rivista anarchica
anno 42 n. 373
estate 2012


società

La politicissima “antipolitica”

di Andrea Papi


Al di là delle apparenze e della massiccia propaganda mediatica, c'è una richiesta di alta politica, di una politica pulita e trasparente.


È ripresa con nuovo vigore l'accusa di fare dell'antipolitica per chiunque critichi in modo radicale e deciso il massacro sociale ed esistenziale perpetrato contro gli esseri umani che non si trovano convogliati nelle sfere del potere. È sceso in campo perfino Napolitano per ammonire che non si può fare di tutta l'erba un fascio e per sottolineare che i partiti devono essere salvati perché sono il sale della democrazia. Se ci sono responsabilità sono solo individuali, ha aggiunto, e bisogna continuare a perseguire i colpevoli. In realtà aria fritta anche dal presidente della repubblica: più ovvio e banale di così! Rispetto a questo argomento per lor signori sembra veramente difficile estrapolare qualcosa che non sia screditato e tutti, in particolare i commentatori più autorevoli, tentano di denigrare le critiche continuando a definirle antipolitica.
Ma è proprio vero che è in atto, secondo diversi professionisti della penna da molti anni, una rivolta “plebea” contro la politica? Il “popolo bue”, com'è stato chiamato con disprezzo in svariate occasioni, sta davvero mettendo da parte i suoi rappresentanti ed aspira, c'è chi dice con fare “qualunquista”, ad essere condotto da chi la sa lunga ed ha l'autorità necessaria per mettere le cose a posto? Questa la lettura, “becera” aggiungo io, dei vari aspiranti imbonitori che temono di sentir scricchiolare le sedie non più sicure su cui avevano adagiato morbidamente i loro fragili glutei.
Personalmente, forte di uno sguardo libertario sulle cose che ci circondano, escludo che quella di cui parlano sia ascrivibile in qualche maniera in una qualsiasi forma di antipolitica. E dico questo perché amo troppo la politica per accettare in silenzio che sia sprecata e sporcata dalla fossa mefitica in cui i professionisti che ne guadagnano stanno cercando da decenni di circoscriverla.
È in atto un tentativo reazionario di identificare la politica in quanto tale con le persone, le azioni e le scelte della classe dirigente che amministra il paese, comprendendo anche tutto il suo schierame. Secondo un luogo comune in auge, quando si parla di politica ci si riferisce alle vicende ai movimenti e ai personaggi che affollano i palazzi del potere, dimensione di potere e sottopotere insieme che identifico come politicantismo. Si tratta infatti principalmente di praticanti di mestiere che si accordano, si coalizzano e intrigano, sia alla luce del sole sia in modo occulto, preoccupati innanzitutto di come riuscire a stare a galla con profitto, in buona parte anche personale. Comunque sia, tutto questo desolante andazzo è strettamente legato all'amministrazione del “bene pubblico” (la famosa res publica che da il nome alla repubblica), ufficialmente per conto di tutti i cittadini, di fatto senza che i cittadini possano minimamente dire la loro.
Per conto mio, come di chiunque abbia a cuore il bene della società, quando parlo di politica mi riferisco ad altra cosa e distinguo tra il “problema della politica” e il “problema politico”. Il primo si occupa dell'ordinario vigente, delle applicazioni operative e dell'efficienza quotidiana, cioè dell'amministrazione della cosa pubblica. Il secondo invece della comprensione del senso dell'agire sociale, non limitandosi al contingente. Nel primo caso si richiede un approccio pragmatico, quasi di mestiere, per riuscire ad addentrarsi con una certa sicurezza nei contorti meandri del palazzo e, al limite, riuscire a ricavarne il maggior utile possibile. Nel secondo caso, al contrario, per riuscire ad avere uno sguardo realistico diventa quasi indispensabile essere fuori dei palazzi e, senza esserne coinvolti, cercare di capire i principi e i valori su cui si deve, o si dovrebbe, agire e proporsi.

Mestieranti partitocratici

Comunemente inteso il bravo politico, colui che professionalmente si occupa del “problema della politica”, sa come meglio agire a proprio agio all'interno dei contorti corridoi dove, con grande disinvoltura e con una spregiudicatezza che nulla ha a che fare con l'etica, si consumano i rituali degli scambi, degli accordi sottobanco, della comunicazione ambigua e dell'arroganza mascherata da una facciata mite, tipica dei mestieranti che hanno una visione affaristica o opportunista dei compiti cui si devono dedicare, accettando il sistema com'è e agendo per conservarlo e ricavarne profitto. Il “problema politico” in senso proprio invece, siccome si riferisce all'individuazione di che cos'è e che senso ha o dovrebbe avere, prescinde dal contingente e getta uno sguardo capace di andare oltre ciò che appare, per identificare i presupposti su cui si fondano i vari sistemi, sia quelli vigenti, sia quelli trascorsi, sia quelli non ancora in atto, possibili, eventuali, o auspicabili. In altre parole si occupa dell'individuazione e della comprensione di che cosa è inerente al problema politico e lo identifica per elaborare proposte, indipendentemente da come al momento viene assimilato e vissuto.
Con convinzione affermo che la politica, intesa come comprensione del “problema politico”, capace perciò di essere autenticamente utile alla società, si occupa di tutto ciò che è parte della polis (in greco “la città”), in senso lato l'insieme della società, e tende a definirne lo stato delle cose, a capire come risolvere i suoi problemi, ad identificare quali metodologie efficaci si possano usare che risultino coerenti con le scelte qualificanti di fondo. Tende pure ad esprimere e significare ciò che di civile, di pubblico e di sociale fa parte della polis. In questo senso dovrebbe definirne il tipo di gestione, cioè il modo di governarla. Intendo dunque la politica come la sfera della gestione del potere sul e nel contesto sociale cui si riferisce, compresi gli stravolgimenti che possono anche portare al rovesciamento di regimi consolidati. Nell'affermare ciò do per scontato che la categoria del potere politico appartiene ai rapporti tra esseri umani e non è estensibile ad altri tipi di potere, come potrebbe essere quello sugli animali o, più in generale, sulla natura.
La politica dunque, quella che serve veramente, si occupa di capire e proporre quale tipo di società e quali metodi di gestione siano utili ed efficienti per governarsi in modo da risultare di giovamento e al tempo stesso di gradimento all'insieme di coloro che ne usufruiscono. Questo dovrebbe essere il compito della politica, che prima di ogni altra cosa dovrebbe rappresentare la luce che illumina il cammino e le scelte, preparando così il terreno per amministrare nel miglior modo possibile. Ma è sbagliatissimo limitarsi ad amministrare senza aver prima chiarito in quale tipo di società si vuole vivere, magari dando per scontato che quella che ci troviamo già impostata vada bene indipendentemente da come effettivamente è.
Il compito della politica dovrebbe essere quello di farci comprendere come vogliamo vivere socialmente per essere ben consapevoli di quali scelte fare, mentre quello degli amministratori, che dovrebbero essere provvisori per principio, magari a rotazione, di amministrare al meglio tale scelta.
Quando si confondono le due cose e non si distinguono in modo adeguato e confacente, si prepara la strada ai più efferati disastri. Se a questi fattori di fondo si aggiunge che la gestione del potere e l'amministrazione della cosa pubblica sono concentrate per legge nelle stesse mani e, sempre per legge, affidate al sistema dei partiti (partitocrazia), ne risulta una mistura esplosiva. Lo sfacelo che stiamo vivendo è la prova di ciò che sto affermando.
Ora sta succedendo che questo sistema, ogni giorno più oppressivo, sta dimostrando tutta la propria fallacia. Siccome è sempre meno in grado di funzionare e in ogni ambito della società sta creando ineguaglianze e ingiustizie sempre più insopportabili, contro questo stato di cose hanno cominciato spontaneamente a prender piede diverse forme di rifiuto e di ribellione, sempre più evidenti e sempre più consistenti. Lo straripante decadimento dei mestieranti della politica, almeno a sentire i sondaggi, sta determinando il dilagare di un temuto aumento molto consistente di un astensionismo elettorale sempre più diffuso. Inoltre la formazione di liste civiche, in questa fase convogliate attorno al fenomeno del grillismo, che si sta imponendo per forme di partecipazione dal basso prese in prestito dalle metodologie della democrazia diretta, sempre secondo i sondaggi, sta aumentando la quota di adesione in funzione antipartitocratica. I risultati delle ultime elezioni amministrative parziali di maggio 2012 sono molto eloquenti in tal senso.
Naturalmente sono questi due fenomeni in particolare a creare grande preoccupazione ai mestieranti partitocratrici di turno, proprio perché evidenziano la diminuzione della loro capacità d'influenza e d'imbonimento mediatico, oltre alla sottrazione di consenso reale, sulle quali finora si era retta l'egemonia estenuante con cui per decenni ci hanno subissato. Ma il fenomeno in verità è molto più ampio, più articolato e interessante di questi aspetti che interessano per lo più i mestieranti della politica: è l'aumento precipitoso di scollamento concreto tra istituzioni, organismi statali, partiti, tutto ciò che sa di stato e i cittadini, o più in generale gli esseri umani che sono costretti da secoli a subire la loro asfissiante prepotenza. Tutto ciò, paradossalmente, non rappresenta affatto un allontanamento dalla politica o un rifiuto di essa, come ci vogliono far credere definendola “antipolitica”, bensì il suo contrario, cioè la richiesta di politica vera.

Cambiare metodo e sistema

In fondo che cosa sta rifiutando un numero sempre maggiore di cittadini? Che cosa non vogliono e cosa vorrebbero? Sono stanchi di essere delusi per come vengono trattati da decenni dalla classe dirigente della partitocrazia in auge, che loro stessi hanno contribuito ad eleggere. Sono stanchi di continuare a credere alla favola che col loro voto si regalano la possibilità concreta di partecipare al governo delle cose, che votando partecipano alle decisioni politiche e amministrative. Dopo il voto si ritrovano invece sistematicamente messi da parte, esclusi da ogni decisione, annullati e ridotti a numeri anonimi che devono sottostare a tutte le imposizioni e le truffe che la politica politicante propina senza pietà a tutti i propri sottoposti. Per tutte queste ragioni, così vere nella loro terribile crudezza, si sentono truffati, derubati, presi in giro.
Dal momento che l'induzione mediatica incalzante, sospinta dalla classe politica dominante, li ha convinti che la politica si limita ad essere l'amministrazione delle cose pubbliche, i cittadini pretendono di essere amministrati bene, non solo in modo soddisfacente, ma in modo da riconoscersi nelle scelte che fanno coloro che amministrano e nel come lo fanno per conto di tutti. Invece si trovano aggrediti sistematicamente da uno spettacolo ogni giorno più desolante ed avvilente, in cui le promesse fatte per estorcere consenso sono sistematicamente dimenticate o eluse. Questi cittadini sono arcistufi di essere derubati dall'imposizione fiscale di una quantità sempre maggiore di soldi guadagnati con grande fatica, per poi scoprire che, affidati a lor signori, invece di essere usati per occuparsi del bene di tutti, vengono sperperati, arraffati e dilapidati con una disinvoltura che definire sconcertante non rende l'idea.
No! Questa non è antipolitica. Dietro questa rivolta non c'è nessun rifiuto della politica. Anzi! Al di là delle apparenze e della massiccia propaganda mediatica, che tenta artatamente di stravolgere il significato delle cose, c'è una richiesta di alta politica, di una politica pulita e trasparente, che offra lo spettacolo di un modo di scegliere e amministrare che non escluda i cittadini e sia efficiente. Soprattutto c'è sempre più la consapevolezza che questa richiesta non potrà mai essere soddisfatta finché continuerà a imperare la partitocrazia, questo sistema di partiti che hanno in mano tutto e che decidono tutto. Anche se purtroppo è ancora consapevole in pochissimi, dietro questa rivolta che a poco a poco sta montando affiora anche il bisogno di cambiare metodo e sistema: basta con un sistema di non/democrazia dove la rappresentanza è una finzione, perché c'è bisogno di forme di democrazia diretta che permettano di cancellare i vertici che non fanno altro che imporre, arraffare, derubare e portare tutti al disastro e al fallimento.

Andrea Papi