rivista anarchica
anno 42 n. 371
maggio 2012


dossier Georges Brassens

Caro André ti racconto come è andata

Intervista a Georges Brassens di André Sève

Nei primi anni ‘70 Brassens viene intervistato dal suo amico André Sève, una chiacchierata a tutto tondo.
Ne pubblichiamo qualche stralcio.

 

I miei amici avevano il grammofono

André Sève – Mi hai detto d’essere stato “segnato” dalla canzone molto presto, fin dall’infanzia…
Georges Brassens – In casa nostra cantavano tutti, mio padre, i miei nonni, mia madre, mia sorella. Devi partire da qui: in casa cantavano tutti e, di conseguenza, se penso a me bambino, mi sento cantare fin dall'età di quattro o cinque anni. Cantavo le canzoni che si usavano allora, soprattutto quelle che cantava mia sorella.

Tua madre era italiana?
Sì, di Napoli. E mio padre era di Sète. Così, si cantava 'O sole mio insieme ad arie d'epoca o d'operetta, si mescolava Si l'on ne s'était pas connus con Salut, demeure chaste et pure, Santa Lucia con Fascination. Cantavamo continuamente senza farci troppe domande su quel che cantavamo.

Una famiglia “canterina”
Proprio così. E poiché ero il più giovane, andavo in giro a imparare altre canzoni, perché anche i miei amici avevano il grammofono. Andava molto di moda, il grammofono, tra il 1920 e il 1930. Sentivo una canzone che mi piaceva, mi mettevo a cantarla a casa mia e mia madre diceva: “Che cos'è? È bella, dovresti insegnarmela”. Tornavo dall'amico per copiare le parole, oppure mi facevo prestare il disco. Mia madre imparava in fretta, era una vera militante della canzone. A quel punto, arrivava mia sorella dall'ufficio, sentiva la novità e hop! ci si metteva anche lei, e dopo di lei tutti gli altri. In fondo, eravamo tutti dei militanti della canzone. Per esempio, andavo dietro a mio nonno, in giardino. Cercava di tirar su qualche rosa, ma è difficile, a Sète: c'è troppo sole e poca acqua. Ad ogni modo, lo sentivo canticchiare un motivo, e quell'aria mi entrava subito in testa; le tenevo a mente con molta facilità, le melodie. Mia madre mi sentiva canticchiare e m'insegnava le parole.

Era comunque lei la più patita di canzoni?
Sì, senz'altro. Imparava sistematicamente quelle che le piacevano e, non disponendo dei mezzi che esistono oggi, chiedeva alle amiche di passarle le parole che eventualmente le mancavano e le annotava poi su un grosso quaderno. E cantava, cantava! Vivevo immerso in un bagno di canzoni, e così, fatalmente, dato che ho avuto la fortuna d'essere stato allevato da mia madre, l'ho sempre sentita cantare, fin dai miei primi anni: cantava mentre cucinava, mentre lavava, mentre stirava... Pensa un po' che ricchezza di repertorio!

Il piacere particolare della musica

(…) E quasi tutte le canzoni, dal 1930 al 1940, da quando avevo nove anni a quando ne avevo diciannove, mi hanno dato qualcosa dal punto di vita della musica. E com'ero avido! Ogni musica era una festa.

Tutto ciò legato al fascino dell'infanzia.
Difficile spiegare. Come una sorta di vibrazione interiore, qualcosa di intenso che non riesco a tradurti, un piacere che sembra appartenere al campo della sensualità. E la sola cosa in terra che mi dà questo piacere particolare è la musica. Non lo provo leggendo un testo che mi piace, né vedendo passare per la strada una donna di mio gusto o assistendo a uno spettacolo che giudico buono... No, solo la musica mi dà quel brivido particolare. E sono molto eclettico, in questo campo; mi capita di lasciare di stucco la gente che mi apprezza perché sostengo di amare questo o quel successo di oggi o di ieri che non sembra corrispondere ai miei gusti, ma il fatto è che, semplicemente, ascoltando quella musica, ho sentito quel certo brivido.

Dici “quella musica” e non “quella canzone”...
Ma mi stai seguendo? Riuscirò mai a farti capire che attribuisco più importanza alla musica che alle parole?

Ma... e i testi?
È diverso! Io parlavo delle canzoni degli altri. Per quel che riguarda le mie, è un altro discorso, sono un autore e cerco di scrivere dei testi che siano dignitosi. Ma se si tratta di ascoltare canzoni, quelle degli altri, il mio piacere viene solo dalla buona musica. Se voglio anche delle parole che funzionino, mi leggo Verlaine, Baudelaire.

Sedurre sotto sotto, furtivamente

(…) Mi sono creduto capace di scrivere versi. Nella mia presunzione, ho pensato d'essere un poeta. A Parigi, mi ero rimesso a comporre canzoni – e cioè musica, essenzialmente, come ti ho già detto – ma dicevo a me stesso: “Distinguiamo: farai delle canzoni per guadagnarti da vivere, scriverai delle sciocchezzuole come queste per le tue musiche... Ma, contemporaneamente, scriverai un'opera poetica, geniale”. E mi sono messo a studiare la versificazione. Imparavo l'arte di far versi non per le mie canzoni ma per un'opera poetica.
Tu ami le mie canzoni e, proprio per questo, automaticamente, la loro musica ti entra dentro e ti piace senza che tu neanche te ne renda conto. Guarda, prendo la chitarra e ti canto proprio i testi che ti piacciono di più ma su u'altra musica, vedrai...
(Canta, ma su una musica diversa: “La Camarde, qui ne m'a jamais pardonnné – D'avoir semé des fleurs dans les trous de son nez – Me poursuit d'un zèle imbécile”.)

Ho capito!
Vedi? Sei sensibile al fascino della mia musica anche tu, ma senza saperlo. Questa è la mia vittoria! Sedurre sotto sotto, furtivamente... La gente crede che la mia musica sia inesistente ed è proprio quello che voglio, voglio che sia discreta, come una musica da film.

Conclusione: si va direttamente alle parole.
Sì, ma dire “La vera musica di Brassens sono le parole” è sbagliato! Nella mia musica c'è qualcosa di intimamente legato alle parole e che le rende affascinanti. Cerca un po' di cantare Le gorille su un'altra musica!

Quando la mia musica e la mia poesia si sono incontrate

(…) Dal 1940 al 1944, ho scritto pressappoco un centinaio di canzoni e tre o quattrocento poesie che non avevano alcun rapporto con le canzoni; queste, però, erano notevolmente migliorate dal punto di vista del testo, perché i miei studi sui poeti e i miei personali tentativi in campo poetico mi avevano ovviamente dato modo di migliorare i testi delle canzoni.
Già, e così mi sono detto: “Stupido che sono, perché scrivere cose insignificanti da una parte e opere geniali dall'altra?” Aspetta, però: quando dico “geniali” devo anche confessare che, a quel punto, mi sono reso conto di non avere un vero talento. Era dura, ma mi sono detto: “Lascia perdere, non sarai mai un grande poeta, un Rimbaud, un Mallarmé, un Villon. Cambia strada. Perché non mettere in musica le tue stesse poesie? Poesie che forse non toccheranno le vette del sublime ma daranno luogo a canzoni decenti, non troppo mal scritte”. Così ho fatto la La mauvaise réputation, Le fossoyeur, Le parapluie, La chasse aux papillons... Volevi sapere quando è nato il Brassens autore di canzoni? Eccoti servito! Quando la mia musica e le mie poesie si sono incontrate.

Sei un uomo per il quale “libertà” è una parola che dice tutto. Detesti ogni tipo di autoritarismo, di costruzione.
Ah! Questo sì! È una delle poche cose che non riesco a sopportare nelle persone che incontro. È molto difficile che possa diventare amico di qualcuno che cerca d'imporre la sua volontà agli altri.

In gioventù hai creduto negli ideali anarchici, hai persino collaborato al Libertaire...
Sì, ho scoperto in quegli ideali molte cose che avevo dentro e non sapevo come definire. Priorità assoluta alla libertà... Pensieri che mi erano familiari. Non sono il tipo adatto a spiegarti quelle teorie, è come un attaccamento viscerale alla libertà, una rabbia profonda quando si vedono uomini che vogliono imporre qualcosa ad altri uomini. Ma, vedi, il mio processo creativo va in senso inverso rispetto a quello che tu mi vuoi far prendere.

Rifiuto il gruppo o la setta irregimentata

(…) Quando qualcuno vuole spiegare la libertà in una canzone, non fa più una canzone, fa della propaganda. Io sono esattamente il contrario di questo, mi sarebbe piaciuto scrivere canzoni senza nessuna morale. Mi piacerebbe saper giocare così con le parole, ma so che ci infilo dentro qualcosa di più, nelle mie canzoni. E così, punto e basta. È la mia morale, quella che ci infilo dentro. “Morale”, comunque, è una parola grossa: la uso per farti piacere.
Ma devi prendermi come sono: amo la canzone, amo le parole, amo le note, strimpello la chitarra, racconto delle storie a degli amici... Si dà il caso che abbia letto parecchio, che abbia maturato delle idee, che abbia visto delle cose che mi sono piaciute e altre che mi sono dispiaciute, tutto questo mi è dentro e, un bel giorno, è uscito fuori in una canzone. Come una vacca al pascolo che rumina l'erba e questa, poi, diventa latte. Non devi chiederle di spiegare il suo latte, devi solo berlo.

Brano tratto da Attenti al gorilla di Nanni Svampa e Mario Mascioli (Lampi di stampa, Milano 2012). Traduzione dal francese a cura degli autori.

Quando si parlava degli operai, hai detto che hanno ottenuto molto unendosi, eppure nelle due canzoni biasimi sempre il plurale: “Il plurale non vale niente per l'uomo e appena siamo più di quattro, diventiamo una banda di stronzi”.
Attenzione! Mi piace il pensiero solitario, detesto il gregge, ma questo non ha niente a che vedere con i necessari sforzi collettivi. Se ho bisogno di amici che mi aiutino a spostare una pietra, li chiamo. Non siamo stronzi se ci uniamo per trarre in salvo degli uomini sepolti in una maniera. Ma rifiuto il gruppo o la setta irreggimentata e nessuno riuscirà a convincermi che si pensa meglio quando mille persone urlano tutte la stessa cosa. Quando ci si riunisce per pensare e dettare regole di comportamento, la setta non è lontana.
Ma forse non hai capito bene Le pluriel. Le canzoni bisogna ascoltarle in modo intelligente. Non sono contro il plurale di reciproco aiuto, sarebbe pure egoismo. Il mio individualismo di anarchico è una lotta per pensare liberamente, non voglio che un gruppo mi detti legge. La mia legge, me la faccio da me. Siamo il risultato di quanto ci è stato dato, di quanto vediamo e sentiamo. Non posso pensare da solo, ma non voglio abdicare davanti al pensiero di un gruppo e neppure di un maestro.

André Sève

5 Non ho una camera

Entro in camera mia, be' non è camera mia, non ho una camera, è una specie di... quattro muri nei quali vivo. Entro lì e scrivo le idee che mi vengono, le annoto, cancello, faccio una specie di piccolo teatro, un piccolo mondo con i suoi arredi, i suoi personaggi.
E poco a poco prendo questo o quel personaggio e gli faccio fare questo e quello, lo faccio andare dal mulino al municipio, dalla scuola alla chiesa...


I testi di qualche canzone

La mauvaise réputation
........
Mais les braves gens n'aiment pas que
L'on suive une autre route qu'eux...
Non les braves gens n'aiment pas que
L'on suive une autre route qu'eux...
Tout le monde viendra me voir pendu,
Sauf les aveugles, bien entendu.

La cattiva reputazione
........
Ma alle persone per bene non piace che
si segua una strada diversa dalla loro...
No, alle persone per bene, non piace che
si segua una strada diversa dalla loro...
Tutti verranno a vedermi impiccato
tranne i ciechi, ovviamente.

Le parapluie
.........
Mais bêtement, même en orage,
Les routes vont vers des pays;
Bientôt le sien fit un barrage
A l'horizon de ma folie!
Il a fallut qu'elle me quitte,
Après m'avoir dit grand merci.
Et je l'ai vue, toute petite,
Partir gaiement vers mon oubli...

L’ombrello
........
Ma, stupidamente, anche sotto il temporale
le strade vanno verso un paese.
Presto il suo sbarrò
l’orizzonte della mia follia.
Ha dovuto lasciarmi
dopo avermi ringraziato infinitamente
e l’ho vista, piccola, piccola,
partire allegramente verso il mio oblìo...