rivista anarchica
anno 43 n. 377
febbraio 2013


società

Crescita della coprocrazia

di Angelo Tirrito


Niente pensioni, niente sanità, niente scuola, niente contratti collettivi di lavoro, niente casa, niente risparmi ecc. E, infine, niente manifestazioni contro. Viaggio dentro i disegni del Potere.


Una delle cose che reputo più odiose è affrontare un tema premettendo un qualche ragionamento di taglio generale, se si vuole, una definizione. Ma poiché il tema che tratterò è “la crisi“, non posso esimermi dal far notare a coloro che accettano di definire il momento attuale come un momento di crisi e soprattutto a quanti scrivono e leggono questa rivista che il termine crisi è inaccettabile perché improprio, falso, deviante e tendenzioso.
Infatti “crisi“ presuppone che, da una situazione che viene valutata se non ottima almeno buona, si sia passati ad una situazione peggiore dalla durata imprecisata, ma dalla quale ci si possa “riprendere“, termine che prefigura un ritorno, se non uguale, almeno vicino al tanto amato passato.
Ed ecco il punto. Dobbiamo accettare di definire “crisi“ quella attuale? Dovremmo batterci, dalle pagine di questa rivista e fuori per la “ripresa“ al fine di tornare al passato?
Ma quando mai chi si riconosce (più o meno) nelle idee portate avanti da “A“ ha mai immaginato un passato o un trapassato degno di essere riproposto non solo a se stessi ma, addirittura, ad ogni vivente persona, animale o pianta che sia?
Ma ecco un altro punto sul quale desidererei che si ponesse la massima attenzione: perché si possa desiderare di tornare ad un qualunque passato; perché, per restare solo al nostro paese, quelli del Pd, del Pdl, della Udc, del Cinque Stelle, dei sindacati tutti possano indurre la maggioranza dei cittadini (il 90% fatto salvo il noto e ricco 10%) a fare sacrifici, occorre che alcuni significativi diritti che quel 90% aveva conquistato fossero stati se non migliorati, almeno mantenuti.
Ma che sta succedendo? Mi è già capitato di scriverlo ma voglio ancora ripeterlo: al potere interessano moderatamente i soldi dei lavoratori o dei cittadini, i soldi li hanno già, invece gli interessano e molto i diritti. Niente pensioni, niente sanità, niente scuola, niente contratti collettivi di lavoro, niente casa, niente risparmi (che possono consentire maggiori tempi di resistenza) ecc. E, infine, niente manifestazioni contro.

Manifestazioni studentesche a Roma
(foto da http://livesicilia.it/)

Dietro lamaggiore mobilità”

Ma allora? Allora forse questa non è affatto una crisi. Da qui non si riprende alcunché, da qui – e i più illuminati governanti, giornalisti, professori, intellettuali lo dicono e ce lo ripetono continuamente – si deve puntare alla crescita.
Che termine meraviglioso è questo “crescita”! Sembra che voglia dire quello che, quasi naturalmente, noi desideriamo per noi. Poi passa il tempo e ci rendiamo conto che voleva dire quello che loro volevano per loro.
Lo abbiamo dimenticato che sin da bambini abbiamo imparato a diffidarne? Ci siamo scordati che quando “un grande” voleva farci ingoiare una idea, un fatto, una ingiustizia, sempre una qualunque cosa che noi si giudicava esecrabile, ci veniva detto: devi crescere! Cresci ragazzo mio e capirai!
E supponiamo pure che i loro indici, pil, disoccupazione, riduzione delle tasse, riduzione spread, ecc., dati economici rilevati, valutati ed interpretati dal potere, indichino una crescita: in che spazi sociali questa crescita troverà i lavoratori, anzi i cittadini?

Primo Maggio 2012, manifestazioni contro la crisi
in tutta Italia per la festa del lavoratori
(dal sito
http://photofinish.blogosfere.it)

Ecco come si svilupperà la crescita

Maggiore mobilità. Che non è solo la possibilità di licenziare chi, come e quando si vuole, ma anche obbligo di spostarsi cioè abbandonare i valori rappresentati dalle proprie radici, dal proprio paese, dai parenti, dagli amici, dal lavoro che si è fatto fino ad allora e al quale ci hanno imposto di prepararci lungo gli anni di scuola e di università. Mobilità vuol dire abbandonare i figli, spostarsi in un ambiente totalmente diverso in cui non sei nessuno e dove non è escluso che coloro con i quali inizierai nuovi rapporti non parlino la tua lingua e che ti vedano addirittura come un invasore.
E se per lavoro ti sei spostato, ma nel tuo paese d'origine possiedi una casa, una casa magari sulla quale stai pagando il mutuo, su questa dovrai pagare l'Imu come seconda casa. Ma come si può accettare che definiscano la tua prima ed unica casa come seconda casa? Dicono: quella casa te l'affitti e con l'affitto paghi la casa nel nuovo posto dove lavori e magari ti restano soldi per pagare l'Imu. Ma quando si lascia un posto perché manca il lavoro per un altro dove forse si può lavorare, gli affitti in questo nuovo posto saranno molto più alti, mentre la casa che lasci, spesso, non la puoi affittare, per via della desolazione economica nella quale è immersa.
Se si lascia Palermo per Milano, vogliamo farli due conti? Chi paga il prezzo di questa tanto decantata mobilità? Non si potrà nemmeno ritornare a casa per alcuni giorni per rivedere i propri cari e per star loro vicino in momenti pesanti della vita.
Inoltre, ovunque, niente diritti sul lavoro, niente diritti sulla salute, niente scuola, niente contratti collettivi di lavoro ecc.
Ecco come si svilupperà e cosa significherà la crescita.
Tra poco, molti italiani si recheranno speranzosi alle urne trascinati, sono certo, da questa parola “crescita” che tutti ripeteranno e prometteranno.
Io, per quanto mi riguarda, vorrei vedere, per una volta nella mia lunga vita, questi miei concittadini elettori indotti a votare non da parole prive di significato o sulla base di “un contratto” di berlusconiana memoria, ma almeno su testi di leggi già scritte e sottoscritte da coloro che chiedono il voto con l'impegno che, se eletti, saranno promulgate immediatamente, pena la validità della loro stessa elezione.
Visto che tutti credono nella democrazia (i presenti sono, come sempre, esclusi) questo è il minimo che dovrebbero chiedere. Invece credo che l'unica cosa che otterranno è, elezione per elezione, la crescita della “coprocrazia”. Che, in una società, è il dominio degli elementi più vili e spregevoli. (Grande dizionario della lingua italiana).

Angelo Tirrito