rivista anarchica
anno 42 n. 375
novembre 2012


dossier Piazza Fontana & dintorni

3. 1969: dal 25 aprile al 12 dicembre

Nel corso dell'anno 1969 si contarono in Italia 145 attentati dinamitardi. Le forze dell'ordine avevano la tendenza ad attribuire tali atti violenti a organizzazioni e movimenti della sinistra extra-parlamentare. È stato poi stabilito che la maggior parte di quegli attentati furono invece opera dell'estrema destra allo scopo di suscitare la psicosi della sovversione che avrebbe giustificato la conseguente involuzione autoritaria. Per alcuni osservatori l'escalation di attentati faceva parte di un piano ben preciso culminato con la strage milanese del 12 dicembre.

Sciopero della fame dell'anarchico Michele Comiolo,
in solidarietà per gli anarchici arrestati

Il 25 aprile 1969, alla Fiera campionaria di Milano, nel padiglione della FIAT, esplose una bomba che ferì venti persone. Poco prima delle 21:00 dello stesso giorno, sempre a Milano, alla stazione Centrale, all'ufficio cambi della Banca Nazionale delle Comunicazioni, esplose un altro ordigno. Su questi episodi indagarono il commissario Luigi Calabresi, il suo capo Antonino Allegra e il giudice Antonio Amati. I tre imboccarono subito la pista anarchica: il giorno degli attentati è sì una ricorrenza partigiana, ma gli obbiettivi erano simboli del capitalismo. Vennero fermati una quindicina di anarchici e alcuni di loro furono trattenuti: nel 1971 vennero però tutti assolti.

Al centro, Pietro Valpreda

Nella notte tra l'8 e il 9 agosto, su dieci treni, otto bombe esplosero e due vennero trovate inesplose. Risultato: dodici feriti tra viaggiatori e ferrovieri. Le prime indagini puntarono sul terrorismo altoatesino, perché i treni presi di mira erano quelli delle grandi direttrici del turismo tedesco. Tale ipotesi resse poche ore, prima di lasciare spazio alle accuse contro gli anarchici. Gli inquirenti tentarono, con non poche difficoltà, di stabilire in quali stazioni gli attentatori avevano deposto gli ordigni. In tre casi parve trattarsi di Venezia, in un altro vi era l'incertezza tra Venezia e Milano e in tre casi si pensò che gli ordigni fossero stati posizionati a Roma. Era stato un attacco simultaneo a più obbiettivi e quindi doveva avere alle spalle una complessa organizzazione. Il giudice Amati procedette all'incriminazione di quattro anarchici, poi assolti.

Pasquale “Lello” Valitulli
durante il suo sciopero della fame

Il processo si basò essenzialmente sulla testimonianza di due testi: Rosemma Zublena e l'esperto balistico Teonesto Cerri. La prima, ex amante di Paolo Braschi, uno degli anarchici fermati, risultò completamente inattendibile durante gli interrogatori. Sostenne che Braschi le aveva parlato dell'impresa dinamitarda. Incalzata dagli avvocati difensori, che ne misero in luce le dichiarazioni contraddittorie, cercò di indicare in Giuseppe Pinelli, ferroviere appartenente alla croce nera anarchica e al circolo Ponte della Ghisolfa, la fonte delle sue informazioni. Infine, messa alle strette, rivelò: «Io non ho fatto che ripetere quello che sapeva Calabresi». Cerri, invece, ipotizzò un furto di esplosivo alla cava di Grone, un furto non denunciato, che i responsabili della cava negarono anche durante il processo.

Milano, protesta anarchica davanti al Palazzo di Giustizia

Il presidente del tribunale non tenne conto di un documento pubblicato all'inizio di dicembre del 1969 dai quotidiani inglesi «The Observer» e «The Guardian». Si trattava di un documento segreto inviato al primo ministro greco, Georgios Papadopulos, in cui erano riportati i risultati della campagna provocatoria attuata dal governo di Atene in Italia con la collaborazione di alcuni gruppi fascisti. Nel documento si leggeva: «Le azioni che era stato previsto fossero realizzate prima non è stato possibile realizzarle che il 25 Aprile. La modifica dei nostri piani ci fu imposta dal fatto che era difficile penetrare nel padiglione della FIAT. Entrambi i fatti hanno prodotto effetti considerevoli».

Milano, 12 dicembre 1969. L'attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana

Nella fatidica giornata del 12 dicembre la bomba alla Banca Nazionale dell'Agricoltura non fu l'unica, ma ce ne furono altre quattro.
Una fu posizionata alla sede centrale della Banca Commerciale Italiana, in Piazza della Scala a Milano. Qualche minuto prima dell'esplosione di Piazza Fontana un commesso della Banca Commerciale si accorse di una borsa lasciata incustodita, la sollevò per portarla insieme agli altri oggetti smarriti, ma restò colpito dal peso. La aprì e intravide all'interno una cassetta metallica. Nella borsa vi erano anche una bustina di plastica vuota e un dischetto nero graduato da 0 a 60. Intanto giunse la notizia della strage.
Gli inquirenti arrivarono alla Commerciale e analizzarono la scatola metallica: nessun ticchettio, ma era possibile che si trattasse comunque di un ordigno già innescato. La bomba inesplosa era un indizio fondamentale per gli investigatori. La cassetta fu sotterrata in un giardino interno della banca per renderla meno pericolosa. Ma i periti, invece di disinnescare la bomba e analizzare come era stata preparata, la fecero brillare intorno alle 21:00. I frammenti furono raccolti e repertati. Parecchie settimane dopo, qualcuno fece spuntare fuori, tra i reperti, un frammento di vetro colorato analogo ai vetri colorati utilizzati per confezionare lampade liberty in un laboratorio di Roma dove lavorava tale Pietro Valpreda, ballerino anarchico.

Una manciata di minuti dopo le bombe di Milano, altre esplosioni avvennero a Roma.
Alle 16:55 un ordigno esplose nel passaggio sotterraneo che collegava la sede della Banca nazionale del Lavoro a una dépendance situata dall'altra parte della strada: al momento dello scoppio erano presenti una ventina di impiegati, quattordici riportarono ferite. Come per Piazza Fontana, in un primo momento nessuno pensò a un attentato ma all'esplosione dell'impianto di riscaldamento.
Altre due esplosioni chiusero la giornata: alle ore 17:22, alla base del pennone alzabandiera dell'Altare della Patria e alle 17:30, sui gradini della porta di accesso al Museo Centrale del Risorgimento. Ci furono altri quattro feriti, seppure in forma lieve.
L'indomani tutti i quotidiani concordarono nel dire che i cinque attentati avevano una regia comune. Per alcuni non c'era dubbio: gli attentati avevano colpito simboli del capitalismo e della patria e quindi gli autori andavano cercati in chi disprezzava il sistema, e cioè nell'estrema sinistra.