rivista anarchica
anno 42 n. 372
giugno 2012


politica.2

Un’atmosfera cloroformica

di Antonio Cardella

Mentre la Francia fa i conti con le elezioni presidenziali (e il successo del Front Nationale), in Italia domina il solito
potere clerico-reazionario.

 

In un editoriale scritto su Repubblica due giorni dopo lo svolgimento del primo turno delle presidenziali francesi, Bernardo Valli affermava che il successo relativo del Fronte Nazionale di Marine Le Pen è la diretta conseguenza delle evidenti difficoltà che il popolo francese attraversa. La crisi – scrive Valli – ha votato – provocando un movimento tellurico non previsto dall’intero arco politico d’Oltralpe, che ne aveva sottovalutato i sintomi.
Sono d’accordo con la tesi di Valli, ma sino ad un certo punto.
Sono convinto, infatti, che le molte insicurezze innescate dal momento drammaticamente difficile che attraversano i Paesi della Vecchia Europa abbiano in una certa misura favorito un voto di pura protesta. Ma se ci fermassimo a questa considerazione, avremmo evidenziato solo un aspetto della realtà, certamente il più scontato e consolatorio perché limitato ad una contingenza drammatica, ma superabile come sono state superate le ricorrenti, cicliche crisi del mondo capitalistico.
Il problema vero è, a mio giudizio, che si sono confusi le lingue e i comportamenti dei diversi schieramenti politici, tanto che risulta ormai difficile comprendere la diversità delle ricette proposte per venir fuori dal tunnel.
Se si seguono le spericolate escursioni nel campo avverso di Marine Le Pen si chiarisce meglio il senso di quel che voglio dire. Sentite ciò che afferma la dirigente del Fronte Nazionale in un estemporaneo omaggio alla storia della Sinistra: “Dalla sua nascita, la Sinistra ha sempre condotto enormi lotte di liberazione. Ha iniziato la sua storia politica in nome della Ragione e contro le verità rivelate: i Filosofi e gli Enciclopedisti attaccarono la Chiesa, l’infame perché ritenevano che opprimesse le coscienze”. Ma poi tenta di scavalcarla ancora più a sinistra affermando che la sua lettura di un classico, come Adam Smith, le avrebbe permesso di capire perché la Sinistra ha tradito i suoi ideali, abbandonando “…il terreno della difesa delle classi popolari, degli operai, per dissolversi nella difesa dell’escluso o dei sans papiers”: così dicendo, con un colpo solo, la Le Pen accusa la sinistra di avere abbandonato la lotta di classe per ergersi a difesa di un sottoproletariato e di un’immigrazione non regolarizzata, ritenuta dalla Le Pen implicitamente non degna di difesa solidale.

Francois Hollande, Marine Le Pen, Nicolas Sarkozy

Il ruolo dei Le Pen

Del resto, il problema dell’immigrazione, lungi dal connotarlo di toni razzisti, la Le Pen tenta di affrontarlo in chiave socio-nazionalista, affermando, come fanno in tanti e non solo in Francia, che una manodopera così a buon mercato, quale è quella offerta dagli immigrati, toglie lavoro ai francesi, in un momento di recessione e di disoccupazione montante. Tutto questo – dice Marine Le Pen – non è una tesi sostenuta dalla destra, ma è in linea con quanto a suo tempo affermato da un presidente del consiglio socialista, Pierre Mendes France, il quale, nel gennaio del 1957 affermò che “il Paese doveva riservarsi il diritto di limitare l’immigrazione in Francia, soprattutto quando la congiuntura economica lo richiedesse e di tutelarsi contro il rischio di disoccupazione e di un abbassamento del livello di vita importati dall’esterno”.
Queste contraddizioni – che, da parte della Le Pen, sono palesemente strumentali – non sono le uniche a frastornare un elettorato che non sa più a chi credere. Certo il pedissequo allineamento di Sarkozy alla politica rigorista della Merkel aveva creato molti malumori in Francia, anche tra le fila della compagine presidenziale e tali insofferenze crebbero poi per le derive xenofobe e populiste del presidente uscente nel suo maldestro tentativo di convincere l’elettorato del Fronte Nazionale a votarlo nel secondo turno elettorale.
D’altra parte, il fronte moderato teme che il successo del candidato socialista Hollande possa spostare troppo a sinistra l’asse della politica francese per i prossimi cinque anni, creando conflitti ulteriori in una Comunità europea che già non sa come tenere insieme Paesi tra loro diversissimi, spesso attraversati da spinte centrifughe molto consistenti.
Si accredita l’immagine di Hollande uomo semplice e schivo, poco propenso a scapigliature rivoluzionarie, ma, intanto, alcune sue dichiarazioni programmatiche appaiono in controtendenza rispetto alle politiche arroccate sul pareggio dei bilanci nazionali oggi prevalenti. Dice Hollande che, se dovesse prevalere sul suo avversario nella corsa alla presidenza della Repubblica francese, richiederebbe subito alle istituzioni europee di rinegoziare il Patto di stabilità e la struttura di governance della Comunità. Questo significa entrare in rotta di collisione con la Germania della cancelliera Merkel, che, a tutela degli interessi tedeschi, non vuole mutamenti di rotta e non cede di un passo sulla priorità assoluta del pareggio dei bilanci dei Paesi membri, quali che siano i sacrifici che le popolazioni debbano affrontare.
Ma anche in politica interna Hollande mostra di volere agire in assoluta autonomia e in direzione di una più marcata attenzione ai problemi della crescita. Basta guardare ai tre settori che, per esempio, da noi in Italia hanno elevato il livello del conflitto sociale: quello del lavoro, delle pensioni e delle iniziative per la crescita.
Per quel che riguarda il lavoro, Hollande promette una politica fiscale che favorisca l’ingresso dei giovani nelle imprese disposte ad occuparli e ha garantito 60 mila nuovi posti di lavoro nei settori dell’istruzione e dell’educazione.
Per quel che riguarda le pensioni, intende riportare a 60 anni il diritto alla pensione, alla condizione di aver versato 41,5 anni di contributi.
Per la crescita prevede la creazione di una banca pubblica d’investimento a sostegno delle imprese, e, per il pareggio di bilancio che non gravi solo sulla parte più debole dei contribuenti, una riforma fiscale con aliquota del 75% per i redditi superiori ad un milione di euro.
Al confronto con quanto avviene oggi da noi in Italia, queste prospettive appaiono impensabili.
La nostra è una società malata, sino a ieri distratta dai balletti di Villa Grazioli e depistata dall’economia creativa di un ministro berlusconiano, Tremonti, che, dopo aver devastato, complice del suo mentore, il tessuto economico, politico e morale del Paese, adesso osa dichiararsi dalla parte del leader socialista francese; oggi nelle mani di una Confraternita governativa della Buona Morte, sortita in prevalenza dai sarcofagi di università confessionali imbalsamate, questa povera Italia, precipita nella depressione più profonda, senza che, a giro d’orizzonte, si profili un’oasi in qualche misura salvifica.

Decadenza irreversibile

Il momento è difficilissimo per tutti, ma proprio in circostanze simili si misura la statura di un popolo. La Francia, scossa da un’opinione pubblica, da un ceto politico che, pur tra spinte contraddittorie e in alcuni casi persino radicalmente reazionarie, mostra di reagire alle difficoltà senza appiattirsi nel vuoto conservatorismo delle istituzioni europee, mette alle corde il suo presidente in carica contestandogli il rapporto acritico col Cancelliere tedesco, nella prospettiva velleitaria di un’asse Parigi-Berlino destinata a egemonizzare la Comunità europea. Senza considerare che, nel rapporto tra i due Paesi, la Germania tutelava, con il rigore che imponeva agli altri componenti dell’Unione, suoi interessi ben consolidati, mentre la Francia inseguiva solo l’affermazione illusoria di una grandeur ormai sepolta negli strati geologici di remoti tempi passati.
Così la meteora Sarkozy ha attraversato rapidamente il tratto di cielo di una Francia tutt’altro che sonnolenta, pronta ad invertire la tendenza di un conservatorismo privo di prospettive, indifferente verso la sofferenza dei popoli, attestato a difesa di poteri supernazionali che volano alti sulla testa dei cittadini.
Non è detto, purtroppo, che questa levata di scudi basti a conseguire un’inversione di rotta di un’Europa frammentata e sostanzialmente priva di politiche credibili per un suo futuro meno precario. Quanto meno, però, i francesi, a prescindere da contraddizioni e da zavorre ingombranti, hanno dato segnali di non essere rassegnati.
In Italia, la decadenza irreversibile di un ceto politico impresentabile, l’incapacità di un’opinione pubblica, drogata da vent’anni di governi impotenti quando non addirittura indecorosi, a trasformarsi in attiva presenza politica, hanno determinato la cloroformica atmosfera nella quale si muovono solo i quasi-vivi esponenti di un potere clerico-reazionario che un velario pietoso avrebbe dovuto seppellire da tempo.

Antonio Cardella

Le dichiarazione di Marianne Le Pen sono tratte dall’articolo di Eric Dupin ne Le Monde Diplomatique, n. 4, aprile 2012.