rivista anarchica
anno 42 n. 374
ottobre 2012


economia
La crisi della Enron
di Valerio Moggia


Il grande successo della Enron era basato sul nulla: una gigantesca bolla finanziaria fondata su valori probabili, incassi futuri e bilanci gonfiati. Storia del fallimento di un'impresa. E di un sistema economico.



Quando si sente dire che il mercato va liberato dalle leggi, perché è perfettamente in grado di autoregolarsi, che la causa delle crisi economiche del passato e dell'instabilità del mercato è il controllo troppo restrittivo dello Stato, vi stanno mentendo. Questa è la storia del fallimento di un sistema, un fallimento di cui il mondo sembra essersi accorto tardi, troppo tardi.
Verso la metà degli anni Ottanta, all'apice dell'era reaganiana – quella della deregolamentazione e del neoliberismo sfrenato – la Houston Natural Gas e la Internorth, due aziende energetiche americane, si fondono, dando vita alla Enron. Nel giro di pochi anni, la nuova società diventa leader indiscussa nel settore energetico (dal petrolio al gas, dall'elettricità fino alle materie prime) e, nel 1996, viene indicata dalla rivista Fortune come l'azienda più innovativa d'America; nel 2000 è nominata dal Financial Times azienda energetica dell'anno e ancora Fortune la posiziona al settimo posto tra i principali colossi dell'industria a stelle e strisce. Contemporaneamente, la Enron è diventata un modello – anzi, il modello – d'industria d'eccellenza, grazie al suo sbarco in Borsa e alle sue nuove attività nel settore della finanza derivata, che hanno portato il suo giro d'affari annuo a circa 130 miliardi di dollari. In particolare, essa fornisce un ottimo servizio di copertura del rischio alle imprese, che riguarda non solo gli aspetti più prettamente economico-finanziari, ma addirittura le condizioni meteo. Si impone come intermediatore finanziario, lavorando come una banca d'affari, ma, non essendo ufficialmente riconosciuta come tale, è estranea al controllo della Fed. I rating di Standard&Poore Moody's la classificano in una posizione di massima solidità, e la Sec, adibita al controllo della Borsa, non riscontra alcuna irregolarità.
Ma il mondo dorato della Enron nasconde un'oscurità insondabile. Allo scadere dell'amministrazione di George H. W. Bush, nel 1993, la Commissione per la negoziazione dei futures sulle materie prime aveva approvato una norma proposta dalla Enron per sottrarre i contratti dei derivati energetici al controllo statale. A capo della Commissione c'era Wendy Gramm, che sarebbe poi entrata alla corte della Grande E, moglie del senatore repubblicano del Texas Phil Gramm, che ottenne da Enron 97.350 dollari per la campagna elettorale del 2000. La norma sarebbe poi stata ufficializzata e tramutata in legge sotto l'amministrazione Clinton, il cui partito aveva ricevuto donazioni da Enron per oltre 2 milioni di dollari.

Dietro il no al Protocollo di Kyoto

La stessa cifra sarebbe stata elargita a George W. Bush, divenuto presidente nel 2000, mentre il suo partito ricevette 400 milioni dalla società nel periodo tra il 1999 e il 2001. L'intera amministrazione Bush risulta avere legami con la Enron: possedevano pacchetti azionari il vice-presidente Dick Cheney, il segretario alla Difesa Donald Rumsfled ed il suo vice William Winkenwerder, il capo di gabinetto Karl Rove, il ministro della Giustizia John Ashcroft, il sottosegretario al Tesoro Mark Weinberger e quello all'Economia Kathleen Cooper, il sottosegretario all'Educazione Eugene Hickock, il consigliere economico Larry Lindsay, il rappresentante Usa per il commercio Robert Zoellick, e diversi ambasciatori. Cheney, in particolare, era azionista della ditta di costruzioni Brown&Root, vincitrice dell'appalto per la costruzione del nuovo stadio di Houston, finanziato per 100 milioni dalla Enron; in cambio, la società ottenne un contratto da 200 milioni di dollari per la fornitura elettrica della città. Dick Cheney fu inoltre a capo della Commissione per la politica energetica, che era stata incaricata di indagare sul clamoroso blackout di Los Angeles del 2000: Enron era il fornitore energetico della metropoli californiana e, secondo alcune voci, aveva staccato la corrente a LA per convincere il sindaco ad abbandonare la legge anti-inquinamento.
D'altronde, altre voci accusavano l'azienda energetica di aver spinto il governo a non ratificare il Protocollo di Kyoto. Risaputo, invece, l'intervento diretto sul presidente Clinton sul caso Mozambico: Enron stava cercando di ottenere il permesso dal governo locale per la costruzione di un oleodotto, che arrivò solo dopo che il Presidente minacciò gli africani di tagliare drasticamente gli aiuti umanitari. I legami politici della società di Kenneth Lay arrivavano fino alla Gran Bretagna, tramite il dipendente John Wakenam, già ministro dell'Energia e supervisore delle privatizzazioni sotto il governo Tatcher, ma anche per conto di Tony Blair, finanziato con circa 50.000 dollari in campagna elettorale.
Quello che nessuno sapeva, o voleva sapere, era che il grande successo della Enron era basato sul nulla: una gigantesca bolla finanziaria fondata su valori probabili, incassi futuri e bilanci gonfiati; operazioni di facciata, come quella del Video on Demand, che non portavano alcun guadagno, ma facevano levitare il valore a Wall Street; una rete di società partner esterne, create dagli stessi dirigenti della Enron, che prestavano fondi alla casa madre in cambio di azioni. E mentre questo accadeva, i top-manager dell'azienda di Houston si godevano bonus impressionanti concessi su guadagni ipotetici, compravano auto e vestiti di lusso e facevano la bella vita; come Lou Pai, che si portava una squadra di spogliarelliste, a libro paga della società, fino in sala contrattazioni. Lo stratagemma delle società satellite (ne sono state individuate 881, tutte in paradisi fiscali; si pensi che, in Italia, Silvio Berlusconi ne aveva appena 64) aveva permesso ai dirigenti di nascondere l'enorme debito che la Enron stava accumulando, e, allo stesso tempo, di pagare tasse praticamente nulle: celebre il caso di un tassa che, a conti fatti, si trasformò in un credito di circa 278 milioni che la società aveva nei confronti del governo.

Houston (Texas) - Le torri Enron


Una corruzione gigantesca

Nell'agosto 2001, il Wall Street Journal accusò la Enron di una mancanza di trasparenza sui conti, preludio alla tragedia imminente. Ad ottobre, il giornale economico ventilò perdite possibili per oltre 1 miliardo di dollari, e denunciò il colosso energetico per la storia delle società fantasma. Nel frattempo, i dirigenti di alto livello della Enron vendevano segretamente le loro azioni e, contemporaneamente, incitavano i loro dipendenti a comprarne, così da far recuperare fiducia al mercato e rilanciare l'azienda. Anche se, tra questi ultimi, ci fosse stato qualcuno particolarmente scettico, non avrebbe potuto far niente per evitare la tempesta: ogni dipendente era vincolato, dal proprio contratto, a non vendere alcuna delle sue azioni Enron fino al compimento dei 50 anni. Queste azioni facevano parte del compenso, e venivano attribuite automaticamente sul fondo pensione di ogni singolo dipendente (si stima che esse rappresentassero il 62% di ogni portafoglio di fondo pensione).
Quando la bolla scoppiò, si scoprì che i dirigenti avevano guadagnato 275 milioni di dollari vendendo le proprie azioni, mentre i dipendenti avevano perso complessivamente 850 milioni. Non solo, poco prima del crollo gli stessi dirigenti si erano concessi bonus per un totale di 55 milioni, mentre ai dipendenti furono concesse liquidazioni irrisorie di 4.500 dollari. Circa 15.000 persone si ritrovarono senza un soldo e senza un centesimo in fondo pensione dall'oggi al domani. La settima azienda del Paese aveva perso 60 miliardi di dollari in poche settimane, precipitando dal 86 dollari a soli 26 centesimi per azione.
Ma non era finita. La Sec, fino ad allora misteriosamente all'oscuro delle irregolarità della Enron, aprì un'inchiesta, facendo richiesta delle carte della società al certificatore Arthur Andersen. David Duncan, il dirigente di AA che si era occupato dell'affare Enron, fu accusato da alcuni dipendenti di aver dato l'ordine, tra il settembre e l'ottobre del 2001, di distruggere ogni documento esistente sul loro rapporto con la Enron. Davanti alla Commissione, egli si appellò al V Emendamento, rifiutando di testimoniare contro sé stesso, a meno di ottenere l'immunità. La Casa Bianca, che aveva sempre negato di essere a conoscenza del crack, fu costretta ad ammettere che alcune riunioni tra dirigenti della Enron ed esponenti del governo c'erano state.
L'inchiesta assunse da subito un profilo tragicomico: l'intero staff del Procuratore Distrettuale di Houston, incaricato dell'inchiesta, dovette auto-ricusarsi per aver avuto legami economici con la Enron (si sta parlando di un centinaio di persone, tra avvocati e procuratori); il ministro della Giustizia Ashcroft, a libro paga Enron, dovette ricusarsi a sua volta, così come il giudice di Washington Lee Rosenthal, che rivelò di aver avuto relazioni personali con alcuni dirigenti Enron. Altri non furono così onesti: Joseph Lieberman, capo della Commissione del Senato che indagava sul fatto, si scoprì essere stato finanziato in campagna elettorale proprio dalla Enron. Dei 248 membri del Congresso che componevano le undici commissioni incaricate di indagare sul fallimento, 212 avevano ricevuto denaro dalla Enron o dalla Arthur Andersen.
L'inchiesta distrusse la Arthur Andersen, e si allargò presto ad altre società, accusate di aver nascosto le proprie magagne attraverso la sopracitata: Tyco, Sunbeam Products, Adelphia, Global Crossing, fino al colosso telefonico WorldCom. Seconda azienda telefonica americana, WorldCom contava 60.000 dipendenti, era presente in 65 Paesi, aveva la più grande rete ottica del mondo, e poteva vantare un patrimonio di 107 miliardi di dollari; si scoprì che i suoi dirigenti avevano spacciato spese correnti per degli investimenti, falsificando i bilanci per circa 4 miliardi, e creando un buco di 41 miliardi di dollari. Enron era stato il più grande crack della storia americana, dopo poche settimane WorldCom aveva ritoccato il record.

Una vera e propria giungla

I dirigenti della Enron ritenuti colpevoli della truffa hanno subito condanne che vanno dai 18 mesi ai 24 anni di reclusione. In particolare, l'ex-Ceo Jeffrey Skilling è stato condannato a 24 anni di carcere, stessa pena che sarebbe toccata al presidente e Ceo Kenneth Lay, morto d'infarto prima della condanna.
Il caso Enron presenta diversi punti di contatto con lo scandalo del fallimento di Lehman Brothers, l'innesco della recente crisi economica. Entrambi affondano le radici in un sistema dove, a dispetto di quanto si racconta, imperano la corruzione e la delinquenza pura, sollecitata dalla totale assenza di leggi, come in una giungla nella quale sopravvive solo il più forte, dove i leoni si sfidano senza aver cura delle formiche che si muovono incuranti sotto ai loro piedi.

Valerio Moggia