rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


MEDITERRANEO. 3

Terra di Conquista?

di Mariano Brustio


Il Mare Nostrum continuerà a sfornarci petrolio, nascondere risorse e naufraghi, accettare i nostri rifiuti, diluire le nostre acque sporche insieme a tutti i nostri affari e qualche volta, forse, ci permetterà ancora di vedere le acciughe fare il pallone.



Il mare non cambia mai
ed il suo operare,
per quanto ne parlino gli uomini,

è avvolto nel mistero.

Joseph Conrad,
“Cuore di tenebra”



“L' Unione europea promuove una gestione integrata su scala più ampia mediante strumenti orizzontali, anche nel settore della tutela ambientale, e mediante lo sviluppo di solide basi scientifiche attraverso i propri programmi di ricerca. Queste attività contribuiscono pertanto a una gestione integrata delle zone costiere”. (1)
Ovvero: le parti contraenti (i paesi che hanno ratificato la Convenzione di Barcellona sono Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Croazia, Cipro, Commissione Europea, Egitto, Francia, Grecia, Israele, Italia, Libano, Libia, Malta, Monaco, Marocco, Serbia & Montenegro, Slovenia, Spagna, Siria, Tunisia e Turchia) si impegnano a promuovere la gestione integrata delle zone costiere, tenendo conto della tutela delle aree di interesse ecologico e paesaggistico e dell'uso razionale delle risorse naturali, ovvero il principio “chi inquina paga” la gestione integrata delle zone costiere, favorendo la protezione di aree di interesse ecologico e paesaggistico e l'utilizzo razionale delle risorse naturali.
Conclusione: siamo tutti più tranquilli, nessun problema rimarrà irrisolto, la pesca tornerà florida, le coste pulite, la sicurezza sarà garantita e nessuno più ci lascerà la vita perché tutti ci siamo impegnati.
Il commissario europeo per la pesca Borg, nel 2008 scriveva così:

Quella dell'Unione europea è una storia di unità nella diversità.
L'Unione offre ai suoi Stati membri gli strumenti per mettere in comune la propria influenza e presentarsi con una posizione unitaria sulla scena mondiale, ad affrontare problemi che incidono profondamente per noi sulla pace, sulla prosperità e sul benessere economico. In quest'opera, tuttavia, l'Unione non appiattisce le differenze tra gli Stati membri e le regioni; cerca anzi di conservare la diversità delle rispettive culture e tradizioni.
Questo principio vale anche per la politica comune della pesca.
L'industria della pesca dell'Unione europea è una delle più diversificate al mondo e la flotta dell'Unione comprende sia navi fattoria intente alla pesca del merluzzo artico nell'infuriare di tempeste forza nove, sia pescherecci a palangari di dieci metri che catturano sardine nelle tranquille acque costiere dell'Adriatico, sia pescherecci con reti a circuizione che solcano le calde distese dell'Oceano Indiano in cerca di tonni. La politica comune della pesca deve gestire un settore che si estende, da un estremo all'altro, dal singolo appassionato che pratica la pesca sportiva fino alle società multimilionarie quotate in borsa, e che interessa l'intera catena del mercato, dal punto di cattura alla vendita finale, passando per le fasi intermedie dello sbarco, del trasporto, della lavorazione e della distribuzione”.


Il 7% delle acque mondiali

E infatti se ci guardiamo bene in giro da qualche parte ci accorgiamo che è stato creato Il Fondo europeo per la pesca (FEP) che fornisce finanziamenti agli operatori della pesca e alle comunità costiere per aiutarli ad adattarsi al mutare delle condizioni, salvaguardando gli aspetti ecologici, e renderli flessibili dal punto di vista economico. Il FEP dispone di un bilancio di 4,3 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. Sono disponibili finanziamenti per tutti i comparti del settore: pesca in mare e in acque interne, acquacoltura (allevamento di pesci, molluschi e piante acquatiche) e trasformazione e commercializzazione dei prodotti ittici. Le comunità di pescatori più colpite dai recenti cambiamenti avvenuti nel settore ricevono una particolare attenzione. I progetti vengono finanziati sulla base di piani strategici e programmi operativi elaborati dalle autorità nazionali. I finanziamenti del FEP sono destinati a cinque settori (assi) prioritari:
adeguamento della flotta (demolizione dei pescherecci, ecc.); acquacoltura, trasformazione, commercializzazione e pesca in acque interne (ad esempio per promuovere la transizione verso metodi di produzione più rispettosi dell'ambiente); misure di interesse comune (migliorare la tracciabilità o i sistemi di etichettatura, ecc.), sviluppo sostenibile delle zone di pesca (ad esempio per diversificare l'economia locale); assistenza tecnica per finanziare la gestione del fondo.
E in effetti all'Italia sono stati assegnati ben oltre 424 milioni di euro sino al 2013, (7458 km di coste) contro i 734 milioni per fare un esempio della Polonia che ha 440 km di mare.
Ora, non ho riportato questo dato perché, con malizia, qualcuno mi potrà dire che i polacchi mi sono antipatici, ma forse sarà che in Polonia sono stati negli anni fatti piani di sviluppo ben diversi dai piani italiani.
Se ci spostiamo per esempio sui laghi italiani, una recente indagine del Corriere della Sera riporta che dalle 400 barche di pescatori di professione del 1991 siamo scesi alle 196 del 2011.
Nel 1997 in Italia erano censite circa 15593 imbarcazioni costituenti l'intera flotta di pesca, saliti a 19.363 nel 1998, scese di nuovo a 15.100 secondo la relazione finale della Commissione Europea per la Pesca nel 2009. Siamo quindi di fronte ad una lenta agonia del settore, malgrado ci siano fondi consistenti per il mantenimento e il rilancio stesso, ma come vediamo di fronte ad una assenza di piani tecnici, i fondi rimangono a disposizione di quelle nazioni più lungimiranti, tanto che i mercati del pesce in Italia rischiano la chiusura (vedi quello di Chioggia). Del resto il Mare Nostrum rappresenta il 7 per cento delle acque mondiali, ma ha il triste primato di avere 60 volte catrame galleggiante superiore a quello dell'Oceano Indiano, inoltre la pescosità riflette i gusti degli italiani che preferiscono pesce di allevamento o acquacoltura come spigole e orate piuttosto che le varietà nazionali, compreso il Tonno rosso a rischio per la sovra-pesca. La conseguenza è che nel mercato globale di oggi importiamo il 37 per cento in più rispetto al 1991. E i nostri fondi europei sono assorbiti da altri.
Ben altro primato rispetto alla pesca, è detenuto dal Mare Nostrum in termini di vite letteralmente risucchiate nei suoi gorghi. Dal 1988 ad oggi sono morte 18.058 persone e di queste solo nel 2011 sono 2.251. Spagna, Italia, Tunisia, Malta, Egitto, Libia, tutti piangono i morti annegati, gente disperata arrivata da chissà dove per sbarcare nella ricca Europa.

Privilegio per pochi

Amnesty International ha partecipato alla Marcia per la pace Perugia-Assisi lo scorso 25 settembre, all'insegna di “1500 morti nel Mediterraneo. Europa dove sei?”.
Italia Terra promessa dei 27.000 albanesi di venti anni fa, e il Mediterraneo strumento, mezzo, veicolo, ponte verso la libertà. Cosa si è fatto ad oggi? Campi chiusi come galere a Lampedusa mentre qualcuno si comprava la villa nuova. E ogni volta che succede i titoli riportano “Emergenza sbarchi immigrati”. La nostra memoria è troppo corta per riportarci ai tempi di Ellis Island. è più facile negare, o guardare dall'alto della nostra torre d'avorio. E dimenticare i morti nel Mediterraneo. Ripeto, 18.000 morti annegati, 2.250 solo nell'2011.
Tutte le civiltà moderne hanno avuto origine nel Mediterraneo. Egizi, Greci, Etruschi, Romani, Micenei, Arabi, per non parlare della religione cristiana. Così come, inevitabilmente, le più atroci guerre. Quelle finite, quelle dimenticate, quelle lampo e quelle di cui si parla poco e quelle ancora in corso. Prendiamo per esempio la civiltà nuragica in Sardegna. I Nuraghi ancora oggi dall'origine e dall'uso controversi, tutto erano meno che abitazioni. Oggi considerati i più antichi monumenti megalitici d'Europa, erano messi lì, ogni 4, 5 km quadrati, a difesa del territorio. Come peraltro più tardi le Torri Saracene. Anche loro messe lì con lo stesso scopo. Il popolo sardo non ha mai amato il mare, anzi lo ha sempre considerato veicolo da dove sbarcava l'invasore, tanto che dapprima e anche ora, i villaggi e paesi di Sardegna non sono sulla costa, ma all'interno. Quindi se ci si doveva difendere, era dall'invasore che portava guerra e morte, attraverso il mare.
E attraverso il mare, il Mediterraneo, solcavano e solcano tutt'oggi le navi. Costruite appunto in quelli che oggi sono diventati i cantieri navali più grandi e importanti del mondo. Genova, dall'Ansaldo alla Fincantieri. Marghera, Livorno, Trieste, Ancona, Palermo, Napoli. Insomma, tutta la nostra economia, o almeno gran parte di questa, non sarebbe tale se il Mare Nostrum non ci avesse dato la possibilità di essere usato per il nostro scopo.
22 paesi che si affacciano sul Mediterraneo, 400 milioni di persone di cui 143 milioni sulle fasce costiere, in aggiunta a175 milioni di turisti.
Il 50% dei centri abitati con più di 100.000 abitanti non dispone di validi sistemi di depurazione delle acque, il 60% delle quali finisce nel mare. In gran parte dei Paesi del Mediterraneo sudorientale oltre l'80% delle discariche non è soggetto a controlli. Rifiuti agricoli, acque dolci che trasportano in mare agenti patogeni, metalli pesanti, inquinanti organici, oli e sostanze radioattive finiscono nel Mediterraneo.
Risale al novembre 2006 il programma d'azione nell'ambito dell'iniziativa “Horizon 2020” per la salvaguardia delle risorse del Mediterraneo, la lotta all'inquinamento e successivamente un programma dedicato alla ricerca e beneficio “della sostenibilità climatica, dall'energia pulita alla mobilità sostenibile”, “all'azione per il clima”, “all'agricoltura sostenibile”.
E in tutto questo tempo il Mediterraneo, Mare Nostrum, continuerà a sfornarci petrolio, nascondere risorse e naufraghi, accettare i nostri rifiuti, diluire le nostre acque sporche insieme a tutti i nostri affari e qualche volta, forse, ci permetterà ancora di vedere le acciughe fare il pallone. Ma sarà solo privilegio per pochi.

Mariano Brustio

  1. Gazzetta ufficiale dell'Unione europea 23.10.2010 accordi internazionali del 13 settembre 2010. Decisione del Consiglio relativa alla conclusione, a nome dell'Unione Europea, del protocollo sulla gestione integrata delle zone costiere del Mediterraneo della convenzione sulla protezione dell'ambiente marino e del litorale del Mediterraneo.