rivista anarchica
anno 43 n. 377
febbraio 2013


ritratti

Dove fanno il nido le aquile

di Gianluca Luraschi


Lisbona d'estate e un incontro inatteso: un viaggiatore, un mercante di tappeti e cianfrusaglie che sembra provenire da altre epoche. Eppure Nussardim è ben radicato nella contemporaneità. E mentre racconta del deserto e disserta di testi sacri si esprime anche sulla crisi economica.



Sto leggendo Disoccupazione creativa di Ivan Illich (Boroli edizioni, 1978) e mi appunto: «il vocabolo “crisi” indica oggi il momento in cui i medici, diplomatici, banchieri e tecnici sociali di vario genere prendono il sopravvento e vengono sospese le libertà. Come i malati, i Paesi diventano casi critici. Crisi, parola greca che in tutte le lingue ha voluto dire “scelta” o “punto di svolta”, ora sta a significare: “guaritore, dacci dentro!” Evoca cioè una minaccia sinistra, ma contenibile mediante un sovrappiù di denaro, di manodopera e di tecnica gestionale. Le cure intensive per i moribondi, la tutela democratica per le vittime della discriminazione, la fissazione nucleare per i divoratori di energia sono, a questo riguardo, risposte tipiche. Così intensa, la crisi torna sempre a vantaggio degli amministratori e dei commissari, e specialmente di quei recuperatori che si mantengono con i sottoprodotti della crescita di ieri: gli educatori che campano sull'alienazione della società, i medici che prosperano grazie ai tipi di lavoro e tempo libero che hanno distrutto la salute, i politici che ingrassano sulla distribuzione dell'assistenza finanziaria in primo luogo degli stessi assistiti. La crisi intesa come necessità di accelerare non solo mette più potenza a disposizione del conducente, e fa stringere ancora di più la cintura di sicurezza dei passeggeri; ma significa anche la rapina dello spazio, del tempo e delle risorse, a beneficio delle ruote motorizzate e a detrimento delle persone che vorrebbero servirsene delle proprie gambe.»

Il cammino del mercante

Ho conosciuto Nussardim a Lisbona, ma lui è originario del Marocco. Nussardim è nato Merzouga, ai bordi del deserto Erg Chebbi. Dal deserto dice di aver imparato due cose: camminare ed incontrare persone. Per Nussardim è una questione di quantità. Nel deserto si cammina tanto e s'incontrano poche persone. Da piccolo con il padre e i dromedari attraversava l'Erg Chebbi fino all'Algeria, dove commerciavano, forse contrabbandavano, non si sa bene cosa. Più grande il padre ha voluto che studiasse, e quindi l'ha mandato a Marrakech, dove per mantenersi ha vissuto le molteplici facce di piazza Jemaa El Fna improvvisandosi: cameriere, acrobata, incantatore di serpenti. Da Jemaa El Fna ha imparato due cose: camminare con le proprie gambe e conoscere le persone dallo sguardo. Nussardim ora vive circa metà anno a Lisbona e per il resto del tempo continua a camminare ed incontrare persone. Con il suo furgone Fiat Ducato torna una volta all'anno a Marrakech e acquista prodotti da commerciare in Europa. Quindi risale il Marocco lungo l'Altas, lasciandosi scorre sotto le ruote del Fiat Ducato un interminabile altopiano, montagne bellissime e gente che cammina. Risalendo il Marocco verso nord passa per Fez, dove acquista tappeti, e poi si inerpica su a Chefchaouen dove compra, per uso personale, non si capisce cosa. Quando Nussardim raggiunge Tangeri deve decidere cosa fare: se il furgone è pieno di merce allora traghetta per Algeciras in Spagna, altrimenti gli tocca il lungo viaggio attraverso tutto il nord Africa fino all'Egitto, nella speranza di recuperare altri prodotti e riempire il furgone. Giunto ad Alessandria d'Egitto s'imbarca per Venezia. Da Venezia a Lisbona Nussardim vende le cose che ha acquistato in Africa. Quando il furgone è vuoto torna a Lisbona a riposare, dove ad aspettarlo ci sono moglie e figli, e da qualche tempo anch'io.

La crisi alla luce della Bibbia

È bello stare con Nussardim, quello che dice sa di strade camminate e di persone incontrate. Ma soprattutto passare del tempo con Nussardim è come prendere parte ai misteri che ha rubato alla strada.
Per Nussardim a essere entrato in crisi non è il sistema politico, ma qualcosa che va oltre la politica. Pensare che la politica riesca a trovare una soluzione in questi tempi è come sperare che “al piccione venga voglia di fare il nido dove lo fanno le aquile”.
Secondo Nussardim occorre ripartire da una rinnovata tensione spirituale, anzi di ingegneria genetica. Occorre concepire un uomo nuovo che sia figlio di Malcom X e santa Chiara: libero perché ancorato alle tradizioni, e capace di responsabili gesti di ribellione. Mentre dice queste cose penso che dato che abbiamo fatto trenta possiamo fare trentuno, l'uomo nuovo dovrebbe essere tirato grande nell'Ashram di Sabarmati (quello di Gandhi per intenderci).
Nussardim sostiene che solo il giorno in cui le religioni impareranno a camminare affianco alle persone, e non davanti o dietro, assisteremo a questo “miracolo”.
Nussardim mi fa partecipe di un mistero che un prete coopto di Alessandria d'Egitto in un assolato pomeriggio d'estate gli ha raccontato, forse svelato. Nussardim mi spiega l'attuale “crisi” alla luce della Bibbia. Lui mussulmano, io cattolico, noi alla ricerca di un mondo senza governanti che ci impediscano di camminare con le nostre gambe.
Secondo Nussardim sono in troppi a cercare il senso delle vita nella Scrittura, che scrittura non è. Nussardim mi spiega che le prime tracce scritte della Bibbia entrano nella storia soltanto tra la fine del VII e il VI secolo a.C. ma si ritiene che l'effettiva composizione dell'Antico Testamento, per come noi lo conosciamo, non sia avvenuta prima dell'850 a.C. Fu nel corso dei nove secoli successivi alla nascita di Cristo, e sotto l'influenza più o meno evidente delle pratiche cristiane, che gli scribi e gli studiosi ebrei hanno curato e trasmesso il testo della Bibbia ebraica. Con la diaspora delle comunità ebraiche nel mondo ellenistico, la traduzione in greco è divenuta d'obbligo. La leggenda vuole che ad Alessandria d'Egitto, su disposizione di Tolomeo II, settantadue saggi d'Israele abbiano tradotto in greco le Scritture, nell'arco di settantadue giorni. Ciò che è certo è che la Septuaginta (ovvero la 'Bibbia dei settanta') fu composta nel III secolo a.C. per le comunità ebraiche di lingua greca in Egitto. È questo l'Antico Testamento sul quale si basa gran parte delle prime ritraduzioni e dei comandamenti teologici cristiani.
Insomma la Bibbia è frutto della tradizione orale che per mille e più anni è stata trasmessa da generazione in generazione durante le sere intorno ai fuochi, poi ci sono stati primi frammenti di papiro, le diaspore, le traduzioni di traduzioni se non quando di interpretazioni, la Septuaginta, la Bibbia tradotta nel 393 circa da Girolamo in lingua latina chiamata la Vulgata, la traduzione in lingua tedesca di Lutero, ecc. Una babele.
Nussardim mi dice che la Genesi inizia con la consonante “berth” di “bereshit”. Sulla scia della versione greca detta dei Settanta, questa è stata tradotta in Genesi. Ma beth significa anche “casa”, quando viene vocalizzata. La creazione, così come ci è stata raccontata, costituisce il tentativo di costruire una casa per l'umanità.
Insomma, secondo Nussardim lo scopo delle religioni è quello di mettere ordine ad una cosa che è confusione, la vita. E le religioni hanno costruito ad arte degli strumenti nei loro laboratori: mederse, seminari e templi.
Ma sebbene Nussardim sostenga che la vita è confusione, caso, fatalità, e alla confusione ritorneremo quando moriremo, solo la disciplinata osservanza nelle cose in cui si crede ci rendere liberi, quell'osservanza che prima è spirituale, e poi è regola. Per rendere il concetto chiaro gli chiedo un esempio: “un monaco che nella libera adesione ad un ordine ne segue i precetti, percorre un cammino di libertà, mentre un cultore della libertà, che vive una vita senza regole è schiavo”. Nussardim si affretta ad aggiungere: “L'uomo senza un dimensione spirituale è schiavo, ma le religioni sono capaci di renderci ancora più schiavi degli schiavi”.
Delle volte con Nussardim mi perdo, ho bisogno di fare mente locale. Le religioni si basano su degli scritti per dimostrare la loro attendibilità, che in realtà sono delle trascrizioni di tradizioni orali. Il loro obiettivo è quello di dare un senso ad una cosa che senso non ha: la vita. Ma il fatto che esistano le religioni è un bene perché sono degli strumenti che possono renderci liberi.
Non so se ho capito quello che lui ha voluto dirmi. Mi capita spesso quando alla complessità del discorso che si sta facendo si aggiunge la complessità della lingua che non si condivide. È qualcosa a cui mi sto abituando da quando vivo da straniero: non capire, ma intuire. Infondo non penso che questo sia importante, quello che conta è l'aver portato via da questo incontro un pensiero, magari diverso dall'originale, magari che non si condivide fino in fondo, ma comunque qualcosa su cui lavorare, che fa nascere delle domande.

Il tempo è il deserto

È una calda estate qui a Lisbona, niente di soffocante come i racconti che arrivano dall'Italia. L'oceano mitiga, rende tutto meno faticoso, tutto possibile, forse mischiato, anche i pensieri. Mi congedo da Nussardim e percorro il tragitto da Campo de Santa Clara a casa rilassato, così mi concedo una imperial (una birra alla spina). Sotto casa la raccapricciante scoperta di un piccione morto mi costringe a dargli degna sepoltura nel cassonetto dell'immondizia.
Entro in casa e sotto gli effetti della imperial incrocio Nussardim con Illich.
Le religioni, così come la politica, sono strutturate nel proporre delle risposte. È quello che denunciava Illich nel '78: il cittadino del mondo civilizzato è espropriato della propria capacità di fare da sé ciò che altrimenti saprebbe fare benissimo perché professionisti creano per lui oggetti che appagano i suoi bisogni. I professionisti spengono il nostro bisogno di ricerca.
È una questione di saper far sorgere delle domande. Il tempo in cui stiamo vivendo è il deserto, l'Erg Chebbi, uno spazio per camminare con le nostre gambe e persone da incontrare. Condizioni queste essenziali per coltivare una rinnovata dimensione spirituale. Chissà se allora anche ai piccioni possa venire voglia di fare il nido dove lo fanno le aquile.

Gianluca Luraschi