rivista anarchica
anno 43 n. 378
marzo 2013


politica

La “non partecipazione” istituzionale

di Andrea Papi


I veri cambiamenti che la gente si aspetta per migliorare le proprie condizioni di vita hanno poco o niente a che fare con le elezioni. Come sempre.


Quando uscirà questo articolo le elezioni si saranno già svolte e se ne conosceranno i risultati. Ma è facile profezia sostenere che non porteranno a cambiamenti sostanziali, mentre i rituali d'insediamento, consunti e logori, si svolgeranno con più o meno ostentato entusiasmo da parte dei protagonisti del momento. In sostanza nulla di nuovo sotto il sole, ma anche sotto la luna e le altre stelle. Più lor signori, coi loro ciarlieri codazzi di comprimari e cicisbei, si affannano a parlare di “cambiamenti”, come in questa campagna elettorale, e più le cose del politicantismo in auge rimangono saldamente piazzate nei loro supercorazzati alvei di sempre.
Al momento in cui scrivo la campagna di voto impazza. I potenziali “clienti” elettori, concepiti gaberianamente come fossero “polli d'allevamento”, sono sistematicamente presi d'assalto dall'imbonimento mediatico, bombardati con spot, talk-show, “notizie shock”, annunci a sorpresa dei vari “piazzisti del seggio”, duelli televisivi poco cavallereschi, tutti gli “specchietti per le allodole” insomma che la creatività più o meno prolifica dei vari contendenti/propagandisti riesce a mettere sul tappeto. Idee poche, quasi nessuna, programmi facilmente iperbolici raramente comprensibili e moltissime promesse, favorite dalla crisi in atto che ha aumentato la necessità di soddisfare i bisogni. La lotta è tra chi ha maggiori capacità di apparire convincente. Che importanza può avere in un tale bailamme se ciò che dicono ora corrisponderà poi a ciò che saranno in grado di fare? Una volta finita la baldoria tanta logorroica loquacità reclamizzante sarà dimenticata nel giro di poco tempo, tutti presi come saremo dai problemi di sempre, più da quelli che verranno. Tanto poltrone e posti saranno già stati assegnati e distribuiti nello scacchiere istituzionale.
Ciò che voglio dire è che dovremmo essere sufficientemente disincantati da aver ormai capito che dal sistema/metodo elettorale, proprio per come è strutturato e concepito, non ci si può aspettare nulla di meglio di quello che già c'è. Se, nonostante decenni di esperienza consolidata, qualcuno continua a credere che un eventuale cambiamento auspicato possa passare attraverso le elezioni, ci penserà poi l'andamento delle cose a disilludere i troppi ostinati illusi. Non è difficile prevedere che le novelle speranze saranno infrante, un'altra volta come tutte le precedenti. Ce lo suggerisce la stessa impostazione strutturale se guardata nella sostanza delle sue sfaccettature.



Nessun potere di controllo

È falso, per esempio, che il voto elettorale corrisponda a un'effettiva partecipazione dal basso, come invece viene continuamente decantato da chi ne ha bisogno per procacciarsi consenso. Ci sarebbe partecipazione vera se in qualche modo fosse uno strumento, anche minimo, per partecipare alle decisioni che ci riguardano direttamente prese dai politicanti. Col voto gli elettori possono solo delegare il potere decisionale all'oligarchia eletta, la quale agirà al nostro posto e sulle nostre teste, mentre attraverso una conta di maggioranza non si fa altro che stabilire chi potrà governare, in definitiva chi comanderà. Col suffragio elettorale si eleggono i capi che hanno il potere d'imporre le leggi cui tutti, elettori o no, dobbiamo sottostare.
L'assenza concreta di partecipazione è dimostrata in modo lampante dal fatto che chi vota sarà poi del tutto escluso anche da ogni possibilità di controllo sulle decisioni che verranno prese e sulla loro applicazione. Secondo costituzione e per legge l'elettore si deve limitare ad esprimere le sue preferenze, demandando a coloro che sceglie, se saranno parte della maggioranza, il potere in bianco di decidere per tutti gli altri, mentre gli eletti non devono avere alcun mandato vincolante potendo decidere a propria discrezione, tanto è vero che si divertono a promettere senza poi mantenere gli impegni. Non dovendo avere un mandato, per legge non sono tenuti a rispettare le promesse che fanno spinti dalla sola intenzione di convincere per estorcere consenso.
Questo meccanismo elettorale, proprio per come è concepito, fa comprendere che nella realtà delle cose gli eletti in parlamento sono rappresentanti solo di nome. Per rappresentare veramente dovrebbero essere incaricati sia di dire sia di fare ciò che pensano e decidono gli elettori che li delegano. Non può essere rappresentanza vera quella che si fonda sul presupposto di votare sulla fiducia nella speranza che i prescelti siano brave persone, senza poi neanche avere la minima possibilità d'intervenire mentre svolgono il “mandato”. Così di fatto si eleggono dei capi, che decideranno senza né consultare né tener conto del punto di vista e della volontà di base. Il re comandava legittimato da dio, i governi della “non-democrazia parlamentare” attuale comandano col consenso dei cittadini, ridotti ahimé a sudditi. Eppure quando nel medioevo si concepì la rappresentanza politica fu pensata, giustamente, come delega con mandato vincolante.
Come si sa, le democrazie parlamentari fondano il loro mandato sul principio di maggioranza, in base al quale nell'assunzione di una decisione da parte di un gruppo prevale l'opzione che ha raccolto la maggioranza di consensi. È il punto più controverso e particolarmente opinabile. Maggioranza è il 50 per cento più uno. Siccome però è difficile raggiungerla hanno inventato la maggioranza relativa, cioè chi ha più voti anche se non raggiunge il fatidico 51 per cento. Guardiamo per esempio l'assegnazione delle percentuali di voto, attribuite considerando solo i voti che si sono espressi. La percentuale ufficializzata non corrisponde affatto a quella reale. Se, per esempio, fra astensioni schede nulle e bianche di fatto un buon 40 per cento non ha votato, la percentuale attribuita si riferisce solo al 60 per cento che ha espresso il proprio voto. Così il 30 per cento ufficiale nella realtà corrisponde invece ad un 17 per cento circa. In nome della maggioranza, viene assegnato a una vera minoranza il compito e la responsabilità di decidere per tutti, anche di chi non vorrebbe. Dov'è la rappresentanza? Dov'è il rispetto della volontà popolare, considerata unica sovrana secondo costituzione?
In verità è una vera e propria truffa. La tecnologia/meccanismo istituzionale, legittimata dalle loro leggi, serve solo per giustificare un'assegnazione di potere, lontana dalla gente e impostata per escludere l'insieme dei cittadini dai livelli elitari della politica, mentre viene presentata come espressione della volontà popolare. Ma dopo decenni di pratica di gestione del potere partitocratrico la sfiducia sull'operato degli eletti ha raggiunto livelli elevati, proprio perché è apparso con grande e sistematica evidenza come non serva in alcun modo ad esprimere una volontà generale dal basso, come invece vorrebbe l'originario principio democratico. Come ho mostrato più sopra, sono proprio le modalità strutturali applicative l'elemento principe che serve a concretizzare il distacco totale tra gli eletti e gli elettori. Il popolo da una parte e dall'altra i suoi governanti e i suoi dirigenti politici. Sembra studiato appositamente per conservare l'esistente e non permettere cambiamenti reali nell'andamento generale.
Chiunque scenda nell'arena della politica istituzionale e si presenti per partecipare, al di là delle migliori intenzioni, deve essere consapevole che si va ad invischiare in meccanismi e intrecci in mezzo ai quali riuscirà a districarsi con grande difficoltà, trovandosi facilmente impossibilitato a realizzare ciò che ha in animo. I dispositivi procedurali del potere legislativo ed esecutivo, perché è di questo che stiamo parlando, sono luogo di gestione del potere, di voluto esercizio del comando politico, non momenti di confronto ed espressione delle volontà dei cittadini. Sono pensati per mantenere ed esercitare l'egemonia del comando, non per perderla. Chiunque vi è ammesso e vi ha adito si trova coinvolto in un gioco cui non può né riesce a sottrarsi, cui non può non sottostare.

Ventate di freschezza?

È perciò impossibile che da un tale luogo possano prendere forma i veri cambiamenti che la gente si aspetta per migliorare le proprie condizioni di vita
Per gli stessi motivi risulteranno illusorie anche le istanze di coloro che si presentano ammantati di un'aura nuova, vantando e propagandando, purtroppo con troppa autoreferenzialità, metodologie innovative, se non addirittura rivoluzionarie. Quasi ad ogni elezione si presentano formazioni nuove che si propongono di portare un'aria innovativa, convinte di riuscire a trascinare il parlamento e le istituzioni esistenti in un vortice rigenerante, in grado di apportare quei cambiamenti strutturali ritenuti indispensabili per dare un'impronta modernizzatrice e per ridare forza e fiato alla società intera. Per quanto animate dalle migliori intenzioni, una volta entrate nel gorgo della pratica parlamentare ordinaria, le forze potenzialmente innovative vengono sistematicamente risucchiate e normalizzate dalla forza annichilente della gestione istituzionale del potere. È storia!
Anche questa elezione del 2013 non fa eccezione. Sono più d'una le nuove liste, sia a destra che a sinistra che al centro, tre poli che in Italia non sono mai tramontati a dispetto dell'artificioso bipolarismo con cui ci hanno afflitto nell'ultimo quasi ventennio. Una vivacità attivistica irruente, a dimostrazione del sommovimento che sta mettendo in subbuglio la politica istituzionale, sempre più in crisi e sempre più incapace di dare risposte soddisfacenti ai problemi sociali che essa stessa contribuisce a sollevare. Ma mentre a destra e al centro, in verità con molte differenze di forma e ben poche di senso, il tema che sembra agitare vecchi e nuovi gira attorno alla ormai esausta lagna del “buon governo”, a sinistra sembrano tutti appassionati a rispolverare, con riverniciature più o meno autentiche e credibili, classiche tematiche del libertarismo come la partecipazione democratica diretta e il controllo dal basso, purtroppo inserite in contesti e in strutture che di libertario hanno ben poco, se non quasi nulla.
Nelle tre novità collocabili a sinistra troviamo delle differenze di base che però alla fin fine confluiscono tutte nello stesso troncone della condivisione sociale. “La rivoluzione civile” di Ingroia, erede dell'Idv dipietrista, sembra soprattutto intenzionata a riportare l'onestà nella politica di palazzo, volendo al contempo una giustizia che si realizzi attraverso la partecipazione popolare. Sel di Vendola, messi ormai in secondo piano gli originari laboratori della politica, luoghi di dibattito e di partecipazione sociale che avrebbero voluto coinvolgere le persone nei processi di elaborazione decisionale, sembra ormai tutto spostato verso la politica di coalizione col Pd per diventare forza di governo. Il M5stelle di Grillo, novità assoluta, ha come referente il web e realizza il confronto democratico attraverso gli strumenti della comunicazione informatica, svolgendo dibattiti e assemblee via internet: “minaccia” di voler entrare in parlamento per aprirlo come una scatoletta, per guardarci dentro fino a renderlo del tutto trasparente.
Per noi sono più interessanti delle “novità” di destra e di centro perché si muovono attorno alle tematiche della partecipazione diretta dal basso, anche se, purtroppo, sono tutte e tre presi dal problema di agganciare la partecipazione dal basso ai livelli di potere, lo stesso potere strutturalmente intatto che è responsabile della situazione sociale disastrata che tutti dicono di voler combattere. Un tentativo che ai nostri occhi alla fin fine non può che risultare demagogico ed apparire finto, dal momento che i luoghi deputati a prendere le decisioni che contano sono il parlamento e le strutture del potere tradizionale, non certamente le assemblee popolari o i laboratori di dibattito o la fruizione del web. Al di là della loro attuale volontà, se non vorranno scomparire nei sotterranei del palazzo, una volta diventati onorevoli o senatori anch'essi non potranno che fare politica come ogni politicante che si rispetti.

Andrea Papi