rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


Barcellona. 1

Criminalizzare e reprimere

di Steven Forti e Valeria Giacomoni


Barcellona, 29 marzo. Una manifestazione, scontri, repressione.
Ma questa volta il gioco si fa duro: la polizia, i mass-media, la magistratura. E monta la campagna del governo catalano di destra contro gli “estremisti” italiani, i No.Tav, ecc..



La prima pagina del quotidiano catalano La Vanguardia del giorno di pasqua ci regala un titolo sorprendente: Le violenze verificatesi a Barcellona durante la manifestazione dello sciopero generale del 29 marzo avrebbero un'origine anarcoitaliana. E ancora: Giovani forgiati nel movimento No TAV guidano la corrente “antagonista” catalana.
È questa la quanto meno fantasiosa tesi di un giornalista che nell'articolo stesso ammette l'assoluta mancanza di prove a riguardo, ma ugualmente si impegna a portare avanti la sua tesi; che tende a creare una leggenda urbana e ad incolpare dei violenti scontri qualche gruppo straniero organizzato e non considerarli come una dimostrazione del malessere della società catalana.
Ancora più disarmante è la connessione diretta con il movimento No TAV e la Val di Susa, di cui normalmente non si parla sui quotidiani spagnoli e tanto meno in prima pagina. Credo sia interessante seguire il filo del discorso di Enric Juliana, vicedirettore de La Vanguardia, che si propone di giustificare quest'affermazione.

I vetri rotti di Barcellona portano ad una meravigliosa valle alpina chiamata Val di Susa. C'è un filo quasi invisibile che unisce i recenti episodi di violenza nella capitale catalana prima pagina nei principali giornali in tutto il mondo lo scorso 30 marzo- con la valle più occidentale del Piemonte, scenario di un duro conflitto per il tracciato del treno di alta velocità tra Torino e Lione.

La Val di Susa, passaggio obbligato tra Torino e Chambéry, città originaria dei Savoia, la dinastia che riuscì ad unificare l'Italia nel 1861. Terra di gente dura. Montanari. Che nel 1871 videro la perforazione del tunnel del Frejus, opera strategica voluta dal conte Camillo Benso di Cavour, factotum dell'Unità d'Italia, in cui per la prima volta vennero usati i martelli pneumatici. Terra di partigiani. Lottarono contro i tedeschi e parteciparono alla liberazione di Torino nel 1945. Gente sulle sue, che non vede di buon occhio la perforazione di un nuovo tunnel che permetta il passaggio del treno di alta velocità e di lunghi convogli merci tra la grande regione metropolitana Torino-Milano, Lione e Barcellona (se andasse in porto il corridoio mediterraneo). La prima manifestazione di protesta avvenne diciassette anni fa. Il movimento No TAV nacque nel 1985.

Anarchici importati?

Dunque, Juliana ci offre delle pennellate di storia italiana passando dall'Unità alla Seconda guerra mondiale al presente e scomodando addirittura i Savoia per portare avanti la sua tesi. I partigiani sarebbero gli antenati del movimento No-Tav? Aver lottato contro i nazisti è un motivo per considerare la zona come culla di ribelli? Il vicedirettore del più longevo quotidiano catalano continua poi affermando:

Nella prima fase, era un movimento di montanari ed ecologisti che metteva in discussione l'utilità sociale dell'alta velocità ferroviaria. La resistenza dimostrata nei suoi atti di protesta ha rapidamente attirato l'attenzione dei movimenti no global, protagonisti della drammatica battaglia campale di Genova nel luglio 2001. Nel 2006 ci furono dei tentativi di boicottare i Giochi Olimpici Invernali di Torino, che alla fine non ebbero seguito. Ci si giocava molto. Torino si sta emancipando dalla fabbrica automobilistica Fiat e dalla dinastia Agnelli, specchiandosi su Barcellona. Le Olimpiadi invernali furono un successo, e il No TAV continuò a guadagnare adesioni, fino a diventare il simbolo anti-Berlusconi più radicale.

Come ben sottolinea il sociologo Manuel Delgado, che ha risposto nel suo blog all'articolo di Juliana, la nascita della leggenda urbana degli anarchici italiani a Barcellona è paragonabile a quella dei ladri di organi o dell'autostoppista fantasma (!), e ricorda che questo spauracchio era già stato sbandierato in precedenza: nel 2005, proprio La Vanguardia, accusò alcuni italiani di vandalismo per dei fatti occorsi nel quartiere di Gràcia, mentre nel 2006, Convergencia i Uniò, partito allora all'opposizione, arrivò addirittura a stimare la cifra approssimativa di anarchici italiani che, con la complicità dei socialisti, avrebbero seminato il caos a Barcellona: 200.
Delgado ricorda anche che la ciudad condal non ha mai dovuto importare anarchici dato che è da oltre un secolo e mezzo che ne produce senza sosta. E definisce il resto dell'articolo ridicolo e in alcuni momenti indignante, come quando si sostiene che la responsabilità degli scontri del G8 di Genova fu del movimento no global e non delle forze dell'ordine, come hanno spiegato molto bene Agnoletto e Guadagnucci nel recente L'eclisse della democrazia. È anche discutibile considerare i giochi olimpici invernali come un successo e soprattutto paragonare il cambiamento subito dalla Barcellona del '92 con l'impatto delle Olimpiadi di Torino 2006.

Il No TAV raccoglie lo scontento giovanile in Italia. I suoi manifesti riempiono gli atri dell'università torinese. È un movimento concentrico in cui i più radicali, venuti da tutto il paese, hanno guadagnato peso e protagonismo. Gli scontri con la polizia sono sempre più violenti, fino al punto di preoccupare il fiscale di Torino, Gian Carlo Caselli, l'uomo che volle processare Giulio Andreotti per presunta associazione mafiosa. Caselli ha avvertito che potrebbe essere in corso una situazione simile a quella che, trent'anni fa, diede vita al terrorismo delle Brigate Rosse.
Aria di anni '70, senza la forzata competizione leninista per l'avanguardia rivoluzionaria. Nell'era di internet, tutto è liquido e sfocato. I manifesti ora sono interattivi. Il dirigismo leninista cede il passo alla negazione anarchica, la cui verità si costruisce con l'azione. Propaganda con i fatti. Se il capitalismo fa soffrire la gente, il capitalismo deve soffrire (...) Componenti del No TAV italiano hanno attraversato il tunnel del Fréjus ed invece che andare verso Lione, hanno puntato verso Barcellona, città vetrina con accesso diretto alla copertina del “Financial Times”. Basta dare fuoco ad una barricata nella centrale via Balmes. In Val di Susa bisogna farne di rumore e far perdere la pazienza al fiscale Caselli – famoso simpatizzante del vecchio PCI – per arrivare a perforare il tunnel dei mass media internazionali.

La sovversione alpina

Lo stesso 8 aprile La Vanguardia pubblica altri due articoli tesi a rafforzare questa lettura faziosa della situazione politica. Eusebio Val, il corrispondente in Italia del giornale proprietà del potente grupo Godó, utilizzando le dichiarazioni rilasciate dal magistrato Caselli, mette in allerta le istituzioni e l'opinione pubblica dell'“alta aggressività del movimento No TAV” che potrebbe diventare “il luogo di nascita di gruppi estremisti” che “sommati al crescente malessere a causa della crisi” può “degenerare in nuove forme di terrorismo”. Da qui i riferimenti alle Brigate Rosse, accompagnati da un avvertimento: “l'Italia, che soffrì sulla sua pelle ogni tipo di terrorismo [...] è molto attenta al fine di evitare il pericolo di ripetere le amare esperienze del passato”. E pochi giorni dopo, il 13 aprile, lo stesso Val torna sull'argomento con un articolo di una pagina intera dedicato al movimento No TAV in Val di Susa. Il titolo ancora una volta è più che esplicito: “La subversión alpina”. Esponendo le ragioni della lotta No TAV, considerate comunque come legittime, Val introduce un collegamento con l'articolo di Juliana per ribadire al lettore l'origine degli scontri dello sciopero generale a Barcellona: “La componente anarchica del No TAV, con ramificazioni che sono giunte ai recenti tafferugli in strada a Barcellona, è diventata una seria minaccia all'ordine pubblico per il governo tecnico di Mario Monti”.
Cerchiamo di capire le ragioni di questa insistenza. Le spiegazioni offerte da Juliana sono a dir poco vergognose:

Dai Giochi Olimpici del 1992 Barcellona è una città mitica per i giovani italiani. Mare, allegria, cultura e libertà. La città Erasmus. Barcellona, città in cui gli italiani (contando anche gli argentini con passaporto italiano) sono oggi una delle minoranze nazionali più numerose. (…) C'è un'origine anarcoitaliana nei recenti eventi di Barcellona che riporta ai No TAV della Val di Susa e alla violenza che devastò il centro di Roma lo scorso ottobre, poco prima della caduta del governo Berlusconi. Negli incidenti registrati a Barcellona nell'ultimo anno c'è sempre stato qualche italiano tra gli arrestati. E lo scorso 29 marzo non è stata l'eccezione. Due giovani italiani sono nella lista dei feriti a causa dell'azione dei Mossos d'Esquadra.

È ben diverso arrestati o feriti dalla polizia! Ma per portare avanti la sua tesi, basta che di italiani si parli! Con un semplice sillogismo Juliana collega il movimento No TAV, gli scontri di Roma del 15 ottobre e quelli di Barcellona. Non si accenna al fatto che il 29 marzo è stata la prima volta che i Mossos d'Esquadra, la polizia autonoma catalana, ha usato i gas lacrimogeni a grande scala per sgomberare le piazze e dei numerosissimi feriti per l'uso dei proiettili di gomma. Due ragazzi hanno perso un occhio ed entrambi sono italiani. Tutt'altro che una novità, purtroppo: ne è testimonianza l'Associació Stop Bales de Goma fondata da Nicola Tanno, un altro ragazzo italiano che nel 2010 perse un occhio a causa dell'uso dei proiettili di gomma da parte dei Mossos d'Esquadra. Ma Juliana continua nel suo delirio e ammette addirittura che di prove non c'è neanche l'ombra: l'unica cosa sicura è che ci sono italiani a Barcellona. E che forse si portano dietro l'influenza di Malatesta...

Italiani al comando della guerriglia urbana di cui parla il Conseller de Interior Felip Puig? Non c'è nessun dato obiettivo che permetta sostenere quest'affermazione. È presente a Barcellona un influente nucleo anarchico italiano, affiancato da giovani greci e latinoamericani con la stessa ideologia. Questo è tutto. C'è un'irradiazione. Probabilmente il loro bagaglio teorico è superiore a quello degli “okupas” locali. Con in testa la mitica figura di Errico Malatesta, l'anarchismo non è mai morto in Italia. E molti anni fa l'anarchismo individualista lasciò la sua impronta a Barcellona.
L'antagonismo ricompare nel sud d'Europa, ravvivato da una crisi spaventosa. Ha trovato a Barcellona una gran vetrina, un malessere giovanile in fase crescente ed una contraddizione politica che probabilmente entusiasmerebbe Malatesta: la forza politica incaricata dell'ordine pubblico catalano questiona o mette in discussione – democraticamente – lo status quo spagnolo. Creando tensione nell'ordine pubblico catalano, si irrigidisce tutta la catena delle contraddizioni interne spagnole. Mentre la polizia e i sindacati, ognuno a modo suo, annullano il movimento del 15-M nella città di Madrid (la manifestazione di massa del 29 marzo in Puerta del Sol è stata una vittoria simbolica di Comisiones Obreras e UGT sugli Indignados che danno pochi segni di vita nella capitale), l'antagonismo a Barcellona sfida la Generalitat, i sindacati e la sinistra riformista (sprofondata in una notevole confusione intellettuale). Il 2,3 e 4 maggio, vertice della Banca Centrale Europea a Barcellona. Proprio quel che ci voleva.

Juliana non è l'unico a prevedere i prossimi scontri, come se desse un appuntamento: anche il conseller Puig in una conferenza stampa subito dopo lo sciopero generale ha affermato che i tafferugli non erano altro che la preparazione dello sciopero mondiale del 15 maggio. Non saranno le loro provocazioni e i loro provocatori, di cui sì ci sono chiare prove in ogni manifestazione, a creare un calendario di scontri?
Si parla invece del movimento degli Indignados (15-M), che ha mosso masse pacifiche, come qualcosa di ormai spazzato via. E qual è stata la risposta delle istituzioni a queste mobilitazioni pacifiche? Silenzio, indifferenza. L'unica reazione è stata la repressione in piazza. Non si vuole ammettere che una situazione di malessere sociale genera violenza. È la violenza servita ogni giorno sulle tavole degli spagnoli con licenziamenti e riforme che li facilitano, tagli alle scuole e sanità pubbliche, e la tensione di non arrivare a fine mese, che si riversa nelle strade. E una repressione spropositata e una criminalizzazione di gruppi specifici sono le uniche soluzioni adottate dalle istituzioni.

Questi articoli formano parte di una serie che tende a creare allarme nell'opinione pubblica e a spaventare con la minaccia del terrorismo: una vera e propria campagna di criminalizzazione dei nuovi movimenti sociali che contestano le politiche neoliberali in Spagna e in Italia ben orchestrata da La Vanguardia che tende ad appoggiare i tentativi di riforma del codice penale proposti dal tandem PP-CiU all'inizio di aprile, come “conseguenza” degli scontri del 29 marzo. Il ministro dell'Interno spagnolo, Jorge Fernández Díaz, in perfetta sintonia con il suo omologo catalano, Felip Puig, ha proposto cambi notevoli alla legge riguardante l'esercizio della libertà di riunione e manifestazione. Si tratta di un vero e proprio ritorno al franchismo, con la criminalizzazione delle proteste civili: la resistenza passiva verrebbe considerata un reato di “attentato contro l'autorità”, punibile dunque con una pena di due o più anni di carcere, e lo stesso varrebbe per chi convoca attraverso internet una manifestazione considerata “violenta”.

Com'è possibile che un giudice...

Una campagna iniziata già il 31 marzo, quando lo stesso Juliana aveva messo in relazione la violenza degli “incontrollati” con il passato italiano vicino e lontano. Lodando l'intransigenza e la fermezza della DC e del PCI e condannando i tentativi di trattative – considerati postmoderni e relativisti – stabiliti dal PSI “amico di Silvio Berlusconi” e della “estrema sinistra sessantottina” e “squisita”, il vicedirettore de La Vanguardia arriva addirittura a tirare fuori il cadavere di Aldo Moro dal bagagliaio della R4 parcheggiato in via Caetani. Nelle parole di Juliana, “in Italia esistono già indizi secondo cui dal nuovo humus violento [...] presto nasceranno azioni terroriste”. Dunque, “di fronte alla violenza che può essere la culla di un nuovo terrorismo, intransigenza o vigliacco relativismo”. Insomma, nessuna trattativa con i violenti, ma solo politiche di ordine pubblico che, ricorda ancora Juliana, furono il punto debole della Generalitat catalana durante la Seconda Repubblica spagnola.
Un'analisi che pare aver già trovato riscontro in parte della magistratura spagnola, visti i riferimenti fatti proprio all'articolo di Juliana dal giudice che ha negato la libertà a due dei ragazzi arrestati il 29 marzo a Barcellona. Come è possibile che un giudice tenga in conto le opinioni non documentate di un giornalista nel giustificare la permanenza in carcere di due ragazzi?
Soffermiamoci ancora un momento su La Vanguardia dell'8 aprile. Oltre agli articoli di Juliana e Val, in uno degli editoriali si evidenzia come Barcellona sia diventata la culla di una nuova violenza carente di un'ideologia ben strutturata, figlia della globalizzazione e della crisi economica e con il modus operandi della guerriglia urbana sullo stile del G8 di Genova. Si afferma che “dentro il magma barcellonese di gruppi radicali” ci sono persone di tutti i tipi: “Dall'okupa ideologizzato all'emarginato sociale, passando per neoanarchici italiani, delinquenti ostinati, declassati volontari o a causa della crisi, utopisti di ogni tipo ed obbedienza e giovani disoccupati senza alcun orizzonte.” Una combinazione facilmente manipolabile “disposta a convertirsi in carne di cannone di azioni violente e a proteggere chi ha il compito di alzare barricate, lanciare cocktail molotov e attaccare la polizia, e dare fuoco a negozi, vetrine e bidoni dell'immondizia”. Notando che “è evidente che questi gruppi non rappresentano Barcellona e, logicamente, non possono guastare la sua immagine internazionale”, l'editoriale si chiude chiedendo l'intervento delle autorità e degli stessi cittadini.
L'intervento non si è fatta attendere: il 20 aprile, in un atto ufficiale, il commissario generale dei Mossos d'Esquadra, rivolgendosi ai membri di quelle che ha definito “guerriglie urbane”, ha affermato: “Possono nascondersi dove vogliono, perché li troveremo. Che sia in una caverna o in una cloaca, che è dove si nascondono i topi, o in un'assemblea, che non rappresenta nessuno, o dietro il banco di un'università”.
E pochi giorni dopo, la Generalitat di Catalogna ha aperto una pagina web pubblicando fotografie di persone partecipanti alla manifestazione affinché i cittadini possano aiutare le forze dell'ordine nell'identificazione di quelli che vengono considerati i “violenti”. Una modalità già adottata negli Stati Uniti, che unisce l'inquietante denuncia del tuo vicino con i metodi interattivi del televoto... le immagini delle persone identificate nella web vengono oscurate ed appare la scritta “identificato” come negli annunci immobiliari appare la scritta “venduto”... Neoliberalismo all'ennesima potenza, insomma. Criminalizzare, reprimere e vendere, questo sembra lo slogan.

Valeria Giacomoni e Steven Forti