rivista anarchica
anno 42 n. 371
maggio 2012


dossier Georges Brassens

Honneur au Gorille!

di Mariano Brustio

Fabrizio De André, certo. Ma non solo.
Gli “eredi” del mitico Georges nella musica e nella cultura italiana non sono stati pochi. E non tutti hanno avuto il riconoscimento che meritano.

“Non disprezzarle
quelle puttane
In confidenza ti dico

C’è mancato poco
Che una di quelle poveracce
Non fosse tua madre”

“Brassens per me è stato un mito, come artista e come uomo. Mi sono accostato all’anarchismo per merito suo, perché avevo di fronte non pura teoria, ma un esempio vivente. Brassens ha avuto un’enorme influenza su di noi, voglio dire su quel gruppetto di genovesi che voleva far canzoni in modo nuovo. In modo particolare ha influito su Paoli e su di me. Era un modello nitido, rappresentava il superamento dei valori piccolo-borghesi”.
Chi parla è un Fabrizio De André all’indomani della morte di Georges Brassens, una intervista quindi d’annata che risale al 1981.
“È stata una fatica enorme tradurre Brassens in Italiano. Lui si serviva molto dell’argot, che da noi non ha corrispettivo. L’argot lo parlano a Parigi come nel sud. Da noi esistono tanti dialetti, non un gergo comune. Ho dovuto riadattare l’italiano all’argot, reinventando espressioni e termini non esistenti nel linguaggio corrente”.
E infatti le sue traduzioni sono più che mai attuali. Se ci è stata data la fortuna di conoscere la canzone francese di Brassens, molto del merito va dato proprio a Fabrizio De André. Che non solo ha tradotto alcuni brani del “Maestro francese”, ma ha trasportato proprio quelle situazioni raccontate da Brassens all’interno delle canzoni, nelle sue canzoni in italiano a firma del solo Fabrizio.
La “Brave Margot” di Brassens, altro non è che la Bocca di Rosa discesa nel paesino di San Vicario, o Sant’Ilario a seconda delle preferenze. Se nel primo caso le beghine vanno prima a protestare per quella presenza troppo audace nel paesino, nel secondo caso le comari corrono dal commissario a denunciare la schifosa del paese che ha tanti clienti, più del consorzio alimentare. Come peraltro nella Complaint des filles de joie, Brassens ammoniva a non ridere alle spalle di quelle povere ragazze da marciapiede, perché “non è detto che stiate ridendo di vostra madre”. E lo sa bene il direttore del porto, quello che ci vede tante palanche in quei bei culoni a riposo che sfilavano per le strade della città alla domenica mattina (A Dumenega), ma peccato per lui che non si accorge che fra quelle puttane a riposo c’era anche sua moglie.
Potrei fare un elenco delle situazioni simili fra Brassens e De André, così come potrei riportare i testi francesi e i testi italiani tradotti. Entrambi comunque potrebbero essere letti anche senza musica: l’assenza dell’accompagnamento musicale non disturberebbe. “Per me equivaleva a leggere Socrate: insegnava come comportarsi o, al minimo, come non comportarsi”. Parola di Fabrizio De André.
Mi piace citare un Gino Paoli d’annata che nel 1972 nel suo lavoro “Amare per vivere” inserisce guarda caso una “Marcia Nuziale” nella versione tradotta da De André qualche anno prima.
Fausto Amodei sul finire degli anni ‘50 traduce più di trenta canzoni di Brassens nel suo dialetto. Origine piemontese, direi anzi torinese doc, molto vicino alla canzone politica, o meglio chansonnier di protesta, è stato forse il primo ad avvicinare la poesia di Brassens alla platea italiana, riscuotendo un discreto successo, ma soprattutto ispirando lo stesso De André e soprattutto il suo omologo per quanto riguarda il dialetto milanese, Nanni Svampa.

Chierici, per esempio

Ma mi sembra opportuno aprire una grande parentesi a favore di Beppe Chierici. Piemontese di Cuneo più o meno coetaneo di Fausto Amodei, traduce in maniera molto letterale molte delle canzoni di Brassens, prima in un LP del 1969 “Chierici canta Brassens” poi in un secondo del 1976 “Beppe come Brassens – storia di gente per male” tanto da poter vantare i complimenti dello stesso Brassens, diventato nel frattempo suo amico, che gli scrive in una lettera di essere “il suo unico traduttore non traditore”. Fonda una compagnia teatrale con Daisy Lumini, altra grande interprete scomparsa nel 1993, e insieme ottengono consensi e successi unanimi. Chierici con lo pseudonimo di Beppe Clerici, è tuttora un apprezzato attore che vive e svolge la sua attività artistica in Francia.
Autore, interprete, cabarettista, attore di teatro, scrittore, fondatore storico dei "Gufi" sin dal 1964 ha tradotto e interpretato Brassens nel dialetto milanese. Appunto milanese di nascita, Nanni Svampa ha all’attivo decine e decine di serate in teatro dedicate a Brassens, nonché uno spettacolo che ha radunato artisti di tutta Europa che hanno interpretato Brassens, in occasione del decennale della sua morte, quindi ormai più di venti anni fa. È oggi l’artista che ha interpretato e cantato la maggior parte delle canzoni di Brassens, non solo in milanese, ma anche in italiano. “Validissimo, una scelta azzeccata per i temi e per i metri. La cadenza milanese, con molte tronche e accentazioni finali, ben si presta a riprodurre l’argot”. È ancora De André che ne parla, seppur tuttavia, come mi confermarono entrambi, Fabrizio non volle partecipare allo spettacolo, preferiva ricordarlo come lo aveva conosciuto, attraverso le sue canzoni, senza averlo mai voluto incontrare per non ridurre a persona il suo mito.
Sempre nel 1991 Svampa dà alle stampe insieme a Mario Mascioli il volume "Brassens" dove per la prima volta vengono tradotte quasi tutte le canzoni dal francese, articolate da una lunga intervista a Brassens stesso fatta nel 1975 dal giornalista francese André Sève
.

1976, Premio Tenco

Premio Tenco nel 1976, Brassens ha visto in quell’anno una partecipazione straordinaria di artisti che sul palco hanno cantato le sue canzoni, in tre serate dell’agosto di quell’anno.

La sua rude dolcezza

Non meno importanti le testimonianze cantate di Enrico Medail, interprete di Léo Ferré e Brassens, di Gigliola Cinquetti che ha interpretato in Italiano “Quando passo il ponte con te”, di Gipo Farassino, Giuseppe Setaro, Giangilbeto Monti e di molti altri interpreti del panorama musicale italiano.
Fra gli autori della carta stampata vorrei ricordare lo splendido, ma ormai raro e introvabile saggio del 1985, di Antonello Lotronto. Forse il primo testo a parlare di Brassens, dell’uomo Brassens, visto quasi esclusivamente attraverso le sue canzoni, in un percorso biografico molto ben curato che mette in risalto l’uomo, il suo essere, la sua anarchia, la sua creatività e la sua rude dolcezza.
Del resto lo stesso Brassens si era presentato con queste parole: “Mi autocensuro sempre. Ho la pretesa di non avere nessuna opinione, nessuna opinione definitiva su tutto. È così perché sono pretenzioso, orgoglioso e non voglio passare per uno stronzo. Se fossi più semplice, dato che sono relativamente ignorante, non di un’ intelligenza rara, ma neanche troppo stupido, sarei più felice perché direi qualsiasi cosa, ecco tutto". Era il 1973, un anno dopo aver dato alle stampe la poesia in musica di Antoine Pol (scritto proprio così, Pol, non Paul come quasi sempre riportato nei testi e nei dischi) Les Passantes. Una poesia scritta da un capitano di artiglieria della prima guerra mondiale, musicata da Brassens in una prima versione estremamente fedele al testo del poeta, ma rimasta inedita su disco, se non per pochi appassionati che hanno un cd singolo edito con la rivista francese L’Express. Tradotta da Fabrizio De André l’anno dopo con una fedeltà e bellezza nel testo che lascia spazio solo alle emozioni e forse alla commozione è a mio avviso una delle più belle interpretazioni di Brassens in Francese e in Italiano di Fabrizio De André.
Non vanno comunque tralasciate rispettivamente le versioni italiana di Fabrizio De André e quella milanese di Nanni Svampa de “Le gorille”. Autentica dissacrazione del potere, recitata attraverso una sorta di rivincita sessuale con la sottomissione di chi per mestiere giudica e sottomette, canzone dichiaratamente contro la pena di morte, fu per molto tempo censurata in Francia e fu la prima rappresentazione pubblica di Brassens in teatro, dove la celebre cantante di allora Patachou lo spinse quasi letteralmente sul palco. Vedendo il giovane Brassens molto in imbarazzo lo fece accompagnare dal suo contrabbassista Pierre Nicolas, che poi rimase accanto a Brassens per tutta la sua carriera.
“Mi ha sconvolto la vita. Se ho iniziato a fare questo mestiere è solo merito suo”. È ancora Fabrizio De André a ricordarci un Brassens appena scomparso. "Lasciate correre i ladri di mele, non impiccate i ladri di polli, Brassens insegnava ai borghesi un rispetto cui non erano mai stati abituati”.
E fu proprio il quotidiano "Le Monde" a restituire a De André l’indomani della sua morte il più bel giudizio e commento sul nostro Amico Fabrizio: “Era il Brassens d’Italia: era un musicista eclettico, che non disdegnava le grandezze sinfoniche. Seppe mescolare benissimo i generi e gli strumenti, barocco (tradizioni medievali, processioni popolari), memorie contadine, rock, swing, rhythm’ n’ blues ed evocazioni orientali”.
Honneur au Gorille!

Mariano Brustio