rivista anarchica
anno 43 n. 377
febbraio 2013


politica

Per chi gioca Mario Monti

di Antonio Cardella


Dalla conferenza-stampa di fine dicembre 2012 il Professore bocconiano ha iniziato la propria campagna elettorale, sostenuto dai “poteri forti“ dell'Unione Europea, dalla Chiesa e da....


Con l'apparizione improvvisa al gruppo dei popolari europei, il pallido narciso che appassisce sulla poltrona di presidente del consiglio italiano conclude il giro delle istituzioni europee mirato a sollecitare il buon viatico per il futuro della politica in Italia. Il tour è stato proficuo, tutti i massimi esponenti delle istituzioni europee hanno dato atto al sobrio bocconiano di avere svolto diligentemente il mandato europeo, (che già aveva pesantemente condizionato l'ultimo periodo dell'era Berlusconi-Tremonti) ponendosi in continuità sostanziale con gli indirizzi di quel governo, senza ereditarne la manifesta impresentabilità morale e istituzionale.
Certo, adesso c'era molto altro da fare. I tempi erano cambiati da quell'autunno del 2011 quando sembrava che le ricette di Bruxelles non avessero alternative. Adesso la recessione erodeva la carne viva di intere popolazioni in tutto il Continente ed era sempre più evidente che l'intero sistema politico ed economico-finanziario non partoriva alcuna idea praticabile per uscire dal tunnel. Le politiche di austerità, il rigore senza equità, i diritti negati e le autonomie concusse ad ogni livello delle strutture statali e delle autonomie locali, ponevano in crisi l'assetto sociale dei singoli Stati e ne scuotevano gli assetti democratici laddove ancora resistevano.
Nel sud del Continente, il più penalizzato dalla crisi, cominciavano ad emergere forze organizzate in opposizione ai diktat dell'Unione, forze che negavano la necessità di salvare il sistema a discapito del benessere e della vita stessa dei cittadini. Bisognava quindi intervenire prima che il temporale si trasformasse in uragano. La Grecia, un Paese relativamente piccolo e non determinante negli equilibri della politica europea, era il territorio ideale per sperimentare e collaudare le misure che si sarebbero poi estese in tutto il Continente.

L'indebita e spregiudicata ingerenza dell'Unione Europea

Si giustifica così la relativa elasticità delle misure che, di volta in volta, saranno prese a carico del governo ellenico: oggi si nega un prestito che domani invece si concede; si allunga o si accorcia il termine per il pareggio di bilancio; si nega e poi si eroga un contributo per evitare il fallimento delle banche.
Dove, invece, si interviene col piede teso è nel salvaguardare la persistenza di un governo centrale amico, che non metta in discussione la logica ed i contenuti delle pesantissime misure imposte al popolo ellenico.
Così si spiega l'indebita e spregiudicata ingerenza dell'Unione e di tutti gli apparati palesi e occulti a lei riconducibili, fuori e dentro gli ambiti nazionali, per determinare l'esito delle elezioni dello scorso maggio. Il partito dell'attuale presidente, condizionato dalle pressioni della trojka e sostenuto da una campagna dominata dalle tensioni e dalla paura, è riuscito a prevalere, ma tallonato da un raggruppamento di progressisti che, con il 27%, ha sfiorato la maggioranza relativa.
Nata agli inizi dell'anno in corso, Syriza (questo è il nome che si è data) è una coalizione di 13 formazioni politiche del versante di sinistra, accomunate dalla decisa opposizione alle politiche di macelleria sociale attuate dal governo dell'Unione. Il suo leader, il giovane Alexis Tsipras, rilancia una politica fiscale che penalizzi le grandi ricchezze, tassi le transazioni finanziarie, combatta la dilagante corruzione e attui una moratoria sul pareggio del bilancio pubblico con la sospensione del debito sino ad un rapporto sostenibile con la produzione di ricchezza reale.
L'agenda di Syriza è solo la più esplicita elencazione di provvedimenti che molte altre forze politiche in tutti i Paesi dell'Unione ritengono urgenti per porre un argine al crollo dell'economia reale registrabile con dati di inconfutabile gravità. È vero: la recessione investe tutto il mondo occidentale. Il debito pubblico – se si fa eccezione per i Paesi del nord Europa che godono di condizioni geodemografiche incomparabili ed una tradizione consolidata di welfare virtuoso – è un peso spesso insopportabile per le aspettative di una crescita della ricchezza reale, non drogata dalle evoluzioni della finanza speculativa. Ma la strada scelta dalla istituzioni europee per abbattere questa gigantesca muraglia che preclude le prospettive di un futuro meno precario del presente, non è mirata a soccorere le popolazioni in grave disagio, ma a sostenere l'apparato finanziario che ha provocato il disastro. Così si buttano sul lastrico le famiglie, si tagliano le risorse per i servizi essenziali, si precarizza il lavoro, si riducono i diritti dei cittadini e la sfera delle autonomie locali, tutto per riempire di soldi il sistema bancario, minato da attività speculative e indisponibile ad offrire sostegno all'apparato produttivo ed ai nuclei familiari in difficoltà.
Contro questa profonda insensibilità verso la sofferenza diffusa, cominciano a insorgere, dovunque in Europa, nuclei di resistenza sempre più consistenti.
Della Grecia abbiamo già detto, ma il malessere sembra diffondersi in Spagna, in Irlanda, in Portogallo e persino nella Francia felice e nella ricca Germania. Ancora, comunque, nulla di sconvolgente per i Palazzi di Bruxelles e Francoforte. Ma se la pandemia dovesse estendersi all'Italia le cose cambierebbero e non di poco.
L'Italia è nello stesso tempo un pilastro e un fronte esposto sul versante geopolitico della difesa della moneta unica e dell'eurozona nel suo complesso. Fragile politicamente, con una struttura industriale che perde pezzi ogni giorno, è, dal punto di vista strategico, insostituibile per la difesa degli assetti economici e politici, non solo del Vecchio Continente, ma dell'intero Occidente. Non a caso il Fmi e la stessa amministrazione statunitense ci stanno con gli occhi addosso. Basta, infatti, sfogliare un comune atlante per capire come un semplice raffreddore che insorgesse tra le Alpi e la Sicilia potrebbe evolvere in polmonite in un' area molto più vasta.
Con la Spagna e la Francia – ma molto più incisivamente di loro – siamo interlocutori naturali con i Paesi africani che si affacciano sul Mediterraneo; ad est, un piccolo tratto di mare ci separa da un Medioriente in rapida evoluzione e fondamentale per gli equilibri in estremo Oriente. Se, per avvicendamenti politici indesiderati, il fronte occidentale dovesse perdere il controllo completo di quella gigantesca portaerei naturale che è la Penisola italica, l'intero sistema di difesa/offesa posto in essere per far fronte a qualsiasi evenienza bellica potrebbe essere fortemente indebolito. Ricordiamoci che molti sono nel nostro Paese i siti di istallazioni militari a portata strategica che godono del diritto di extraterritorialità, non si sa bene a quale titolo se nella nostra Costituzione è esplicito il ripudio della guerra.



Neanche Gesù Cristo fu così arrogante...

In questo quadro, la missione che è stata affidata dai vertici europei a Mario Monti è quella di sparigliare le carte in quel gioco elettorale che potrebbe portare Bersani alla presidenza del consiglio in Italia. C'è la preoccupazione che le tensioni in atto nei Paesi più duramente colpiti dalla recessione, come la Grecia e, soprattutto, la Spagna, si saldino con le strategie di stampo socialdemocratico già prevalenti in Francia e, prevedibilmente, prossime ad affermarsi qui da noi se dalle urne dovesse sortire il PD, partito di maggioranza relativa. Il dato inequivocabile che emerge nell'attuale situazione è che la politica del rigore, dei pareggi di bilancio, della drastica riduzione delle risorse da destinare ai servizi per i cittadini e della ulteriore precarizzazione del lavoro non ha alternative se si vuole salvare, con il sistema finanziario esistente, anche le logiche di controllo sociale e politico-repressivo dell'area.
Qualsiasi digressione dal disegno complessivo creerebbe brecce che sarebbe poi difficile per il sistema rattoppare. Per questo si son fatte le carte false per salvare dal fallimento la Grecia o si continua a elargire cifre incredibili per ricapitalizzare banche decotte. Quindi, per sopravvivere, il sistema si blinda e sguinzaglia i suoi uomini per presidiare le posizioni più esposte.
Monti, appunto, è uno dei personaggi di punta chiamato a scongiurare in Italia una possibile deriva eversiva rispetto al percorso obbligato intrapreso dai vertici della Comunità europea. Il bilancio del suo mandato di Presidente del Consiglio, esposto da Monti il 23 dicembre scorso di fronte ai suoi ministri e alle più alte cariche dello Stato, con la sua irritualità, lasciava trasparire chiaramente il suo essere portatore di un messaggio compilato altrove. Intanto l'inopportunità istituzionale di cogliere l'occasione di un doveroso redde rationem delle cose fatte dal suo governo e di quelle mancate, per lanciare una sua candidatura alla testa di uno schieramento che competerà nelle prossime elezioni. Poi la volgarità oggettiva, in quella sede, di tranciare giudizi sferzanti sui suoi futuri avversari. Infine quel richiamare a sé il popolo di quanti si riconoscono in una agenda arrogantemente compilata su suggerimenti dei suoi ispiratori bruxelliani e con l'inchiostro dell'onnipresente Pietro Ichino. Neanche Gesù Cristo fu così arrogante con i dodici apostoli.
Avrete capito che a me Monti non piace, non mi piace come uomo, prima che come politico. Non è solo freddo nei confronti delle sofferenze altrui: è indifferente. Crede che la missione di cui si sente investito travalichi i più elementari sentimenti umani. Sorride soltanto quando esercita la sua ironia a danno dei suoi simili. E questo è un bruttissimo segno, e richiama stagioni buie.

Antonio Cardella