rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


MEDITERRANEO. 1

I colori del Mediterraneo


È uscito lo scorso anno, e ha avuto brevissima vita nei cinema, il documentario di Bruno Bigoni “Il colore del vento”, prodotto da Minnie Ferrara & Associati.

Al momento non è disponibile nè visibile.

Ma noi ne parliamo lo stesso, pubblicando alcuni testi, molto diversi tra loro, nati per il libretto che avrebbe affiancato una nostra produzione del DVD (mai realizzata): una “recensione” di Silvia Bevilacqua, due articoli di Melita Richter e Mariano Brustio e uno scritto dello stesso regista Bigoni.






Utopia di mare: un possibile sguardo

di Silvia Bevilacqua


Storie, vite, persone, questo il Mediterraneo che ci presenta Bigoni.



Il documentario “Il colore del vento” (Minnie Ferrara & Associati, Milano 2010, 76') del regista Bruno Bigoni, prende spunto da Creuza de ma di Fabrizio De André e Mauro Pagani per andare a rivisitare il Mediterraneo nei suoi tanti possibili “usi”: mare di guerra e di pace, di speranza e di morte, di sogni e di naufragi, di anarchia e di repressione.
Abbiamo chiesto alla nostra collaboratrice Silvia Bevilacqua le sue riflessioni “a caldo”, dopo la visione del DVD.

Chi ha steso braccia al largo
battendo le pinne dei piedi
gli occhi assorti nel buio del respiro,
chi si è immerso nel fondo di pupilla
di una cernia intanata
dimenticando l'aria, chi ha legato
all'albero una tela e ha combinato
la rotta e la deriva, chi ha remato
in piedi a legni lunghi: questi sanno
che le acque hanno volti.
E sopra i volti affiorano
burrasche, bonacce, correnti
e il salto dei pesci che sognano il volo

Opera sull'acqua
Erri De Luca

Il mare è utopia, senza luogo, senza paese, immaginazione di mondi.
Il mare può trovare paese nei volti, negli sguardi, nella realizzazione di mondi.
Bruno Bigoni è forse ciò che si può dire un poeta biografico. Il suo racconto è un gesto poetico che attinge alla ragione del cuore. è un gesto che non appare in un'evidenza chiara, immediata ma che si annida fra le immagini e le narrazioni che si snocciolano in un sentire altro, in un altro modo. Il gesto poetico ha inizio con due volti quello dell'anziana testimone del passato, di una Spagna non troppo lontana, di un passato che ancora non è passato e riaffiora dall'altro volto quello della giovane, del presente.
Un passato e un presente che sembrano dirci di guardare ancora aldilà l'umanità futura.
Lì in quel primo filmato, che appare discontinuo da tutto il resto della narrazione, segna in realtà la traccia che accompagnerà il susseguirsi delle immagini e che darà la sensazione di non trovarci di fronte ad un semplice documentario ma ad un invito. Un invito ad essere dentro a quel mondo che si racconta, di comprenderne le sfaccettature di saperne ascoltare la sonorità, i profumi, di sentirci vicini.
Bigoni ci chiede di stare, di restare per qualche attimo di fronte all'utopia mare, di averlo di fronte nella nostra prospettiva per immaginare cosa fare di quella immensità indistinta, che non ha strade, spaesante, che sa confondere i suoi precari confini con la linea del cielo e con il movimento dell'onda che non fissa mai il suo punto di arrivo.
Lì ci conduce Bigoni, sulla riva, non in solitudine ma accanto a delle vite, dei volti, delle storie.
Persone che a loro volta hanno guardato il mare e hanno immaginato che lì ci fosse un ponte, un altro mondo, persone che si sono lasciate andare al viaggio con quel coraggio che ha a che fare con il desiderio di libertà.
Sì perché qui sembra che sia suggerito che l'anarchia non sia una moda che passa ma un desiderio da agire, un impegno da trattenere, un progetto da costruire, una possibilità di cambiare nel mondo in cui siamo, nella quotidianità che viviamo.

Lo si dice a Tangeri il nostro sogno qui? Qui non siamo liberi si dovrà andare altrove. Il mare tiene dentro a sé questa possibilità di migrare di lasciare spazio al sogno, al semplice sogno di vivere. Il migrare delle voci raccolte da Bigoni sono un'onda che torna si ripete e non si ferma, sono la memoria di ciò che è stato cancellato, censurato revisionato. Bari 1991, chi non ha presente quell'immagine, quella dello sbarco del Vlora era l'8 agosto 1991. Bigoni restituisce quell'immagine alla memoria, ad una memoria non strumentalizzata o sfruttata per sostenere politiche della sicurezza, della paura. Bruno la ricorda, ne ricorda la storia, ne ricorda il presente attraverso la traccia di vita di chi quella nave davvero l'ha presa, ha deciso di prenderla per dare una possibilità alla propria vita. Si parte, il mare è lì aspetta solo di essere attraversato.
Di fronte al mare si pensa spesso alla libertà, accade che quell'immensità lasci spazi alla nostra immaginazione al pensiero libero che tratteniamo nei dispositivi quotidiani, nelle maglie che sono state costruite con ragione di controllo nelle nostre società. Ogni luogo può dare catene, ogni persona può accettare catene così come ogni luogo può liberare e ogni persona può liberarsi. Questa è la traccia dell'anarchia può essere un seme sotto la neve. Di fronte al mare di Barcellona si è inseguita l'utopia, si è immaginato e cambiato qualcosa del nostro mondo, si è tenuta stretta a se l'idea che il desiderio di libertà e la decostruzione del potere siano una strada percorribile.
Il mare di queste biografie non si perde, esso rimane nei desideri del viaggio della migrazione nel respiro salino della libertà e ne fa affiorare anche il suo lato buio, misterioso beffardo, a volte crudele. Bigoni non dimentica che il mare, qui il Mediterraneo, bacino, conca, spazio quasi totalmente chiuso, purtroppo talvolta trattiene, inghiotte nell'indifferenza generale, nessuno si cura si chi è stato lasciato sul fondo, di chi si è perso nelle profondità. Un mare infinito che diventa fine. Già nel passato il mare ha nascosto nel silenzio dei voli della morte della dittatura in Argentina la fine di chi ha combattuto per la libertà. Corpi desaparesidos che non hanno un porto. Corpi alla deriva, corpi rigettati, rimpatriati. Non più persone ma corpi.
Bigoni costruisce una mare-grafia un'operazione complessa perché sul mare non restano tracce, tuttalpiù scie, scie temporanee, subito dimenticate e confuse. Bruno ne restituisce una testimonianza. Una geografia di gesti di libertà che hanno percorso distanze, abitato soglie, spalancato confini.
Non solo luoghi ma utopie.

Silvia Bevilacqua