rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


situazione politica

Come ai tempi di piazza Fontana

del Gruppo Anarchico “Alfonso Failla”
della Federazione Anarchica Italiana (Palermo)
e del Gruppo anarchico “Andrea Salsedo” (Trapani)


Il potere in crisi da sempre ricorre anche al terrore.
Ma nella situazione italiana ci sono ulteriori motivi di preoccupazione, dal “furto d'identità” degli informali all'indecente comportamento dei mass-media.


A chi non ha la memoria corta, a chi ha vissuto la stagione drammatica delle stragi in Italia o ne ha anche semplicemente ricostruito fatti e farseschi percorsi giudiziari, la lettura della gambizzazione di Roberto Adinolfi, manager dell'Ansaldo nucleare, e del documento che ne giustifica l'atto, non può che generare preoccupate riflessioni.
La prima è una riflessione obiettiva, di pura e semplice constatazione: ogni volta che il potere registra difficoltà serie a gestire il contesto nel quale esercita il suo dominio, con puntualità sorprendente si personifica lo scapigliato terrorista che provoca l'evento traumatico, un evento esecrabile che, nelle intenzioni, dovrebbe distogliere l'attenzione dell'opinione pubblica dalle reali condizioni di precarietà dell'intero contesto nazionale, per convogliarla verso e contro i settori della contestazione a diverso livello radicale.
Così avvenne nella stagione degli attentati, a partire dalla strage di Piazza Fontana.
Allora la coalizione governativa, guidata da Mariano Rumor, era costretta all'immobilismo da contrasti interni tra le formazioni politiche che costituivano la maggioranza, e un “esterno” caratterizzato da un conflitto sociale che mobilitava le piazze ed elevava il livello dello scontro tra il proletariato attivo, che reclamava diritti e adeguate condizioni esistenziali, e un assetto politico-economico istituzionale sostanzialmente sordo, per resistenza ideologica o incapacità operativa, ad ogni richiesta legittimamente avanzata.
Si mobilitò allora un vasto fronte, costituito da servizi segreti italiani e stranieri, settori consistenti dell'esercito, servizi repressivi dello Stato e una disponibile manovalanza nazi-fascista, per progettare e attuare un'operazione che servisse preliminarmente a costruire la vittima sacrificale da immolare poi sull'altare dell'indignazione popolare, una volta attuato l'evento traumatico epocale. Così, prima del 12 dicembre 1969 si provocarono una serie di attentati, tutti attribuiti da un'informazione compiacente, quando non addirittura prezzolata, all'area anarchica; poi, una volta esplosa la bomba alla Banca dell'Agricoltura di Milano, il volto dell'anarchico Valpreda sbattuto in prima pagina, a compimento dell'intero disegno.
Questo per quel che riguarda l'obiettiva ricostruzione di un evento divenuto storico non soltanto per le vittime che ha provocato, ma per l'ambigua quanto rivelatrice scarsa propensione della magistratura (fatto salvo il lavoro di alcuni magistrati fuori dal coro) a compiere opera di giustizia.

La seconda preoccupazione è relativa alla profonda affinità, che è facile riscontrare, tra il collasso dell'apparato istituzionale degli anni appena ricostruiti e la stagione politica attuale.
Anche oggi, come allora, governo e partiti politici non hanno alcuna idea sensata per affrontare un'emergenza che, con le categorie classiche dell'economia capitalistica e dell'assetto tardo-borghese della società, non è più governabile.
Il potere costituito implode sotto il peso delle sue contraddizioni e di dinamiche economiche devastanti, sino a qualche mese fa ritenute acriticamente e colpevolmente salvifiche.
La disoccupazione, la povertà, il disagio sociale aumentano giorno dopo giorno senza che il volto pateticamente smarrito dei protagonisti di questa stagione terribile muti l'espressione fissa e impotente di un rigorismo cinico e privo di prospettive, tutto giocato sulla pelle dei più deboli.
In Italia, ma non solo, dalle fogne della storia riemergono forze che sembravano ormai ricacciate per sempre nel sottobosco dei disperati senza avvenire. Riemergono e pretendono di contare, in Italia come in Francia, in Grecia come in Spagna, nell'Est europeo come nei Paesi scandinavi.
Razzismo, intolleranza, conflitti religiosi astorici e violenti, egoismi cinici e rapaci sembrano sommergere larghi strati di una società planetaria che pare incapace di reagire, annichilita, come sembra, da istituzioni prive ormai di legittimità.
Noi non sappiamo a quale area di disperati velleitari appartengono coloro che hanno mirato alle gambe di Roberto Adinolfi. Né ci pare il caso di esercitare la nostra curiosità per conoscere gli autori di quel pasticciato, spesso delirante, documento con il quale si è preteso di giustificare il gesto violento.
Quel che ci sembra di potere affermare senza alcuna reticenza è che questi frustrati in cerca di visibilità non sono anarchici, non ragionano come anarchici, non conoscono la storia degli anarchici e non sospettano neppure che il comportamento abituale degli anarchici è sideralmente lontano dai balbettii scomposti di personaggi che hanno mal digerito l'insegnamento della storia, nell'ipotesi tutt'altro che certa che degli eventi storici si siano mai informati.
Altro elemento di preoccupata riflessione, ratificato dal ripetersi di crisi sistemiche quale quella attuale, è che gesti inconsulti, privi assolutamente di un retroterra socio-politico anche solo potenzialmente solidale, conducano l'intero fronte del dissenso nel tunnel, lungo e privo di luce al fondo, della repressione più violenta. Non è facilmente valutabile, ad esempio, quanto il ferimento di Adinolfi possa incidere negativamente sul movimento No Tav, sul quale, com'è prevedibile, si scaricherà prevalentemente l'attività repressiva dello Stato (preventivata del resto esplicitamente dal Ministro dell'Interno Cancellieri).
Certo, così come ai tempi della Strage di Piazza Fontana, anche oggi è funzionale al disegno repressivo dello Stato l'operato, cosciente o meno, degli utili idioti che, per darsi visibilità, infrangono il fronte delle opposizioni cogliendo ogni occasione per screditare l'anarchismo, avvertito come concorrente, secondo la solita favola per la quale soltanto loro sono all'interno delle lotte sociali. Ogni frangente drammatico della storia delle comunità nazionali ha subito l'insorgere di questi presunti rivoluzionari, destinati, prima o poi, a essere fagocitati dagli apparati di potere, come avvenne allora, ai tempi della prima Repubblica, e come sta avvenendo già adesso, con personaggi, un tempo irriducibili per autodefinizione o contingenti consensi assembleari, che ritroviamo oggi seduti su comode poltrone offerte da centri culturali e presìdi di potere interni al regime.

Indecente comportamento dei mass-media

Ma, se il filo rosso che lega la strategia del terrore alle difficoltà del potere è sempre riconoscibile, non è altrettanto facile individuare gli obiettivi che con il terrore si intendono perseguire e le connotazioni della manovalanza che è sollecitata ad attuarlo. In una situazione politico-economica complessa come l'attuale, con l'esautorazione, di fatto, degli Stati ed il prevalere di organismi sovranazionali chiamati a interpretare le leggi della globalizzazione in funzione dell'area sulla quale operano, affidare una strategia della tensione alle vecchie e nuove leve del neo-nazifascismo, sarebbe operazione rischiosa e controproducente. Si tratterebbe di riammettere sul proscenio dell'attualità formazioni ormai screditate e difficili da governare. Più facile è invece operare nell'ambito di galassie politicamente confuse e velleitarie, che si sono ricavate uno spazio ai margini di un fronte di opposizione radicale, con il quale finiscono col confliggere. E che questa strategia del potere rischi di riuscire è testimoniato dall'attenta lettura del documento di rivendicazione della gambizzazione di Adinolfi. In quelle righe si legge con chiarezza il tentativo di screditare l'opera di contrasto che i movimenti non istituzionali attuano contro i poteri costituiti, mentre assai generiche e confuse sono le motivazioni dell'evento specifico.
In questo quadro va ascritto e assume rilevanza quello che è un vero e proprio furto d'identità. Anche il “Nucleo Olga FAI/FRI”, che si aggrega alla assai composita galassia dei cosiddetti “Informali”, si appropria dell'acronimo della Federazione Anarchica Italiana. L'operazione – lo abbiamo già più volte denunciato – oltre a non avere nulla a che vedere con l'etica anarchica, è vile perché, da un canto, esplicita la preoccupazione di dover occultare l'irresponsabilità del proprio operato dietro una sigla consolidata dal lavoro e dal sacrificio di migliaia di militanti, nel corso di decenni di attività politica, compiuta a volto scoperto; dall'altro, consapevolmente, mira a coinvolgere l'intero movimento libertario in operazioni non sue che lo espongono alle azioni repressive degli Stati. Gli Informali sedicenti anarchici sono, insomma, soggetti ignobili che lanciano il sasso e nascondono la mano, nella speranza che siano altri a pagare per le loro azioni irresponsabili. Il che corrisponde perfettamente alla strategia del potere che intende minare dall'interno il fronte delle opposizioni.
Dobbiamo ancor una volta sottolineare, per concludere, l'indecente comportamento dei mezzi di informazione, che, complessivamente, con sporadiche eccezioni, hanno mostrato una conoscenza approssimativa (quando non strumentale) della storia del movimento anarchico.
Un esempio per tutti. Su Repubblica del 17 maggio 2012, Carlo Galli trasmette, con la logica distorta del suo mondo tardo borghese, corrotto e in disfacimento, una storia dell'anarchismo appresa da un Bignami mal riuscito. Si rinverdiscono isolati episodi dell'Ottocento (sempre gli stessi), per appioppare agli anarchici l'etichetta di violenti, scoprendo il fuscello nell'occhio dell'avversario e ignorando la trave che offusca il proprio sguardo. Se si dovessero contare i morti e spartirli alle responsabilità dei due mondi – quello di Carlo Galli e il nostro – non ci sarebbe partita.
Comprendiamo poi che l'offuscamento provocato dalla dimestichezza costante con il modello (malato) di potere di cui si fa sempre paladino, possa impedire a Galli e ad altri come lui di decifrare, anche soltanto con approssimazione, le linee portanti della politica anarchica. È quindi consequenziale che, con arroganza, Galli neghi l'esistenza di ciò che non vede o non capisce.
Non si tratta di buona o cattiva fede: si tratta della consolidata abitudine, che non è solo di Galli ma riguarda una parte rilevante dell'informazione italiana, di parlare, con dovizia di aggettivi, di argomenti che si conoscono poco o non si conoscono affatto.

Gruppo “Alfonso Failla” della Federazione Anarchica Italiana – Palermo
Gruppo Anarchico “Andrea Salsedo” – Trapani