rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


fisco

Kafka contro Serpico

di Francesca Palazzi Arduini


Riflessioni su fiscalità e senso di colpa.
Nuovi apparati totalitari come vecchio rimedio alla crisi.



“Si avvicinava il momento della pubblica esecuzione dell'evasore impudente, sugli spalti già sedevano le prime famiglie con gli immancabili beveraggi e i singoli con le banderuole di categoria, ogni volta, si sa, la lettura del risparmio che per tutti avrebbe comportato l'applicazione della pena capitale veniva salutata da schiamazzi ed urrà, ad ogni cento esecuzioni ed espropri corrispondeva la promessa di un rapido abbassamento delle aliquote”.

Sembrerebbe un paesaggio kafkiano ma è solo ironia sul recente scatenarsi alla caccia del piccolo-medio evasore, contornata da risibili dimostrazioni (temporanee) di auto fustigazione dei redditi da parte di manager e politici, a copertura del vero furto che si compie ogni giorno ai danni dei cittadini, costituito dalle privatizzazioni e da una gestione economica priva di sostegno al lavoro, di equità retributiva, di revisione del bilancio opere pubbliche a favore di scelte realmente condivise sui territori.
L'esenzione dal dichiarare il reddito è concessa in Italia a chi guadagna meno di 7500 euro all'anno, ciò significa che anche per 7500 e un euro occorre dichiarare. Anche se cioè si vive abbondantemente sotto la soglia della povertà è necessario praticare un iter che impone un sia pur basso contributo a soggetti in pratica privi di mezzi. Contributo il cui calcolo è così complesso che 17 milioni di italiani si rivolgono ad altri per compilare lo stesso “semplice” modello 730.
Le sanzioni per chi non paga tasse e tariffe sono ormai così punitive da sorpassare di gran lunga l'usura.
Questa è la macchina fiscale e questo è il significato aggiuntivo della parola “fiscale”, “ma come sei fiscale!” si dice di una persona che non ammette deroghe, una mente ottusa, incapace di flessibilità.
Un mondo fatto di numeri è quello che spesso percepiamo come nostro habitat nello Stato, la nostra appartenenza allo Stato è essenzialmente un questione di numeri e proprietà. Proprietà divisa con lui, lo Stato, del nostro corpo, dei nostri spazi (e degli spazi “pubblici”) e del nostro denaro.
Di recente il prèmier Monti ha effettuato un viaggio in Cina, lo ha anteposto a tanti altri impegni, era importante trovare subito accordi con la potenza mondiale che ha rifinanziato parte del debito europeo, debito causato da un mix tra speculazioni finanziarie private e tra Stati, i quali, scrive Renato Bellofiore (1), hanno preferito finanziare le banche private invece che scadenzare il debito e rifinanziarsi.
In Cina non si è tenuti a dichiarare reddito se non si supera un guadagno di circa 15mila euro, ed esistono ben 9 aliquote, dal 5 al 45 per cento, per la tassazione del reddito dei privati. Lo può leggere chiunque sul sito dell'agenzia governativa, sul quale spicca una illustrazione emblematica: due cinesi, ragazzo e ragazza, in divisa, salutano sorridenti su uno sfondo di grattacieli grigi immersi in una boscaglia (vedi foto sotto). L'ideale per lo stato totalitario, cittadini obbedienti e felici in una tecnocrazia che spunta tra ipotetici boschi di contorno. Il rispetto della natura è, diciamo, fondamentale per l'estetica ma al contempo marginale.
I balzelli aggiuntivi locali in Cina sono all'ordine del giorno e foraggiano una diffusa, e anch'essa kafkiana, classe di piccoli funzionari: questa tecnocrazia, con al sua cultura millenaria delle tasse e il suo federalismo fiscale, può fare da modello a quella europea.



In attesa della lotta all'evasione fiscale...

Col suo apparato burocratico così esteticamente grigio ed uniforme, lo Stato totalitario, o la Chiesa, e la mafia, rappresentano infatti un rimedio virtuoso allo sperpero di denaro del politico e dei suoi alleati capitalisti non regolamentati.
Numeri e regole, esenzione o punizione, non vi è stata trasformazione da quel paesaggio kafkiano in cui il personaggio viene risucchiato in un processo spersonalizzante di cui nessuno sa le ragioni e del quale non si conosce nemmeno la fine.
Numeri: quelli del debito pubblico, del quale nessuno può spiegarsi la in-consistenza, per la sua realtà massmediatica di “indice” impreciso della produttività di un paese, o debito in realtà costituito da interessi bancari e prestiti transnazionali del quale sono ignote ai più, e mutevoli nel tempo, le regole, quest'ultime descritte vagamente dai mass media come meccanismi inevitabili e universali, in realtà baratti della politica internazionale.
Emblematica per l'Italia, la vicenda della sua Cassa Depositi e prestiti, un enorme contenitore dei risparmi degli italiani, 130 miliardi di euro di liquidità, trasformata nel 2003 in società per azioni e quindi ora pilotata dalle banche private, a scapito del credito agli enti pubblici territoriali, e della risoluzione del “debito”. (2)
Regole: quelle appunto della politica internazionale, presentata come serie infinita di fotografie di summit e vertici, gioco di squadra che si svolge nei corridoi e al di là della legalità e dei principi sedimentati della stessa democrazia liberale che assicurava ai cittadini la libertà da ingiusti balzelli e ipotizzava solo un minimo contributo di ognuno alla spesa pubblica.
Ma il sistema fiscale è la berlina della democrazia liberale, la prova della sua fallacia, cela la macchina per la riscossione dei debiti in un sistema che non prevede partecipazione ma solo rappresentazione. Un altalenare continuo delle regole, un susseguirsi di aliquote, nuove imposte, sparizioni e riapparizioni, esenzioni e aggravi, è retto dalla politica, mentre la macchina burocratica e ispettiva, cieca come la Fortuna, applica le risoluzioni sulla popolazione da mungere. Non per niente la società informatica che regge il sistema fiscale, Sogei, regola anche il Lotto.
Poi, un improvviso palesarsi di un “governo tecnico”, un Robo-Gov, volto a scavalcare i conflitti di interesse, spietato applicatore di norme impopolari ancora più efficienti per la ricostituzione del Capitale da versare nelle tasche dei creditori privati.
L'obbligo di pareggio di bilancio, votato dal Senato italiano nell'aprile 2012, elegge la fiscalità coatta come metodo di governo, in una Unione Europea che rende impossibile agli stati la decisione libera sul proprio finanziamento, e incastra i cittadini nel ruolo di contribuenti totali a sostegno dei giochi finanziari globali. Così lo Stato è totalitario, mentre il Capitale è liberal. Lo Stato distrugge il Welfare pubblico, il Capitale si fa aiutare.
Lo spettro che si era prefigurato a Lisbona e Maastricht si palesa interamente: siamo schiavi dei numeri, e la matematica è una opinione di chi ha più forza. In questo panorama spettrale riappare forte oltretutto lo spettro della destra che invoca mamma autarchia e le banche “di Stato” (arieccolo), ignorante della globalizzazione e incurante dei rischi della depauperizzazione per un default che pagherebbe chi non ha nulla in Svizzera.

Il presidente del consiglio dei ministri, Mario Monti

L'era del controllo totale

C'è un altro aspetto, ora più che mai sottolineato: il ruolo investigativo della macchina, che al di là del produrre utili alle casse statali con la spremitura, raccoglie, ordina e analizza dati sulla vita materiale dei cittadini-sudditi. La macchina statistica che raccoglie dati nel presunto anonimato Istat già serve sul territorio per il controllo della popolazione residente, dati gestiti prima che da Istat dai funzionari delle anagrafi comunali in barba alla privacy dei censimenti compilati. La macchina fiscale va ben oltre, entra nelle tasche, saggia la disponibilità di denaro, analizza i consumi.
Così, con la prospettata sparizione del liberale denaro contante (il cui “anonimato” è descritto ormai come un potenziale crimine contro il “bene comune”) si inaugura l'era del controllo totale del cittadino-suddito, i cui bisogni e consumi possono essere analizzati a distanza in ogni momento e senza più la fatica di dover ricorrere ad altri più dispendiosi metodi.
L'orizzonte del controllo è completo, sono stati costruiti saldamente i principi di responsabilità e colpa attraverso i quali si rafforza la credulità nelle persone. Non c'è altra interpretazione alla mitezza con cui gli italiani, popolo sbeffeggiato per le qualità menefreghiste e individualiste del Cavaliere, sta accettando la spoliazione: il senso di colpa generato dalla convinzione di poter/volere vivere passivamente.

  • il concetto di “crisi” viene fondato su una presunta responsabilità del lavoratore (ci costi troppo), del consumatore (consumi troppo poco), del “sistema-paese” (gli altri sono più competitivi di noi).
  • il concetto di “fallimento” viene costruito facendo leva sulla malleabilità più o meno accentuata delle masse. I disastri di altri paesi, già fatti collassare, vengono posti a monito come se l'epidemia del crack finanziario potesse contagiare da un momento all'altro, la paura è gestita facilmente perché la maggior parte delle persone, affidando tutto il proprio denaro alle banche e non possedendo beni che possano garantirgli la sussistenza quotidiana, sanno che se la moneta “fallisse” accadrebbe un terremoto finanziario così grande nella propria vita da ridurre in fumo ogni possibilità di vita dignitosa. Lo spettro dell'Argentina a monito, il cittadino si fa consapevole della instabilità non solo di beni quali la giovinezza, la salute, l'amore … ma anche del denaro! Unite ciò alla proiezione di film apocalittici in cui la crosta terrestre si sfalda, e il panico è stabilizzato.
  • la necessità di pagare viene presentata come palliativo in attesa che le “vere” cure siano applicate: queste sarebbero la lotta all'evasione fiscale (il motivo oltretutto per cui si invoca la fine dell'uso del denaro contante), il taglio transitorio ai privilegi, si scatena la caccia al micro-furbetto, che copre con le sue malefatte spendaccione i veri potenti. I reali motivi dell'impoverimento, che stanno nella speculazione finanziaria, nelle politiche del lavoro disastrose, nei rapporti commerciali e politici internazionali, sono nascosti, occulti, in sordina rispetto ai servizi giornalistici magnificanti i colpi di coda fiscali contro i ricchi impellicciati a Cortina, i gioiellieri fiorentini, i possessori di barche. Categorie mitologiche? Certo che no, categorie pericolose nel momento in cui scopriamo che noi reggiamo ogni giro di vite perché le aliquote sono sempre molto più punitive per i meno abbienti.

Serpico, acronimo dell'ironico “Servizi per il cittadino” che l'Agenzia per le Entrate usa come nome per il suo programma informatico, è in grado di segnalare qualsiasi anomalia nelle spese che un cittadino compie rispetto a ciò che ci si aspetta staticamente da lui/lei. Così Serpico è simbolicamente uno strumento impositore di virtù, una specie di “Confessione dei redditi” automatica che rivela ogni aspetto della vita altrui ... con quanta fretta i vertici della Agenzia hanno tenuto a specificare che “i problemi per la privacy che si erano verificati ora sono stati risolti” ma un sistema informatico come Serpico è già in realtà nei suoi principi una violazione della privacy. Coronazione della macchina fiscale statale che gestisce da esattrice il cittadino: “basta inserire in Serpico il codice fiscale” e tutto viene a galla. Il flusso di informazioni potrebbe essere in futuro gestito per immagini: per ologrammi. Pensiamo a un sistema informativo generale, che da un lato quantifichi l'attività politica e culturale, sociale ed affettiva del cittadino grazie ai dati provenienti dai social network, la posizione e gli interessi generali dei cittadini, coi dati provenienti dai motori di ricerca, le informazioni personali e la comunicazione, coi dati provenienti dalla telefonia e dalla posta elettronica ... abbiamo già un quadro dell'attività collettiva generale abbastanza esaustivo, a beneficio di chi voglia indirizzare l'opinione pubblica o censurarla. Uniamo a questi dati quelli personali sull'attività quotidiana di ognuno: il luogo ove si paga il caffè al mattino, quanto ci si può permettere di consumare al supermercato, che quota si dedica alle attività di solidarietà sociale e politica, quanto si può spendere per muoversi.
Così il flusso serve ai presenti e futuri burocrati-esecutori-esattori per capire debolezze e forza delle masse.
Per un uso totalitario che forse mai ci sarà ma per un servizio informativo che già c'è, negli angoli dei servizi per la tutela dell'ordine costituito, nel momento in cui chi ti indaga per motivi politici sa già dal suo desktop che preferisci il tè e a che non lo bevi alle cinque. (3) E le esigenze di controllo non necessitano più di interventi cruenti ma solo di sporadiche regolazioni (chiusure temporanee di siti, requisizione di dati criptati, brevi sospensioni delle comunicazioni), perché le persone lasciano che le stato e aziende commerciali accedano liberamente a tutte le loro attività.

Alibi e strumento di spettacolo

Certo, la professionalità dell'indagatore si è evoluta dai tempi in cui Kafka descriveva nel 1935 i funzionari del Castello oberati da pile di carta “mi hanno descritto il suo ufficio: le pareti scompaiono dietro pile d'incartamenti; e quelli son soltanto gli atti riguardanti gli affari in corso; e poiché continuamente si mettono e si tolgono documenti dalle cartelle, sempre in gran fretta, le pile crollano ad ogni momento, e proprio quel fragore quasi ininterrotto è divenuto la caratteristica dell'ufficio”.
E la nostra capacità di essere MASSA si è evoluta, anche se purtroppo dimostra di non saper dar luogo che a sporadici anche se importanti momenti di lotta, mentre nei tentativi di unione strategica che pesi realmente sui luoghi e le scelte, il movimento s'accalca di leaderini e lascia che i mass media gli rubino la faccia grazie ad una sostanziale confusione tra uso della forza (strategico, condiviso, dignitoso) e violenza, tra lotta politica e teppismo. Quest'ultimo usato come alibi e strumento di spettacolo da parte di persone che non hanno la capacità reale di costruire, o distruggere, e tantomeno comunicare, un bel nulla se non una facebookiana o disneyana allure di ribellismo, la solita camionetta incendiata che farà spettacolo in tv, e che sarà ricomprata con la mastodontica Irpef dei precari.

Francesca Palazzi Arduini

Note

  1. Renato Bellofiore, La crisi globale, l'Europa, l'euro, la Sinistra. Asterios editore, Trieste 2012.
  2. Attac italia, www.italia.attac.org. Campagna Riprendiamoci la cassa Depositi e prestiti:” “Non ci sono più soldi” è il nuovo mantra per giustificare lo smantellamento dei diritti e la privatizzazione dei beni comuni e dei servizi pubblici locali. E invece i soldi ci sono. Tanti e più che sufficienti per invertire la rotta ed impostare un nuovo modello sociale, basato sulla riappropriazione sociale dei beni comuni e sulla riconversione ecologica dell'economia. Dodici milioni di persone affidano i propri risparmi a Poste Italiane, attraverso i libretti di risparmio postale e i buoni fruttiferi postali.
    La massa di questi risparmi viene raccolta dalla Cassa Depositi e Prestiti, che, dalla sua nascita nel 1860 e fino al 2003, li utilizzava per permettere agli enti locali territoriali di poter fare investimenti con mutui a tasso agevolato.
  3. Evgeny Morozov, autore di “L'ingenuità della rete. Il lato oscuro della libertà di internet” descrivendo i nuovi progetti di sondaggio dell'ambiente domestico degli utenti connessi a Google, sostiene: “... dovremmo preoccuparci della convergenza tra le esigenze dello stato in termini di raccolta dati e gli imperativi commerciali delle aziende di tecnologia”.