rivista anarchica
anno 42 n. 372
giugno 2012


 

Franco Mastrogiovanni

Processo Mastrogiovanni/
La parola agli imputati

Con le udienze del 27 marzo e del 10 aprile 2012 si è conclusa la fase di ascolto degli imputati. Solo cinque (4 medici e un infermiere) dei 18 imputati nel processo per la morte dell’insegnante anarchico Francesco Mastrogiovanni hanno deposto, i rimanenti tredici operatori sanitari hanno ritenuto di non dover aggiungere nulla a quanto già dichiarato o hanno preferito depositare in alternativa all’interrogatorio, memorie difensive. Come avevamo previsto si è verificato il solito conturbante “diniego di responsabilità” nella piena osservanza della legge di Dow che recita: “In un’organizzazione gerarchica, piu’ alto è il livello, maggiore è la confusione”. Per coloro che occupano la posizione gerarchica più “bassa” (infermieri) si è destinatari passivi di decisioni dall’alto e per chi è in alto invece (primario) si è lontani dai risultati finali in quanto le atrocità non sono state perpetrate direttamente o addirittura, come nel nostro caso, nemmeno viste.

L’udienza del 27 marzo

è iniziata con un’ora di ritardo rispetto all’orario d’inizio preventivato (a causa di un allarme bomba scattato nella mattinata) e dopo il consueto appello delle parti civili, dei legali e degli imputati, si è entrati nel vivo dell’udienza. Cinque imputati (De Vita, Gaudio, Luongo, Oricchio e Tardio) dei sette presenti hanno dichiarato di non voler sottoporsi ad esame. Disponibili invece i due medici: Michele Di Genio (direttore del dipartimento di salute mentale) e Michele Della Pepa. Alle domande del Pm, Dott. Martuscelli, il Dr. Di Genio ha risposto che all’epoca dei fatti era in ferie e che aveva delegato, al Dr. Barone, ogni compito circa la gestione del reparto psichiatrico compresa la firma delle cartelle cliniche: “Su cento cartelle – ha dichiarato Di Genio – ne ho firmate solo 5 o 6” .

Le “tristi favole” del Dr. Di Genio

Sin dalla prima domanda del PM la figura del direttore diventa quella di un presente/assente e inizia il romanzo di una morte assistita, con quei tipici resoconti efficacemente definiti dal sociologo Erving Goffman, “tristi favole”. Rispondendo al P.M, il Dr. Di Genio ha testualmente affermato: “Al farmaco, se non basta da solo si aggiunge la contenzione”, ha fatto poi cenno alla terapia farmacologica (vero e proprio accanimento terapeutico) praticata a Mastrogiovanni, al comportamento dello stesso, alla sua storia clinica (ma qualche minuto dopo ha aggiunto di non essere stato mai in servizio durante i periodi di ricovero di Mastrogiovanni). Ha dichiarato, inoltre, che la contenzione deve essere un fatto eccezionale, con controlli da effettuarsi ogni 3-4 ore e di non sapere perché tale provvedimento, che va annotato in cartella, si sia prolungato per tre giorni, anche perché il paziente – da quello che sa – aveva commesso solo violenze verbali. In un clima surreale, intriso di mezze verità e supposte fantasie, si è innalzata la reprimenda dell’avv. Caterina Mastrogiovanni la quale, rivolta a Di Genio, ha esclamato: “Non sta dicendo il vero!”. Di Genio è stato presente, nel reparto il 31 luglio, ossia il giorno del ricovero di Francesco, e il 3 agosto solo per pochi secondi. Nel “video dell’orrore”, sequestrato dalla magistratura, si vede Di Genio entrare, il 3 agosto 2009, sia pure per pochi secondi, nella stanza dove erano ricoverati il paziente Mancoletti e Francesco Mastrogiovanni e a suo dire, in quel momento, “le condizioni di Francesco Mastrogiovanni erano apparentemente buone”. Riferisce, inoltre, che conosceva Francesco perché ad Acciaroli avevano bevuto un caffè insieme e quando lo ha visto nel reparto si sono salutati dandosi la mano (sic…). Resta da capire come abbia fatto un paziente legato a dare la mano al medico. In ogni caso, pur conoscendolo, non ha chiesto nulla circa le sue condizioni di salute. All’Avv. Michele Capano (dell’Unasam) che gli ha chiesto come mai non fosse stato chiamato per l’emergenza Mastrogiovanni non ha saputo rispondere in modo convincente, lasciando pensare che una contenzione ai quattro arti, per tante ore consecutive, non fosse considerata, da chi avrebbe dovuto telefonargli, un’emergenza.

Semincosciente ma sempre legato

Dopo quello di Di Genio ha avuto luogo l’esame del dott. Michele Della Pepa, medico-psichiatra, in servizio dalle ore 20 del 31 luglio alle ore 8 del 1 agosto 2009 che ha dichiarato di non aver controllato che la contenzione fosse annotata ammettendo, implicitamente, di non aver letto la cartella clinica e, in preda a un visibile stato d’ansia, ha affermato: “Alle ore 20, il sig. Mastrogiovanni aveva fatto già 10 fiale ed era in uno stato di semi-incoscienza e ho preferito sospendere la terapia farmacologica”. Della Pepa ha dichiarato, infine, di aver deciso di non slegare Mastrogiovanni per paura che potesse cadere dal letto.

L’udienza del 10 aprile

era molto attesa in quanto prevedeva la deposizione del Dr. Barone, indicato dal primario come responsabile del reparto in sua assenza. Il Dr. Rocco Barone ha smentito quanto affermato dal Direttore Di Genio, nell’udienza precedente, e ha dichiarato di non essere mai stato nominato né responsabile, né direttore del reparto di psichiatria e, rispondendo alle successive domande del P.M., ha precisato che il suo compito consisteva semplicemente nel sostituire, per le urgenze, il primario. Ha aggiunto, inoltre, che non poteva assolutamente prendere decisioni contrarie a quelle adottate da Di Genio. Alla domanda riguardante la presenza in reparto del dott. Di Genio, il giorno del ricovero di Francesco Mastrogiovanni, il Barone ha risposto affermativamente aggiungendo di non aver mai saputo che il primario fosse in ferie anzi ha dichiarato che lo stesso, la mattina del 3 agosto, era regolarmente presente e in servizio in quel reparto al punto che fu informato del ricovero ed entrò a vedere Mastrogiovanni. Incalzato poi dall’avv. Caterina Mastrogiovanni il dott. Barone ha affermato di aver discusso, la mattina del 3 agosto, del ricovero di Mastrogiovanni col Dott. Di Genio il quale non modificò la terapia nonostante potesse farlo perché, essendo il primario, avrebbe potuto prendere qualsiasi decisione senza rischiare di essere contestato.

“Ho disposto la contenzione perché il paziente rifiutava di sottoporsi al prelievo”

Il Dott. Barone ha dichiarato, inoltre, che dopo aver visitato Mastrogiovanni ha disposto la terapia e la contenzione perché il paziente – come riferito da un infermiere – rifiutava di sottoporsi al necessario prelievo delle urine richiesto dai carabinieri di Pollica. Su questo punto Giuseppe Galzerano, componente del Comitato verità e giustizia, ci ha rilasciato la seguente dichiarazione: “Prima ci avevano detto che Mastrogiovanni aveva un comportamento aggressivo e per questo, non potendo fare diversamente, erano stati costretti a legarlo.Naturalmente noi non ci credevamo. Adesso invece, con la dichiarazione del Dott. Barone, veniamo a sapere che Mastrogiovanni è stato legato solo per aver detto un semplice e normale “No!”, un no al prelievo delle urine. Invece di convincerlo con le parole lo hanno costretto ad ubbidire sopraffacendolo con la forza e con la brutalità più selvaggia. “Tu ci dici no e noi ti leghiamo! Ti leghiamo per sempre!” Una volta fatto il prelievo, cessato lo stato di necessità, avrebbero potuto scioglierlo, invece andava punito per aver detto di no. È veramente aberrante scoprire questa concezione e questa pratica della psichiatria. Nel reparto di Vallo della Lucania i medici non ammettevano atti di disubbidienza alle loro richieste. “Guai ai disubbidienti” e così la contenzione è andata oltre la morte del paziente, che è bene ricordare- a testimonianza del totale stato di abbandono in cui è stato tenuto Mastrogiovanni - è stato sciolto ben sei ore dopo dal momento in cui il suo cuore ha cessato di battere”.
In questo strano gioco delle parti il Dr. Barone ha precisato che: “La contenzione non è avvenuta sotto i miei occhi perché sono andato via dal reparto alle ore 14, alla fine del mio turno lavorativo”. Dopo le ore 14.00 subentrò al Dr. Barone il dott. Amerigo Mazza e fu proprio lui ad applicare la contenzione meccanica senza peraltro annotarla in cartella. Continuando nel suo racconto Barone ha dichiarato di essere ritornato al lavoro il 2 agosto. Quel giorno durante la visita ha trovato Mastrogiovanni delirante ed aggressivo, ma ciò nonostante hanno discusso insieme di conoscenze comuni avute a Salerno. Secondo il dott. Barone, anche sulla base dei precedenti ricoveri, il paziente aveva bisogno di quattro o cinque giorni per superare lo stato maniacale, e comunque la contenzione, a suo avviso, era assai blanda, perché aveva ampia libertà di movimento. Ancora una volta, Barone, dimentica di annotare la contenzione, che pure ha disposto, precisando che non aveva nessun motivo per non annotarla e che la contenzione è un atto medico del tutto legittimo, praticato in diversi ospedali e in diversi reparti. Ritornato nel reparto la mattina del 3 agosto ha dimenticato, per la terza volta, di annotare la contenzione: l’importante – dice –è annotare in cartella la terapia farmacologica, perché il medico che avrebbe voluto informarsi della durata della contenzione poteva disporre del filmato del sistema di videosorveglianza… Ovvero un medico per sapere da quante ore fosse contenuto un paziente avrebbe dovuto trascorrere il suo tempo a visionare il video dei giorni precedenti, cioè, invece di assistere i pazienti, avrebbe dovuto guardare la televisione e, volendo, avrebbe potuto anche servirsi dello scorrimento veloce delle immagini. Un’altra grande contraddizione si è consumata quando ha raccontato che Mastrogiovanni appena arrivato in reparto, in seguito al TSO, non era particolarmente violento, era aggressivo solo verbalmente e non ha mai commesso atti violenti. A questo punto viene da pensare che la violenza l’abbia commessa proprio il dott. Barone disponendo la contenzione di un paziente tranquillo e collaborativo, come mostrano e testimoniano le immagini del “video dell’orrore”. Anche Barone racconta che i polsi di Mastrogiovanni presentavano degli “arrossamenti” assolutamente normali da non definire ferite. A questo punto l’avv. Mastrogiovanni ha chiesto al Presidente del Tribunale, Dott. Elisabetta Garzo, di mostrare all’imputato le foto eseguite il giorno cinque. Di fronte all’evidenza Barone si è visto costretto ad ammettere: “Sono delle lesioni, per carità!” e aggiunge: “Non ho mai visto contenzioni che hanno portato a queste lesioni!” e “Non ho mai sospettato che non fosse stato alimentato e in proposito non ho chiesto agli infermieri”. A domanda dell’avv. Valentina Restaino (dell’Unasam) ha affermato: “Ho disposto la contenzione senza visitarlo, senza controllare nulla”. Rispondendo infine all’avv. Gioacchino Di Palma (di Telefono Viola) il dott. Barone ha detto che non aveva nessun motivo per occultare la contenzione e che la sua è stata solo un’innocua dimenticanza. Naturalmente il dott. Barone cerca di minimizzare ben sapendo che una contenzione ininterrotta durata ottantatre ore è un reato, che diventa ancor più grave se porta alla morte del paziente. A domanda della Presidente del Tribunale; “Che idea si è fatto della morte?” il dott. Barone ha detto che lo stato delle condizioni di salute, al momento del ricovero, erano “discrete” (Mastrogiovanni aveva quasi tutti i valori alterati) e per il decesso del paziente ha affermato: “Non è stata causata sicuramente dalla contenzione! È stato un fatto cardiaco! Una morte improvvisa!”. Terminata la deposizione del dott. Rocco Barone, l’avv. Giovine, della difesa degli imputati, ha depositato dei fotogrammi ricavati dal video in nome e per conto del suo assistito, l’infermiere Scarano.

La visita negata

È stato sentito, in seguito, il dott. Raffaele Basso, in servizio l’1 e il 2 agosto, che ha affermato che: “Il non aver riportato la contenzione in cartella è motivo di estremo dispiacere da parte nostra, non c’era motivo di occultarla, è stata una superficialità non annotarla, la contenzione è stato un errore sulla terapia”. Al legale di Telefono Viola, avv. Gioacchino Di Palma che gli ha domandato se nella giornata del 1° agosto 2009 è stata somministrata, al paziente, la terapia infusionale ha risposto di no, affermando anche che, in quella giornata di caldo estivo, il reparto non era dotato di condizionatori. È stato ascoltato, per ultimo, l’infermiere Giuseppe Forino, in servizio il 2 e il 3 agosto, il quale ha affermato che le fascette non erano strette e che, durante i suoi due turni, ha visitato Mastrogiovanni ben quaranta volte, di averlo fatto anche bere e di averlo sciolto per pochi minuti senza alcun ordine medico. Anche lui dice che, quando lo ha slegato, presentava ai polsi dei normali arrossamenti, ma quando il Presidente dott. Elisabetta Garzo, per l’ennesima volta, gli ha mostrato le foto, ha riconosciuto: “Sono ferite, io ne sono meravigliato!”. Inoltre ha affermato che Mastrogiovanni, durante il turno pomeridiano del 3 agosto, non presentava alcun sintomo preoccupante: né fame d’aria, né bava alla bocca. Fiorino ha ricordato inoltre che, quella sera, si recò in ospedale la nipote del maestro, Grazia Serra, la quale gli chiese di poter far visita allo zio. Il Fiorino, a sua volta, chiese l’autorizzazione per farla entrare al Dr. Mazza ma, quest’ultimo, nella sua grande umanità, disse di no.

Angelo Pagliaro

Per informazioni, si può telefonare:
Vincenzo Serra, 0974.2662
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Elezioni amministrative/
Un’illusione di libertà

In occasione delle recenti elezioni ammninistrative, che hanno interessato solo una parte del corpo elettorale, gli anarchici di Trapani hanno diffuso questo testo a spiegazione della “classica” scelta astensionista del movimento anarchico.

Abituare il popolo a delegare ad altri la conquista e la difesa dei suoi diritti, è il modo più sicuro di lasciar libero corso all’arbitrio dei governanti
(Errico Malatesta, 1897)

Conferenze stampa, proclami su internet, alleanze strategiche, propaganda.
La campagna elettorale per le amministrative 2012 è entrata nel vivo, in un quadro politico frammentato e confuso, reduce dai disastri degli ultimi vent’anni di berlusconismo.
La provincia di Trapani non fa eccezione rispetto al resto del paese. La classe politica annaspa con poche idee, tutte confuse. Destra, centro e sinistra sono etichette alle quali gli stessi protagonisti credono poco, incapaci come sono di decifrare una fase sociale, politica ed economica segnata da una crisi strutturale di tutto il sistema. L’unica cosa che conta è ritagliarsi un posto al sole per i prossimi anni, mantenendo o guadagnando per sé (e per i propri amici) i privilegi, il potere, il consenso e l’influenza che la politica di professione può garantire.
Poi, come sempre, ci siamo noi cittadini, noi lavoratori, noi senza potere.
Tutti ci chiedono di votare per questo o quel candidato, e tutti sono pronti a garantire la realizzazione di programmi mirabolanti, promettendo benessere, equità, sviluppo, ordine. Eppure, al di là dei personali convincimenti di ciascuno, è sufficiente guardare la realtà delle cose: i governi – compresi quelli eletti “democraticamente” – non hanno mai lavorato per tutelare gli interessi e la libertà dei popoli che vengono governati.
E questo vale a tutti i livelli.
Le elezioni sono un’illusione di libertà, per tanti motivi. Perché la maggioranza vince e le minoranze sono destinate a soccombere; perché in ogni caso il meccanismo della delega conferisce il potere a una minoranza di individui che decidono per tutti; perché consolidano un sistema gerarchico nel quale la libertà è ridotta al simulacro della rappresentanza istituzionale; perché giustificano il disordine sociale in cui c’è chi ha tutto e chi non ha niente; perché alimentano una casta parassitaria e autoreferenziale di burocrati. E allora?
Noi anarchici invitiamo all’astensione, al rifiuto della delega, all’assunzione di responsabilità da parte di ciascuno.
L’organizzazione sociale, la produzione e la distribuzione della ricchezza, la cura delle nostre città, l’esercizio delle libertà individuali e collettive, il rispetto dell’ambiente, sono cose troppo importanti per essere delegate a poche persone.
Quello che proponiamo non è il disinteresse di chi diserta le urne per qualunquismo o sterile disaffezione. Il nostro astensionismo è attivo e rivoluzionario perché fa parte integrante di un approccio alternativo alla cura del bene comune, basato sull’autorganizzazione e la gestione diretta delle risorse da parte delle comunità che si autogovernano. Questo è possibile anche partendo dalle cose semplici: dalle assemblee di quartiere all’autoproduzione, dall’erogazione allo scambio solidale di beni e servizi, dalla costruzione di reti di mutuo appoggio alla creazione di organismi di base e di lotta nei quartieri e nei posti di lavoro.
E tanto altro ancora.
Noi non promettiamo niente, e non chiediamo voti. Il nostro programma è quello di sempre, e presuppone l’impegno di ciascuno: costruire libertà e uguaglianza nella solidarietà.

Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” Trapani

 

Trapani/
Repressione e nuova cooperativa ai cantieri

All’alba di mercoledì 18 aprile, con uno spropositato dispiegamento di reparti antisommossa, le forze dell’ordine (polizia, carabinieri, finanzieri e uomini della capitaneria di porto) hanno sgomberato il presidio permanente dei lavoratori del Cantiere Navale di Trapani.
Dopo circa sette mesi di lotta autorganizzata per il diritto al lavoro, istituzioni e proprietà hanno concertato l’azione repressiva per stroncare la resistenza degli operai licenziati in massa lo scorso dicembre. Il giorno prima dello sgombero, i lavoratori del Collettivo - aderente alla Flmu-Cub - si erano incatenati ai cancelli del cantiere per impedire l’ingresso di sei operai neoassunti dalla Satin spa (l’azienda “madre” il cui proprietario è lo stesso della Cantiere Navale Trapani spa) in virtù di un impresentabile piano industriale al ribasso, accettato a gennaio dai sindacati confederali e dal sindacato Failms. La medesima provocazione padronale era stata respinta anche il 26 marzo con un’analoga protesta del Collettivo autorganizzato che, nell’impedire l’accesso dei crumiri, aveva comunque sottolineato il rifiuto di prestarsi a una guerra tra poveri utile solo agli interessi della proprietà.
Dopo lo sgombero, i lavoratori si sono spostati in presidio permanente davanti il palazzo del governo chiedendo un incontro urgente con il prefetto che, ovviamente, ha fatto spallucce. Sabato 21 aprile, il Collettivo ha convocato una manifestazione per protestare contro la repressione e per rilanciare la lotta per il lavoro. Il corteo, aperto dallo striscione “La dignità non si sgombera” ha raccolto l’adesione di diverse realtà politiche e associative di Trapani e Palermo. Presenti, come sempre, gli anarchici del Gruppo “Salsedo” che hanno organizzato uno spezzone rosso e nero aperto dallo striscione su cui campeggiava la scritta: “Contro i licenziamenti, azione diretta”. All’iniziativa, hanno partecipato anche compagni palermitani della Federazione Anarchica Italiana e della Federazione Anarchica Siciliana. Un centinaio di persone hanno attraversato le strade della città raggiungendo i cancelli del cantiere navale dove si è svolta un’assemblea cittadina. Nel ribadire la loro ferma volontà di non arrendersi, nonostante le difficoltà e alcuni limiti manifestati nell’ultimo periodo, gli operai trapanesi hanno ufficialmente annunciato la costituzione della cooperativa “Bacino di carenaggio” con la quale si vuole rilevare e autogestire il cantiere. Un percorso di autodeterminazione che proprio gli anarchici trapanesi avevano pubblicamente suggerito alcuni mesi fa come ipotesi praticabile per uscire dal cappio della crisi e dei licenziamenti.

Taz
laboratorio di comunicazione libertaria