio polacco davano retta ai pitecantropi) e illegali secondo il diritto internazionale. Il disastro si estese, vennero messe in pericolo le alleanze politiche mondiali.
Ruggero partecipò alle prime sparute manifestazioni antibelliche e ci mancò un pelo che non venisse ‘fermato” dalle forze dell’ordine (qui non si osava ancora chiamarle “le forze del disordine”, come faceva invece apertamente il settimanale anarchico Umanità Nova in Italia). Si compiacque, dopo qualche mese, nel veder crescere il contingente dei protestatari, fenomeno dovuto in parte al rimpatrio delle prime bare dei caduti americani (i programmi televisivi non trasmettevano mai filmati sulle atrocità dei bombardamenti degli “Alleati”). Timidamente e poi sempre più dinamicamente si moltiplicavano gli appelli alla pace, il rigetto della politica isolazionistica, la ripulsa delle aggressioni militari. Ormai i candidati per le elezioni seguenti si assestavano su posizioni chiare: la cessazione delle ostilità.
In un viaggio all’estero si sorprese che i sondaggi non dessero il pitecantropo per vinto. Rassicurava i suoi interlocutori affermando che non c’era più pericolo, che l’America si era desta e che avrebbe sepolto i pitecantropi sotto una valanga di improperi e di voti avversi. Ruggero si disse che questa volta non valeva la pena scomodarsi e che una gran maggioranza avrebbe subissato i “duri”.
La saggia moglie lo convinse a far coincidere la fiera elettorale con una scampagnata, per mantenerlo a distanza dalle inevitabili liti. Il piccolo schermo, però, lo perseguitò anche li. Rimase allibito coi primi risultati, poi confermati. Com’era possibile? Doveva concludere che il popolo degli elettori fosse affetto da un’inguaribile mediocrità?
Prima di esprimere un giudizio pensò all’Italia. Anche il Cavaliere era stato “democraticamente” eletto. Cercò altri esempi storico-politici e ne trovò a bizzeffe. Ne concluse che la teoria dell’evoluzione era fallace, che andava integrata con aspetti psicologici, che l’intelletto pesa poco sulla bilancia delle scelte e che, forse non a torto, per questo lo chiamavano un utopista.

Pietro Ferrua