rivista anarchica
anno 43 n. 377
febbraio 2013


alternative

Utopia di oggi e topia dei primordi

di Andrea Papi


Sfuggire all'asfissiante clima elettorale immergendosi in un'organizzazione sociale risalente addirittura al Neolitico: un'esperienza agricola, comunitaria e pacifica che mette in crisi l'assioma secondo cui l'uomo è violento “per natura”.



Sta di nuovo impazzando il “totoelezioni”, innescato anticipatamente dal tardo tentativo di scesa in campo del “berlusca”, questa volta col codazzo di ruffiani e cicisbei e la grancassa mediatica insolitamente deboli. Si ripete la saga: i politicanti di mestiere, da quello più fanfarone a quello più serioso, hanno di nuovo bisogno del consenso per essere addetti al governo del paese. Si stanno preparando per l'ennesima volta per tentare d'imbonirci con tutti i mezzi di persuasione a disposizione del potere. Distaccato e incurante, volgo sguardo e attenzione verso qualcos'altro, autenticamente attraente. Mi sto dissetando di nuovi apprendimenti, meravigliosi per la bellezza di cui sono portatori, che ho voglia di condividere con chiunque abbia sete di conoscenza e libertà.
Ora so che una parte di me è profondamente legata e collegata a Gilania, ancestrale esperienza di vita collettiva che si perde nella notte dei tempi. Finora non ne avevo saputo niente e pochissimi ne avevano sentito parlare perché, nonostante sia effettivamente avvenuta, nei millenni trascorsi di civiltà patriarcale il potere ha tentato di cancellarla e rimuoverla dalla memoria. Ora so che anche tutti quelli che desiderano una società libera e liberata alternativa all'esistente, pur non essendone consapevoli, vivono questo collegamento interiore e profondo.
Gilania è il nome attribuito al tipo di società che nel neolitico (circa tra l'8000 e il 2500 a.c., in rapporto soltanto al neolitico) caratterizzò l'Europa antica prima dell'invasione indoeuropea. Identifica il modo di essere società di popolazioni stanziali agricole che furono in grado di dar vita a un tipo di civiltà splendida e altamente evoluta. Gilania è un neologismo coniato dall'antropologa Riane Eisler per denotare la qualità di civilizzazione raggiunta, caratterizzata dall'eguaglianza sociale e da una sostanziale assenza di gerarchie e di autorità. Il nome Gilania è composto dalle parole greche gynè, donna e andros, uomo, unite dalla lettera “l” posta tra le due perché ha un duplice significato: di unione, dal verbo inglese to link, “unire” e, dal verbo greco lyein o lyo, “sciogliere” o “liberare”). Neologismo che vuole soprattutto sottolineare che non esisteva prevalenza e imposizione di un genere sull'altro, ma cooperazione e mutualità, cioè partnership.
La Eisler ha potuto sviluppare il suo percorso di ricerca antropologico avendo come base gli approfondimenti e le riflessioni scientifiche dell'archeologa Marija Gimbutas, che ha sviscerato gli studi e le ricerche archeologiche di tutta la fascia territoriale indoeuropea, partecipando fra l'altro direttamente agli scavi e al rinvenimento di reperti per più di un quindicennio. Il merito della Gimbutas è soprattutto quello di aver reinterpretato con acuto rigore scientifico tutta la simbologia dei segni e delle forme dei reperti, identificando, definendo e sperimentando una nuova impostazione multidisciplinare, l'archeomitologia, «un campo che include archeologia, mitologia comparata e folclore» come scrive lei stessa in Il linguaggio della dea.
Questa ermeneutica comparata le ha permesso di comprendere che l'impostazione di civiltà di questi nostri antenati era completamente differente dalla supposizione ufficiale in voga. Secondo il paradigma tuttora accreditato l'elemento fondante che da sempre determinerebbe i comportamenti umani, determinando quindi pure la qualità dell'essere società, sarebbe basato “naturalmente” sulla spinta a dominare. Insomma è pienamente vigente l'interpretazione che vorrebbe la natura umana inchiodata al homo homini lupus, nefando nichilismo del potere di triste hobbesiana memoria.
Coi suoi studi e le sue ricerche la Gimbutas ha ribaltato di trecentosessanta gradi questa impostazione, che sostiene la logica del dominio come base fondante di qualsiasi assetto sociale. Ha mostrato e dimostrato pienamente invece come per millenni i nostri avi pre-indoeuropei vissero in pace, su un piano egualitario nei rapporti tra gli individui, maschi o femmine che fossero, senza strutturarsi in forme gerarchiche di comando e senza imporre logiche di dominio, dedicandosi al benessere collettivo, al piacere di fabbricare cose che oggi definiremmo artistiche e producendo tecnologie utili per vivere tutti al meglio. Nei reperti analizzati non c'è traccia di armi, combattimenti, violenze, conquiste ed eserciti schierati per la “gloria” dell'occupazione di altre terre e altre genti.

Riane Eisler (Vienna, 1931)

Senza gerarchie e senza violenza

Noi dobbiamo ringraziare la Eisler e la Gimbutas, perché il loro sguardo femminista, non a caso proteso ad evidenziare la condizione femminile in quanto genere e il rapporto tra il genere maschile e quello femminile, condannando il presente di supremazia maschilista è stato stimolo fondamentale per riuscire ad evidenziare una realtà effettuale che altrimenti sarebbe rimasta nascosta perché occultata. Emblematico ciò che scrive la Eisler stessa in proposito: «Si tratta di un lungo periodo di pace e prosperità, durante il quale progredì la nostra evoluzione sociale, tecnologica e culturale: diverse migliaia di anni in cui tutte le tecnologie fondamentali su cui si basa la civiltà continuarono a evolversi all'interno di società non violente e non gerarchiche, in cui il maschio non era dominante.» E ancora «Uomini e donne, e a volte, persino popoli con origini razziali differenti, lavoravano insieme per il bene comune.»1
Interessante lo smantellamento del pregiudizio secondo cui le società che si opponevano al patriarcato erano per forza di tipo matriarcale. Situazioni matriarcali, cioè a predominio femminile a discapito del maschile, sono esistite in concomitanza e in parallelo con quelle patriarcali. «Ciò che non ha senso è concludere che nelle società in cui l'uomo non dominava la donna, era la donna a dominare l'uomo.»2 E più avanti chiarisce bene «Né ci sono segni di oppressione e sottomissione dell'uomo da parte della donna»3. A Gilania, al contrario di come siamo abituati da millenni di predominio maschile, non c'era nessuna supremazia, né di genere né gerarchica. Sia la Eisler sia la Gimbutas parlano di modello di tipo mutuale, cioè fondato su cooperazione e aiuto reciproco, in contrapposizione al patriarcato, che in modo più appropriato definiscono androcrazia (comando del maschio), che invece viene classificato come modello di tipo dominatore, proprio perché basato sulla spinta e la volontà oligarchica di dominare.
Una civiltà e un mondo che vivevano immersi nella natura. Se ne sentivano felicemente parte e vivevano con essa un rapporto simbiotico che culturalmente si esprimeva attraverso il culto della dea. Un divino femminile primordiale, olistica dispensatrice di vita, immersa in simbiosi magica con tutte le cose, che rappresentava il potere creativo della pienezza, del donare e del ricevere, fonte rigeneratrice di tutte le forme di vita. Una religiosità panteista, una specie di manto di natura che avvolge tutto, simboleggiato dal calice che ha il potere di dare, proteggere, beneficare e amare la vita, lontana anni luce dalle concezioni teocratiche d'imposizione divina che distinguono le teologie patriarcali e androcratiche, che al contrario sono dispensatrici di morte ed esaltano la spada, simbolo del potere che toglie la vita.
La ricerca scientifica archeologica ha pure identificato e compreso perché questo eden sociale del neolitico ebbe traumaticamente termine. I Kurgan (le popolazioni dell'Eurasia, tra l'Europa orientale e la Siberia fino alla Mongolia, che usavano seppellire i morti d'alto rango in tumuli funerari), inizialmente bande di popolazioni nomadi, che progressivamente crebbero in numero e ferocia, s'imposero attraverso ripetute incursioni e aggressioni fino a sottomettere definitivamente per intero le popolazioni e la cultura gilaniche. Un'aggressione che probabilmente si sviluppò in tre ondate fino all'imposizione totale. Prima ondata all'incirca tra il 4300 e il 4200 a.c; seconda tra il 3400 e il 3200; terza tra il 3000 e il 2800. Creta fu l'ultimo avamposto gilanico che resistette fino circa al 1500 a.c. I Kurgan in realtà non sono altro che gli indoeuropei, o ariani, che tanto stavano a cuore a Hitler.
Il quadro che ne risulta è che praticamente per tutto il neolitico, cioè dal 10000 a.c. (accertato dallo studio dei reperti circa dall'8500 circa), per diversi millenni in Europa e nell'Asia minore è esistita, florida ed efficiente, una civiltà sorretta dal paradigma sociale dell'uguaglianza e della mutualità, che nel modo di convivere socialmente rifiutò sia di governare attraverso forme di dominio sia di strutturarsi in categorie gerarchiche, all'interno della quale era assente ogni discriminazione sociale, sessuale, religiosa.

Un altro mondo c'è stato

Emerge inoltre, cosa per noi fondamentale, che questo tipo di civiltà e di società hanno avuto termine non per malfunzionamento o altra incapacità a continuare, ma perché sono state occupate e soggiogate militarmente. In seguito a questa violenta aggressione conquistatrice, gli androcrati vincitori, i Kurgan, hanno imposto un modo di vivere, sostanzialmente quello tuttora in vigore, i cui paradigmi di fondo sono la violenza e la sopraffazione del potere, il dominio su tutto e su tutti, lo schiavismo, l'asservimento dei più deboli, l'imposizione di una religione patriarcale che giustifica la prevalenza prepotente del maschio sulla donna. Sicuramente ciò è potuto avvenire perché i gilanici non conoscevano il militarismo, non avevano eserciti né armi e probabilmente furono colti di sorpresa perché nel loro immaginario era escluso che si potessero usare strumenti per togliere la vita ad altri esseri viventi, quindi non capivano perché fossero aggrediti.
Quello che si svela al nostro sguardo è un tipo di società che è sempre appartenuto ai nostri sogni e che gli anarchici propagandano da più di due secoli. Certo, l'immaginario degli anarchici oggi proietta un modo di vivere e di essere che non può non avere caratteristiche in vari modi legate all'epoca che stiamo vivendo, le quali non possono che essere altamente differenti da quelle che contraddistinsero l'esperienza concretamente vissuta dai gilanici. Ma ciò non toglie che la sostanza è molto simile, se non identica. Uguaglianza, assenza di forme di dominio, di gerarchie, di supremazie, di discriminazioni sociali, oltre a convivere sulla base di un sostanziale mutuo appoggio e in simbiosi con la natura. Altro non sono che i principi, i valori e il senso dell'anarchia sociale che per circa due secoli hanno propagandato i vari Malatesta, Kropotkin, Reclus, Proudhon, Landauer, ecc.
Il mio è uno sguardo anarchico, tendente a cogliere gli aspetti che identificano le realizzazioni libertarie, che nulla toglie allo sguardo femminista che, pur soffermandosi e cogliendo in particolare gli aspetti di genere, ha però descritto quella società nella sua completezza. In proposito ciò che mi sento di dire è che lo sguardo anarchico identifica l'esercizio del dominio con la conseguente sottomissione di tutti i più deboli, comprese le donne, quali elementi fondanti e denotativi del potere impositivo. La non eludibile questione femminile non può perciò che essere parte della più generale questione della libertà e la liberazione delle donne è strettamente connessa e legata alla complessiva liberazione dalla schiavitù e dal dominio.
La scoperta e la conoscenza di Gilania sono fondamentali. La prova della sua esistenza dimostra che un “altro mondo” non solo è possibile, ma addirittura molto più auspicabile di questo che siamo costretti a vivere e da cui non riusciamo a liberarci. Il fatto che sia esistita effettivamente toglie ogni valore e credibilità ad uno degli assunti di fondo del dominio, tuttora propagandato per delegittimare e sconfiggere ogni prospettiva di emancipazione. Cioè l'asserzione, proposta come scientifica, che proprio per la natura dell'uomo non sarebbe possibile nessun tipo di società che, riuscendo a farne a meno, rinnegasse l'autorità e il dominio. Gilania smentisce proprio questa asserzione autoritaria. Da parte nostra sarebbe certamente privo di senso riproporla pari pari, perché ogni esperienza si nutre di se stessa, mentre va propagandata come una luce di verità che dimostra che l'utopia anarchica si può realizzare, dal momento che per millenni è stata topia fattuale ed ha funzionato benissimo.

Andrea Papi

Note

  1. Il calice e la spada, di Riane Eisler, ed. Forum, pagg. 27 e 108.
  2. Ibidem, pagg. 28.
  3. Ibidem, pagg. 80.