rivista anarchica
anno 43 n. 377
febbraio 2013


autoproduzione

Quando il biglietto del tram diventa un libro

Intervista a Troglodita Tribe
di Claudia Vio


Piccolo viaggio nel mondo dell'eco-editoria creativa, tra materiali di recupero, economie alternative, gioco e sperimentazione.



A volte capita di abbandonare la retta via. Stiamo percorrendo la solita strada per l'ufficio, quella che ci è tanto familiare, con l'edicola all'angolo e il bar sotto i portici, quando qualcosa ci distrae. Un sonaglio misterioso che proviene da una laterale. Non ci eravamo mai accorti prima della sua esistenza. È una viuzza stretta, piena di colori. Si può percorrerla solo a piedi, come in un bazar. Si cammina sull'erba, sulle pietre, sulla stoffa, sulla carta straccia, sopra una corteccia o un pezzo di moquette recuperato dagli scarti; si può perfino camminare sull'acqua, come per effetto di un sortilegio. Avvertiamo, in fondo, l'eco di una sarabanda festosa. Irretiti da quella sirena ci scordiamo del cartellino da timbrare in ufficio, della città che ci gira intorno, di noi stessi. Così piombiamo in un mondo parallelo: quello dell'editoria casalinga, o editoria creativa, inventata dai Troglodita Tribe S.p.A.f. (Società per Azioni Felici) che da oltre una decina d'anni, nelle persone di Fabio e Lella, sta gettando lo scompiglio nell'universo della carta stampata. Nel loro covo sulle colline marchigiane i Troglodita trasformano i relitti dell'industria editoriale in baldanzose creature che sfidano i luoghi comuni e l'ordine costituito. Ci incontriamo in settembre a “Liber – i libri liberi”.

A Lella e Fabio chiedo di raccontarmi come gli è venuta in mente l'editoria casalinga...

“L'editoria casalinga è un po' come la ruota o la pastasciutta: non è che qualcuno le ha inventate... si tratta di scoperte che vengono dal basso, che premono creative e necessarie e si espandono con milioni di differenti variazioni sul tema. L'editoria casalinga, il pubblicare i propri testi da soli, in casa, l'autoprodurseli insomma, è una naturale propensione di tante, tantissime persone. Hai scritto qualcosa e desideri che altri la leggano, vuoi espandere un messaggio, una visione. Se non segui la strada indicata, se non cerchi il permesso di un editore, se hai abbandonato la vuota illusione di diventare famoso, allora scegli di autoprodurre il tuo testo. La nostra Eco-Editoria-Creativa è una di queste variazioni sul tema, una sorta di ibrido e consiste nel costruire un libro con materiali di scarto, nell'intervenire manualmente con strappi, collage, timbri, inserimenti di oggetti, piegature all'interno del testo in modo da interrompere la serialità che caratterizza una normale tiratura”.

I vostri libri esprimono una forte creatività. Ogni esemplare è diverso dall'altro e non è replicabile. Perché questa esaltazione della diversità?

“La diversità è ciò che ci distingue dalle macchine. Siamo tutti diversi e diverse e... da vicino nessuno è normale, nessuno è standardizzabile né replicabile. Immettere la diversità anche nei libri per noi significa renderli delle opere vive, degli oggetti che contengono l'energia di chi li ha creati. Il voler replicare per centinaia di migliaia di volte le proprie parole e le proprie storie è una sorta di malattia moderna, un delirio di onnipotenza molto antropocentrico. Come il voler passare alla storia, il voler diventare famosi e importanti. Tutto questo crea un appiattimento globale, una noia devastante che contagia tutto e tutti”.

Manipolare il paesaggio

I materiali che utilizzate sono scarti della produzione industriale, dai cartoni alla carta da regalo, dagli scampoli di tappezzeria ai biglietti del tram. Date l'impressione di un mondo sottosopra. Cosa vi attrae nei materiali di scarto?

“Usare i materiali di scarto è un fatto che rende l'Eco-Editoria-Creativa la più orizzontale delle tecniche che si possano utilizzare. I materiali di scarto sono gratuiti e disponibili a tutti e a tutte. E questo non è un fatto da sottovalutare. La libera espressione della creatività è spesso tarpata proprio dalle difficoltà ad accedere ai colori, alla carta di pregio o a tutti gli infiniti strumenti richiesti dalle varie arti.
I materiali di scarto, poi, hanno una loro bellezza intrinseca nel momento in cui stravolgi il loro contesto perché crei un effetto di straniamento. Si tratta di oggetti di uso quotidiano, che sei abituato a maneggiare, che si sono già insediati nel tuo immaginario. Noi li prendiamo e ne ribaltiamo il significato, il messaggio, il senso. Non ci limitiamo a riciclarli, ne sfruttiamo anche la carica immaginifica. E tutto questo è estremamente divertente perché ti rendi conto della grande quantità di potenzialità creative disponibili. Ti rendi anche conto che il paesaggio urbano può essere manipolato, che tu puoi intervenire, che non sei solo una pedina, la famosa e rassegnata rotella di un ingranaggio. Sì, il paesaggio lo puoi mettere sottosopra, devi solo osare, spingerti un po' oltre la consueta visione dello scrivere, del comunicare, del costruire... Un po' quello che fanno i mutoidi con gli scarti delle macchine.
Inoltre continuiamo a ripetere che oggi usare materiali di scarto è assolutamente indispensabile per qualunque forma di creatività. Se compri materiale nuovo per la tua opera stai anche contribuendo alla distruzione del pianeta. Più che creativa la tua opera, appunto, diventa distruttiva, un piccolo disastro ambientale. E se non sono le persone creative, quelle che dovrebbero essere particolarmente sensibili e attente, a comprendere questa urgenza, ad anticipare un atteggiamento di profonda attenzione, anche estrema, allora chi dovrebbe farlo?”

Nel 1997 avete pubblicato il libro Economie alternative. Baratto, gratuità, uso libero, ospitalità generalizzata, convivialità sono i termini che voi usate. In che senso l'editoria casalinga è parte dell'economia alternativa?

“Sia l'editoria casalinga che l'Eco-Editoria-Creativa sono forme di autoproduzione e, secondo noi, le autoproduzioni rientrano decisamente all'interno dell'economia alternativa. Quando non deleghi più nessuno per il tuo lavoro, quando scegli il tuo progetto e lo sviluppi in totale autonomia, senza sfruttare nessuno e senza essere sfruttato da nessuno, interrompi il concetto stesso di lavoro visto come dinamica esclusivamente economica. Si tratta di una visione molto personale, ma secondo noi l'alternativa non si concretizza solo nell'usare il baratto al posto del denaro o nell'usare gli scec o altre valute alternative, ma nel lavorare esclusivamente a ciò che si ama, indipendentemente dal denaro che riesci o non riesci a guadagnarci. A volte è dura, molto dura. Ma l'economia alternativa non è un hobby da praticare nei ritagli di tempo, non è una faccenda da dopolavoro. O ci credi o non ci credi. E se ci credi la metti in pratica, diventa l'asse portante della tua esistenza. Spesso abbiamo usato i nostri libelli come moneta di scambio per ottenere olio, patate e altri prodotti, oppure li diamo a offerta libera, ma non è questo che li rende parte di ciò che noi riteniamo essere l'economia alternativa”.

Il fascino dell'inutile

I vostri libelli si presentano spesso come “prodotti” incompiuti, il lettore può aggiungerci di suo, anche stravolgere del tutto l'originale. E non hanno copyright. Chi è il lettore al quale vi rivolgete? O meglio, le persone alle quali vi rivolgete sono riducibili alla semplice categoria dei lettori?

“Noi pensiamo che il copyright sia una delle più potenti limitazioni alla creatività. Molto spesso sentiamo di gente che scrive libri o fa arte con l'intento di lasciare al mondo qualcosa di sé, con l'intento di diventare immortale. Per noi scrivere e costruire un libro significa comunicare, manipolare parole, storie, oggetti... sempre tenendo conto che anche il nostro lavoro sarà a sua volta usato e riusato per entrare in una sorta di vortice creativo collettivo, una spirale di energia libera e disponibile. Altro che spirito santo, è proprio questa spirale creativa che dà la grazia, che rende la vita degna di essere vissuta. Qualunque pittore, scrittrice, cuoco, clown, fotografa dovrebbe saperlo molto bene, e dovrebbe sapere ancora meglio che ogni idea, ogni tecnica, ogni storia, ogni immagine non è mai completamente inventata. Si attinge sempre da quel vortice creativo, senza di esso non ci sarebbe creazione alcuna. Mettere il copyright a qualunque opera significa cercare di frenare questa spirale creativa, significa cercare di limitarne la proliferazione, significa, soprattutto, illudersi di poter possedere davvero ciò che si intende offrire come opera creativa. In realtà nessuno è autore di niente ed è per questo che il concetto di nome collettivo è, secondo noi, quello che si avvicina meglio ad un pensare e ad un agire realmente creativo.
E poi, tutto ciò che si scrive, si dipinge, si inventa, tutto ciò che ha una carica rivoluzionaria, tutto ciò che è nuovo e dotato di energia vitale viene presto ribaltato, divorato, triturato e reso spettacolo. L'unica possibilità che resta è quella di inventare continuamente, di non attaccarsi a nulla. Ed è proprio questo il cuore e il senso della creatività: una partita dove dall'altra parte continuano a barare. Una partita che non puoi vincere, ma che puoi evitare di perdere solo se continui a giocarla, senza mai fermarti. Quindi non è che ci rivolgiamo a particolari categorie di lettori o fruitrici dei nostri libelli, ci piace, più che altro, pensare di poter partecipare a questo vortice immettendo continuamente la nostra energia”.

Tra i vostri libri c'è La ballata dei libri inutili. Un libro estremo, che credo vi rappresenti molto bene. Lo definite “un'antologia delle follie editoriali impossibili, impubblicabili”, “una mappa libertaria libresca che decolla verso gli orizzonti infiniti dell'invenzione... Libri che non troverebbero posto in alcun tipo di scaffale, libri dai quali non è possibile ricavare denaro, libri fatti a mano in pochissime copie che costano una fortuna, libri abbandonati sul sedile di un autobus, libri truffa, libri inesistenti, libri non replicabili, libri le cui pagine viaggiano anarchiche e selvagge solo per via postale... che non hanno senso, che evadono, cioè, dal comune senso del pudore editoriale”.

“Questi libri sono editorialmente inutili, sono inventati per altri scopi, seguono strade e destini che non hanno nulla a che fare con l'immaginario libresco imperante. I libri inutili sono una sorta di utopia del libro, un'era fanta-editoriale che, però, resta sempre dietro l'angolo, fruibile e realizzabile, anzi, a volte anche realizzata ma invisibile.
L'inutile è un concetto che ci ha sempre affascinato”.

Linguaggi inventati e brulicanti neologismi”

I vostri libri sono gioiosamente sovversivi e il riferimento all'anarchia è costante. Come convive il pensiero politico, che è razionale e coerente al suo interno, con la bizzarria dell'editoria casalinga?

“In un mondo appiattito dall'omologazione e dalla serialità della produzione e del pensiero, tutto ciò che evade e propone una qualsiasi forma di creatività o di invenzione, appare come qualcosa di deviante e bizzarro, fuori dalle righe, fuori dal comune sentire e interpretare la realtà. Ma questo non significa affatto che stiamo parlando di incoerenza o di faccende non sostenibili o non praticabili.
Secondo noi il pensiero anarchico è invenzione, creazione e rimodellamento continui. Senza queste caratteristiche è impossibile pensare e praticare la realizzazione dell'utopia, di ciò che ancora non esiste”.

Nella presentazione di “Postwriting – Oltre la scrittura creativa” voi dite che l'editoria creativa è per chi “ha abbandonato la zavorra dello scrivere bene, per chi ricerca l'illuminazione sub-letteraria, analfabeta, extrasintattica... piroettando tra i linguaggi inventati e i brulicanti neologismi”. La sovversione delle parole va di pari passo con quella dei materiali, a quanto pare.

“Sì! La sovversione delle parole, la diserzione del senso, più che altro l'invenzione, il gioco, la sperimentazione... È così triste scorrere i manuali di scrittura creativa, di business writing, di composizione letteraria, pare che tutto, tutti gli effetti, le sorprese, le visioni, i ritmi che possono scaturire da un testo siano solo il risultato di una regola o di una tecnica. È tutto scritto e catalogato, basta studiare la lezione. Noi, invece, ci rifacciamo all'improvvisazione, alla musicalità, alla ricerca delle infinite possibili varianti. Certo, ci vuole una grande confidenza, un grande amore per il mezzo che stai utilizzando, e poi, purtroppo, ci vogliono anni per decondizionarsi da quello scrivere bene che ti censura proprio sul più bello. I nostri testi nascono dall'esigenza di raccontare quello che non c'è, ma soprattutto cerchiamo di realizzarli in modo da farci sentire. Un testo deve farsi sentire, deve urlare in mezzo ad un bombardamento di parole che martellano da ogni angolo. Un testo autoprodotto, poi, deve urlare ancora più forte perché parte handicappato, parte snobbato. Ma se ci riesci, se il tuo linguaggio, la tua grafica, le tue invenzioni riescono a farsi sentire, allora ti accorgi che la gente c'è, che non è affatto vero che il lavaggio del cervello è riuscito ad appiattire ogni speranza di cambiamento. E ancora di più ti accorgi che se non riesci a farti sentire, a comunicare, la responsabilità è solo tua.
Perché il punto è che i comunicatori professionisti, quelli che lavorano perché questo mondo resti sottomesso, studiano e si applicano giorno e notte per ottenere i risultati che ottengono, per manipolare il nostro immaginario. E allora si comprende quanto sia puerile pensare di fargli concorrenza nei ritagli di tempo, con un'attività hobbistica. O ancora peggio cercare di tenere il piede in due scarpe”.

Vi è mai venuta la tentazione di tenere per voi tutto quello che create? I vostri libri sono davvero irripetibili. Separarsene significa rinunciare a una parte di sé.

“No, assolutamente no! Sarebbe come, per chi ama parlare con la gente, voler tenere tutte le parole per sé. Non avrebbe alcun senso. Sarebbe come fare delle meravigliose torte vegan ogni giorno e volerle tenere tutte per sé, poi andrebbero a male, andrebbero sprecate... e anche a mangiarsele tutte da soli ti farebbero venire solo un gran mal di pancia!”

Claudia Vio


Note
Per vedere con i propri occhi, subito, i libelli dei Troglodita Tribe: http://trogloditatribe.wordpress.com

“Liber – i libri liberi”, il salone dell'editoria creativa e delle autoproduzioni, è stato organizzato a Milano nel 2011 e nel 2012 dalla Casa Editrice Libera e Senza Impegni, ovvero Federico Zenoni, che ha realizzato varie “co-produzioni” con i Troglodita Tribe. Per saperne di più: http://www.libersalone.altervista.org.