rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


Barcellona.2

Tempi duri a Barcellona

di Laura Orlandini


Tempi duri per chi non sta alle regole del gioco, per chi si oppone concretamente ai governi di centro-destra (catalano e nazionale).
E si trova a contatto con i Mossos, “i ragazzi della squadra.”.



A Barcellona ultimamente tira un brutta aria. La città più “italiana” d'Europa, mito frivolo del turismo di massa, meta d'emigrazione di tutta una generazione di giovani laureati in cerca di futuro, sta vedendo nubi fosche e nere addensarsi pericolosamente sui suoi cieli. Quest'anno la primavera si è presentata con un volto repressivo e cupo, e la piazza partecipata e piena dell'anno scorso, quell'assemblea permanente che aveva trasformato Plaza Cataluña in una piattaforma di dibattito e creatività, è sembrata in questi mesi un ricordo lontano. Qualcosa di insidioso e sottile come la paura è entrato a far parte ormai del dibattito pubblico, molti segni lasciano presagire l'inizio di un'orchestrata offensiva contro tutte le forme di partecipazione politica e di dissidenza.
Il turista che si fosse trovato a passeggiare per la capitale catalana nei primi giorni di maggio, durante il vertice della Banca Centrale Europea, sarebbe incappato in un'atmosfera surreale come solo puó essere quella di una cittá sotto assedio. Vedendo spuntare forze dell'ordine in tenuta antisommossa ad ogni vicolo del centro, passando a fianco a file di camionette asserragliate lungo i grandi viali, avrebbe forse notato una mancata corrispondenza con le patinate immagini da cartolina con le quali la città vende se stessa: la Barcellona in infradito e costume da bagno dove vige l'eterna spensieratezza, città europea e all'avanguardia, “civile” e culturalmente vivace, dove c'è festa e c'è posto per tutti. Evidentemente, qualcosa in questa immagine sfavillante si é incrinato, e se il turista potrà affogare il malessere in qualche caraffa di sangría nei bar della Rambla, chi vive la città sa ormai di dovere fare i conti con un potere che ha deciso di mostrare il suo volto più duro.
Gli squilli di tromba sono cominciati il 29 marzo scorso, quando la Spagna intera è scesa in sciopero per protestare contro la riforma del lavoro imposta dal governo di Mariano Rajoy. Barcellona è stata teatro di disordini e scontri di cui la stampa si è occupata con meticolosa dedizione, ma se vetrine rotte e cassonetti incendiati sono stati enumerati e segnalati con rigorosa puntualità, il silenzio sull'azione brutale delle forze dell'ordine è stato pressoché totale. Pare proprio che la polizia abbia voluto mettere in atto l'ormai collaudata tattica di “lasciare fare” prima di attaccare, lasciare che alcuni gruppi sfondassero le vetrine delle principali sedi bancarie disseminando una scia di cassonetti incendiati, per poi avere materiale sufficiente per delegittimare ed aggredire la manifestazione autorizzata del pomeriggio. Dopo una giornata confusa e tesa, con numerosi picchetti in movimento per il centro ed una partecipata manifestazione dei sindacati, doveva partire alle 18 un corteo da Plaza Cataluña organizzato da una piattaforma che la stampa locale definisce come “alternativa”, ovvero non riconducibile a partiti e sindacati e legata al movimento degli Indignados. Col pretesto di dover proteggere le vetrine del centro commerciale che campeggia sulla piazza (simbolo piuttosto significativo, senza dubbio), i Mossos d'Esquadra hanno iniziato un'offensiva che ha di fatto tagliato le gambe all'intero corteo, aggredendolo da più parti ed impedendogli di avviarsi lungo il percorso autorizzato. La piazza affollata e piena è stata messa in trappola, attaccata da due lati dalle cariche dei Mossos, e sgomberata infine con la famigerata “cavalleria” delle furgonette lanciate a velocità contro la folla, pratica tristemente comune nella capitale catalana.

Barcellona, 15 giugno 2011 – I Mossos
d'Esquadra in tenuta antisommossa durante
le proteste di fronte al Parlamento catalano
(foto Steven Forti)

Quel fucile a pallettoni di gomma

I Mossos catalani, i “ragazzi della squadra”, hanno tra le mani un giocattolo che li rende particolarmente pericolosi, un'arma che in pochi paesi d'Europa è permessa e che gode invece in Spagna di una impunità esemplare: il fucile a pallettoni di gomma, arma d'ordinanza della tenuta antisommossa registrata tra quelle “poco dannose” ed utilizzata senza riserva alcuna. È previsto che la palla di gomma venga puntata a terra, che raggiunga di rimbalzo la prima fila dei “facinorosi” di turno colpendola “lievemente” all'altezza delle gambe, eppure la normativa viene costantemente ignorata e la palla di gomma volante ha la capacità di seminare il panico e di causare danni gravi. Le immagini del 29 marzo mostrano più volte i Mossos avanzare con i fucili puntati in avanti, sparare a ripetizione contro i manifestanti, fare il tiro a segno contro qualche ciclista di passaggio, minacciare l'occhio della telecamera. La palla di gomma spara nel mucchio, colpisce a caso, eppure sembra avere un'ottima mira: due persone il 29 marzo hanno ricevuto un proiettile direttamente in faccia, hanno perso un occhio e la vista, mutilate per sempre per aver commesso l'errore d'essersi trovate nel posto sbagliato, al momento sbagliato. Il caso ha voluto che fossero entrambi italiani: niente di strano in una città che vanta la comunità di emigrati italiani più numerosa d'Europa, eppure l'incidente è stato pretesto per rievocare nelle pagine della stampa conservatrice il fantasma del “sovversivo” anarcoitaliano (è stato definito proprio così) giunto dal Belpaese a seminare disordine e dissidenza nella capitale catalana.
Così che questa turbolenta giornata ha riportato alla ribalta una serie di questioni che da tempo s'agitavano in sordina: una volta fatto il conto dei feriti e degli arrestati, si è cominciato a tirare le somme, a ricomporre i tasselli degli ultimi avvenimenti per poter fare un po' di luce sull'operato e le intenzioni delle forze di polizia.
I gravissimi episodi delle due persone mutilate di un occhio non hanno trovato nessuno spazio nei quotidiani, se si esclude un unico articolo comparso sul Periodico e gli approfondimenti di alcuni settimanali indipendenti come La Directa e Diagonal. Eppure, guardandosi indietro nella storia recente delle manifestazioni barcellonesi, emerge un dato molto inquietante: dal 2009 ad oggi, gli “occhi rubati” dai Mossos d'Esquadra sono ormai sette, come registra l'associazione Stop Balas de Goma che da due anni si batte per la proibizione di quest'arma. Sette persone senza un occhio, bersagli casuali in mezzo alla folla, sette persone che non hanno potuto risalire all'identità del loro aggressore perché i Mossos d'Esquadra, sistematicamente, agiscono senza indossare la targa di riconoscimento. Il bilancio è così grave da far pensare che ci sia tra i Mossos qualcuno che abbia la particolare inclinazione di mirare al volto, qualche “cacciatore d'occhi” che si diverte a prendere la mira (il fucile d'ordinanza è provvisto di mirino, d'altronde) sapendo d'essere protetto da un'impunità totale. Nonostante il continuo mancato rispetto delle regole, infatti, nessuna figura istituzionale ha chiesto ai Mossos di rispondere del loro operato, né le vittime hanno mai trovato una spiegazione “ufficiale” in risposta alle loro richieste. Proprio come se gli incidenti non fossero avvenuti, o meglio, come se non fossero affatto incidenti, ma prassi ordinaria.
I disordini del 29 marzo sono diventati pretesto per delegittimare sia le realtà legate al movimento degli Indignados, sia l'azione e la rappresentanza dei sindacati, completamente tagliati fuori dal dibattito sulla riforma del lavoro. Agli arresti di due studenti universitari nella giornata dello sciopero, catturati da Mossos in borghese durante un picchetto, s'è aggiunta la scioccante notizia della detenzione di Laura Gomez, segretaria del sindacato CGT di Barcellona. Il 23 aprile, Laura Gomez è stata vittima di una spettacolare azione di polizia, circondata e ammanettata mentre camminava per strada, condotta in carcere con l'accusa di sedizione, disordine pubblico e incendio doloso. Il giudice ha confermato la detenzione preventiva causa rischio di “fuga e occultamento delle prove”, nonostante si tratti di un volto riconosciuto, con una posizione istituzionale, un lavoro, una famiglia. Laura Gomez, che si trova tuttora in carcere in attesa di processo, ha partecipato nel giorno dello sciopero generale a un'azione simbolica di fronte alla sede della Bolsa de Barcelona, una performance teatrale dove sono stati anche incendiati degli scatoloni di cartone: da questo episodio dovrebbe essere scattata la denuncia e l'arresto, e la campagna di mobilitazione in suo favore non ha finora ottenuto risposta. Il manifesto di protesta firmato da tutti i sindacati (compresi la CNT, Solidaridad Obrera e la UGT) dichiara senza reticenze di considerare l'arresto della Gomez come parte di una “strategia di persecuzione contro ogni forma di dissidenza sindacale, sociale e politica”, dimostrazione della volontà di “generare un clima autoritario per distruggere i diritti fondamentali dei lavoratori, per criminalizzare e intimidire tutta la popolazione”. Difficile interpretare in altro modo un episodio che si colloca perfettamente nella linea politica dichiarata dalla voce ufficiale e dalle forze governative, ovvero l'intenzione di mostrare il pugno duro per sgomberare il cammino dai possibili ostacoli, spianando la strada alle politiche di demolizione dei diritti del lavoro e tagli alla spesa pubblica.

Barcellona, sciopero generale 29 marzo 2012

Un'apnea surreale

Di fatto, a distanza di una settimana dallo sciopero generale, l'allarme “guerriglia urbana” era già indiscusso protagonista delle pagine dei quotidiani e del dibattito politico. Il ministro dell'Interno, Jorge Fernandez Díaz, ha annunciato l'intenzione di “modificare profondamente” il codice penale per fronteggiare la “spirale di violenza” che ha travolto la Spagna: la proposta va dall'applicare la legge speciale antiterrorismo (pensata per fronteggiare l'ETA nei paesi baschi) in caso di atti vandalici, al dichiarare reato – imputabile di quattro anni di reclusione – ogni forma di resistenza passiva. Insomma, violenta o meno, sarà la protesta in sé ad essere considerata criminale: come sostiene Felip Puig, Ministro degli Interni catalano, l'obiettivo è che d'ora in poi “la gente abbia più paura del sistema”. Più chiaro di così.
In questo clima è arrivata la festa dei lavoratori, sotto l'ombra lunga del vertice della BCE previsto per i giorni dal 2 al 4 di maggio. La città ha vissuto giorni di apnea surreale, presidiata da uno spiegamento impressionante di forze dell'ordine e allarmata dalle ripetute allusioni a possibili pericoli per l'ordine pubblico. Nessuna manifestazione è stata convocata in protesta al vertice, eppure dalle pagine dei quotidiani non s'è parlato d'altro che di sicurezza e di guerriglia urbana. La revoca del trattato di Schengen, gli arresti preventivi alle frontiere, le immagini di cecchini appostati sugli edifici per prevenire attentati: tutto ben disposto per fare presagire l'apocalissi, aumentare il clima di pressione e prevenire qualsiasi tentativo di dissidenza. I cortei del primo maggio sono sfilati in mezzo a cordoni di Mossos in tenuta antisommossa, circondati da fila di camionette blindate, in una atmosfera tesissima ancor più inasprita dallo sberleffo dei Mossos “travestiti” da manifestanti appostati in gruppi ben riconoscibili lungo tutto il corteo. Eppure, si è trattato di un primo maggio davvero molto partecipato, si è registrato il doppio delle presenze rispetto all'anno scorso, e nonostante la pressione e le perquisizioni a cui i manifestanti sono stati soggetti in più punti della città durante tutta la giornata, si può dire che la gente abbia risposto bene, scendendo in piazza, alzando la voce senza cascare i provocazioni facili, nonostante tutto.
Quantomeno, le tensioni di questa primavera hanno fatto emergere con evidenza disarmante tutti i lati oscuri di un sistema di forze dell'ordine che agisce di fatto indisturbato, mascherandosi dietro la facciata della Barcellona “civile” e “libertaria”: il contrasto si è fatto più stridente e non si può più evitare di ammettere che, al di là degli spazi di democrazia che può offrire la vita cittadina, a Barcellona esiste ed opera un corpo di polizia le cui azioni brutali sono protette e giustificate dal potere, le cui intenzioni sono dichiaratamente repressive e che sa di poter scavalcare impunemente e a piacimento le leggi dello Stato.
Si è visto bene lo scorso 9 maggio, quando i Mossos hanno sgomberato la casa occupata La Rimaia, sede di una biblioteca popolare e di una Universitat Lliure, centro sociale e culturale riconosciuto del quartiere del Raval. Nessuno ha mai reclamato l'edificio della Rimaia, abbandonato da più di vent'anni, nessun ordine di sgombero è stato ufficialmente promulgato e la casa “okupa” partecipava attivamente all'associazione degli abitanti del vicinato: eppure, alle sette del mattino, senza preavviso, i Mossos si sono presentati ed hanno sgomberato la casa dei suoi occupanti e chiuso le saracinesche, agendo nella totale illegalità. Alle ripetute domande degli avvocati, che chiedevano da quale giudice fosse partito l'ordine di sgombero, è stato risposto “se lei è avvocato, dovrebbe sapere chi comanda qui”. L'iter legale dello stato di diritto è insomma un ostacolo scomodo all'attività dei Mossos, che appena possono dimostrano di farne volentieri a meno. Niente di strano, dunque, che abbiano messo in moto attraverso il loro sito (nella sezione “Servizi e pratiche”) un vero e proprio “Wanted” con le foto di decine di “facinorosi” dell'ultimo sciopero non ancora identificati, accompagnato all'invito a collaborare ed aiutare le forze dell'ordine ad individuare i banditi. Prima ancora di esserne al corrente, il giovane “antisistema” si trova dunque già esposto e condannato, giudicato colpevole per una foto che lo ritrae mentre lancia un sasso a una vetrina, denunciato dalla buona volontà di qualche buon vicino di casa che ne riconosce le sembianze.

Barcellona, manifestazione del Primo Maggio 2012

Plaza Catalaña, un simbolo riconosciuto

Un pezzo alla volta, le diverse “anomalie” dell'azione dei Mossos stanno venendo alla luce. Le illegalità delle azioni del 29 marzo si affiancano ormai a una serie di episodi chiaramente inseriti in un progetto politico ben preciso. Lo sciopero generale del 29 settembre 2010 e lo sgombero dell'acampada di Plaza Cataluña del 27 maggio 2011 avevano presentato infatti modalità analoghe nell'azione dei Mossos, soprattutto per quel che riguarda gli arresti indiscriminati e le violenze arbitrarie. Ad ognuno di questi episodi è legato un gruppo che si batte per ottenere giustizia, così che si è deciso ora di ricucire i pezzi, mettere insieme le diverse rivendicazioni, giacché la battaglia è comune e avrà bisogno dell'impegno di tutti. Insieme anche all'associazione Stop Balas de Goma queste diverse realtà hanno creato una piattaforma contro la repressione, che tenterà di lavorare su diversi piani, dall'assistenza legale dei detenuti alla comunicazione attraverso i media, nel tentativo di costituirsi come gruppo di pressione. È emersa per ora la battaglia per l'identificazione dei Mossos colpevoli di reati, ed il rifiuto di qualsiasi dibattito sull'opportunità della violenza: la priorità è ora quella di ottenere giustizia e poter dichiarare un'altra versione dei fatti oltre a quella unanimemente rifilata alla stampa; si spera che il progetto riesca a crescere e farsi sentire, diventare un punto di riferimento.
Sono tempi duri, ma Barcellona ha sulle spalle un lungo percorso di lotte, che possono far ben sperare per il futuro. L'acampada di Plaza Cataluña s'è frammentata nelle varie assemblee di quartiere, che sono andate a saldarsi con i comitati storici del vicinato e con i vari movimenti di rivendicazione studentesca e sindacale. Realtà sociali e politiche differenziate che soprattutto in quest'ultimo anno hanno imparato a lavorare insieme, a ricucire i percorsi, a creare anche conflitto, nella totale assenza di dialogo con la politica istituzionale. Di fronte alla crisi e allo scadere delle ipoteche, le assemblee di quartiere stanno provando a mettere in piedi reti di solidarietà, la risposta è immediata quando qualche famiglia perde la casa, il discorso politico collettivo ha imparato a individuare le colpe e le responsabilità. Si comincia daccapo, dal mutuo soccorso, dalla cassa comune, e non potrebbe essere che così.
Plaza Cataluña, da quando ha avuto gli occhi del mondo puntati addosso nel maggio del 2011, da quando è stata teatro di un accampamento partecipato e insolito, è diventata un simbolo riconosciuto: il luogo dell'assemblea permanente, della “rivoluzione spagnola”, il posto dove un popolo seduto con le mani alzate ha discusso di politica, ha provato a riprendersi la politica; si può dibattere sullo spessore e sui risultati di questo esperimento, resta indubbio però il valore simbolico del luogo, piazza solitamente anonima circondata di centri commerciali e banche che é diventata ad un tratto un punto vissuto e condiviso. Anche quando è vuota, ormai Plaza Catalunya esiste, resta lì a fare da monito. Forse è proprio a causa della potenza di questo simbolo che i Mossos si sono accaniti su quella piazza il 29 marzo, per dimostrare che il vuoto di potere che aveva permesso l'acampada un anno fa non dovrà più ripetersi, che oramai le cose sono cambiate. Ed è per lo stesso motivo che la manifestazione del 12 maggio, curiosa celebrazione del “primo compleanno” della Spanish Revolution (chiamata comunemente 15 M, quindici maggio, come la sua data di nascita), ha concluso il suo percorso proprio nella piazza in cui maggiormente si riconosce. Dopo questa primavera di tensioni, il “ritorno” degli Indignados é stata una boccata d'aria fresca, il lunghissimo e vivace corteo ha sfilato per i viali del centro rivendicando la sua presenza e il suo diritto a esistere, fino a che non si é ritrovato in Plaza Cataluña, dove di nuovo è ritornato a sedersi. L'assemblea è ricominciata, è ripartita da lì, come se questo lungo anno non fosse passato, come se la piazza non si fosse mai davvero svuotata. L'assemblea diventa ora la creazione di gruppi di pressione, una giornata di azioni in occasione del 15 maggio, il “processo popolare” alle banche, il confronto e la coordinazione tra comitati diversi che si occupano dei temi più caldi: il diritto alla salute, i pignoramenti delle banche, gli abusi della polizia. Staremo a vedere.

Laura Orlandini
Barcellona, 15 maggio 2012