rivista anarchica
anno 43 n. 380
maggio 2013



Sarà una twitter-società

di Paolo Pasi


Il nostro mondo ha le parole contate. Poche centinaia al giorno, e mai tutte in una volta. Del resto ci siamo ispirati a un'antica regola di saggezza. Il silenzio è d'oro, mentre noi ci eravamo ridotti a uno stato di logorroico impoverimento. Così ci siamo inventati lo strumento giusto per contenere le nostre dispersioni verbali. La nostra bulimia dialettica. L'esondazione del chiacchiericcio che ha annegato le possibilità espressive.
Ma mi sto dilungando. Vengo al dunque.
Abbiamo inventato il conta-parole. Ce lo leghiamo al polso, accanto all'orologio. Così possiamo misurare la nostra produttività comunicativa per unità di tempo. Il conta-parole è sempre aggiornato su quanto ci resta da dire nel corso della giornata. Procede alla rovescia. Quando arriva allo zero ci obbliga al mutismo fino al giorno successivo, per poi ricaricarsi in automatico. Grazie alla tecnologia abbiamo imparato ad attenerci all'essenziale, e i trasgressori incorrono nella riprovazione sociale, che è poi la sanzione più efficace.
Faccio un esempio. L'uso di due relative nella stessa frase è indice di mentalità contorta e involuta, e definisce il superamento della prima soglia di attenzione. Andare oltre, magari con una terza relativa, fa del soggetto un potenziale fuorilegge. Dunque non imbastite mai discorsi articolati in pubblico. L'ostentazione verbale non è più possibile. L'epoca degli sprechi è finita. Sobrietà. Risparmio. Lotta al superfluo e allo stile colloquiale dissoluto.
Per i renitenti ci sono corsi di rieducazione e sostegno, a pagamento s'intende: Teoria e tecnica dell'ottimizzazione verbale oppure Economia vocale per la gestione efficiente delle relazioni sociali.
I risultati si vedono, e soprattutto si sentono. Abbiamo eliminato le artificiose frasi di cortesia, le inutili ripetizioni, i buongiorno e i buonasera buttati lì distrattamente. Adesso la gente cammina per strada e si saluta con un gesto e un mezzo grugnito che equivale a una sola parola. I più preferiscono non salutarsi affatto e tenersi stretta quella parola risparmiata che potrebbe rivelarsi provvidenziale nel corso della giornata.
Lo sa bene quel vecchio trombone, noto accademico e critico letterario, che nel corso di un convegno esordì con la peggiore premessa, «Sarò breve», ma poi rimase ammutolito di fronte alla platea interdetta. Era rimasto a secco. Il suo conta-parole segnava zero. Lo portarono via che si guardava inebetito le mani, come se queste potessero rivelare il trucco che lo stava disonorando. In realtà venne fuori che il trombone aveva provato e riprovato il suo discorso davanti a uno specchio. A voce alta. Ecco a quali errori miserabili può portare l'insicurezza mascherata da perfezionismo.
Noi, che perfezionisti non siamo, ci esprimiamo ormai con frasi tronche.
«Cosa capodanno?»
«Non deciso casa forse»
«Domani chiamo...»
L'ora convenuta, spesso, viene comunicata con le dita. Fanno sempre tre parole in meno. Ma c'è di più. Ormai governiamo le nostre esistenze all'insegna della parsimonia onomatopeica. Nel corso di una lite reagiamo con versi e linguacce invece di ricorrere ad articolate varianti del vaffanculo come facevamo un tempo.
Abbiamo affinato le risorse espressive della mimica facciale e gestuale. E laddove i gesti non arrivano, possiamo sempre contare sulle nostre piccole lavagne luminose per provvedere al necessario senza aprire bocca: consultare, comunicare, fare la spesa, prendere posizione, sottoscrivere, dire la nostra e abbandonarci al pettegolezzo. Perché fare quattro chiacchiere con il nostro vicino quando possiamo raggiungerlo con un semplice tasto di invio?
Tutto si collega e tutto si spiega, insomma. Alla sera, quando il conta-parole è in riserva e gli argomenti di casa agli sgoccioli, ci rituffiamo nel mare della navigazione virtuale e diamo fondo agli arretrati del giorno. Lanciamo silenziosi le nostre parole mancate e speriamo che restino impigliate nella rete affinché qualcuno le raccolga come il messaggio in bottiglia di un naufrago. Ciascun messaggio non può superare i 150 caratteri. Un altro limite, direte voi. Ma le bottiglie sono tante. E con i tempi che corrono, credetemi, è tutto grasso che cola. Soprattutto per la pubblicità.

Paolo Pasi