rivista anarchica
anno 43 n. 380
maggio 2013


chiesa

Pope-corner

di Francesca Palazzi Arduini


Un Papa della povertà... eletto in tempi sospetti.


“Come tu mi vuoi”, recita l'adagio letterario, e mai come oggi la Chiesa cattolica vorrà rendersi capace di assecondare gli umori popolari in clima di recessione, austerity, catastrofismo dilagante e scandali finanziari.
Sul fronte laico, l'elezione di questo nuovo Papa ha rivelato due tipi interpretativi contrapposti: da un lato coloro che, come Massimo Cacciari, sempre pronti a stimare la scoperta dell'acqua calda, se fatta da un religioso, come valevole il doppio in originalità e coraggio, non vedevano l'ora di un Papa 'popular'. Il filosofo, vivendo l'ansia di rinnovamento della Chiesa quasi ne facesse parte come il migliore dei chierici, ha addirittura imbroccato la previsione del nuovo nome papale, cosa che dimostra la grande sensibilità curiale per le sollecitazioni utili alla propaganda.
Dall'altro, coloro che, con spirito anticlericale da rotocalco, si sono occupati sin da subito, seppure l'eletto non rientrasse nemmeno nella rosa dei preferiti, di indagare sulle sue magagne con dovizia, per bruciarne l'aureola più in fretta che si può.
Certo è che nessun papa, anche se francescano (e nella storia ce ne sono stati ben quattro), aveva osato riprendere il nome del santo patrono nazionale e solo ora che la caduta del dogma dell'infallibilità papale è evidente con le dimissioni di Ratzinger, chissà, magari nulle perché forzate da chissà quale ricatto1, la povertà francescana viene riproposta dal conclave come chiave di lettura di un pontificato nuovo.
Eppure la scelta di questo cardinale argentino, Bergoglio, capace di rimanere in sella durante la dittatura nel suo paese senza esporsi troppo (semmai facendo esporre gli altri), e di presentarsi con austerità e modestia, non deve trarre in inganno sullo svolgimento degli equilibri politici all'interno del Vaticano: lo spirito santo non ha fatto miracoli rivoluzionari al conclave, ma solo la media aritmetica. Il ruolo dello “Spirito” è stato come sempre surclassato, anche nel passaggio da un Papa a un (due) “Vescovi di Roma”: non si tratta di esigenza spirituale ma di urgenza amministrativa. Un'urgenza che anche in questo caso batte ogni richiesta “dal basso”, o da parte degli intellettuali del regno, che dai tempi del Concilio vaticano II chiedono più ecumenismo e un po' meno monarchia.
Già dalle dimissioni di Ratzinger, niente affatto preparate mediaticamente, era chiaro che lo spacco tra potere temporale e autorità spirituale nella Chiesa era ormai insanabile. L'elezione subitanea, poco prima della scomparsa dal soglio, del nuovo presidente dello Ior, poi il dossier corposo presentato a Bergoglio nell'incontro tra papi, pardon, “vescovi”, del 23 marzo, segnala come evidente che l'intenzione di Benedetto XVI era quella di uscire, forzatamente sì, ma con un colpo di coda tutto incentrato sulla gestione del potere finanziario.
Il conclave ha preso semplicemente atto che non si poteva più eleggere persona troppo ammanicata con la Curia romana e che anzi, per evitare altri contrasti occorreva dare un segnale: chi troppo poteva doveva essere costretto a mediare con gli altri poteri. Non è un caso che la lotta tra Opus dei, molto legato anche agli ambienti del potere laico romano, e i finanziatori americani dell'Ordine dei cavalieri di Colombo (che gestiscono un fondo finanziario da 17 miliardi di dollari!) sia non solo una chiave di lettura dello scandalo Vatileaks e della recente successione di incarichi allo Ior e all'istituto vaticano di vigilanza, l'Aif; l'elezione di un cardinale che era stato in precedenza indicato come probabile successore di Wojtyla, poi non più nominato tra i papabili, segnala come la stampa e i vaticanisti di punta stessi siano distratti nelle loro analisi dalle sollecitazioni dai vari gruppi di pressione e che questo papa, Papa Mario, sarà un Papa tecnico, addetto a riandare in attivo e a contrattare il potere delle lobby evitando se possibile altre cadute di stile.
Il cambiamento di registro è evidente e vuole consentire a questo papato un riequilibrio degli interessi, per il quale il segnale verrà dato dalla elezione del nuovo Segretario di Stato (o più segretari?) che al momento non conosciamo.
Insomma, le due croci, quella argentata che rappresenta il potere temporale, e quella dorata del potere spirituale, non sono “decussate” nello stemma papale in modo che la dorata sovrasti l'argentata. E la pretesa da sempre propria al papato, di essere fonte di ispirazione e guida morale anche per lo Stato laico, appare decaduta proprio a partire dal governo della Chiesa.

A ciascuno la sua croce

I gesti di vicinanza alla popolazione, le dichiarazioni di amore per la povertà, le aperture più o meno ecumeniche (da subito l'Islam, la chiesa ortodossa, una strizzata d'occhio ai non credenti con la benedizione “silenziosa” durante la conferenza per la stampa), faranno sì che la pesantissima coltre di diffidenza popolare verso il clero si dissipi lievemente. Ma cosa ne sarà comunque del potere “spirituale” con questo papato? Poco tempo fa riflettevamo su di una “Chiesa pietrificata”, cioè monarchica e depurata dal dissenso e dalla facoltà di ascoltare, erano i giorni dell'estremo golpe mediatico, la beatificazione di Karol Wojtyla; il pontificato di Ratzinger, l'intellettuale, “la guida spirituale integerrima”, ha rivelato l'incapacità di comunicare e dire qualcosa di efficace, finendo col suo esilio a scrivere il suo libro su Gesù e con una enciclica incompiuta sul groppone.
Nel mondo del cattolicesimo tradizionalista, che ha sempre guardato a Ratzinger con simpatia, si protesta perché “il papa si arrende alla desacralizzazione”, questa è una interpretazione realistica dei fatti, quella di una “resa”; nel mondo cattolico si assiste ad un disorientamento che difficilmente guarirà, perché uno dei canoni del cattolicesimo, quello del “ciascuno porti la sua croce”, è stato contraddetto. Le dimissioni sono state proprio per questo male interpretate, come grande gesto di rinnovamento “spirituale”, un gesto che invece ha minato profondamente a livello simbolico proprio uno dei dogmi fondativi, l'ispirazione divina del 'pastore' che mai abbandona le sue greggi. E gli effetti della castrazione simbolica si faranno sentire, il pericolo di scisma sarà il primo pericolo e non per niente Bergoglio inizia col dare rassicurazioni sulle sue intenzioni “al dialogo”, l'insicurezza è il veleno di chi si predica come guida. Insomma caduto un dogma, caduti tutti, cade il ruolo stesso dell'istituzione Chiesa in quanto organismo gerarchico, la crisi morale come crisi anche dei dogmi costringerà questo nuovo papa a molte parafrasi e balletti. Da un lato il suo invito al dialogo, dall'altro il suo “chi non prega dio, prega il diavolo”.
Ma se la Chiesa è una realtà totalmente temporale, nella quale ogni corrente interpreta la “mission” a suo modo, l'unico commento pre-conclave degno di nota è quello dell'Economist, il quale con un editoriale titolava “Un manager in Vaticano”, dando alcuni consigli non richiesti ma estremamente pertinenti: la multinazionale più antica del mondo ha bisogno di un amministratore delegato che sappia ripensare la mission centrale e il portafoglio clienti, dovrà gestire meglio il rapporto coi dipendenti e il “ricollocamento produttivo” dei lavoratori pedofili o truffatori, la reputazione è l' “asset” più prezioso per l'azienda! Una campagna di pubbliche relazioni che spieghi ai clienti cosa si sta facendo per rimediare ai disservizi è opportuna, la Chiesa inoltre dovrebbe secondo l'Economist, disfarsi della sua banca interna, lo Ior, che gli crea troppi problemi, e fare come Ibm o Ford, che hanno appaltato le attività finanziarie secondarie. Parlando poi di mercati, è opportuno che la Chiesa punti non più sull'Europa, che perde fedeli (dal 65 per cento di cattolici nel 1910 all'attuale 24 per cento, con un indice di secolarizzazione sempre più alto, come calcola l'Osservatorio laico sostenuto da Critica liberale e Cgil Nuovi diritti2), ma al sud del mondo.
E qui l'Economist batte tutti in quanto a preveggenza, scommettendo sull'America latina come mercato su cui investire: “L'affermazione delle chiese pentecostali ha fatto scendere la sua quota di mercato dal 90 per cento del 1910 al 72 per cento di oggi”, il Sudamerica è quindi un obiettivo ghiotto e può consentire nuovi spiragli di attività per questa azienda il cui scopo principale deve tornare ad essere, oggi più che mai, la gestione del rapporto tra sfruttatori e sfruttati, tra ricchi e poveri.

“Governi tecnici”

Riassumendo, la riorganizzazione del sistema di potere ai vertici della Chiesa cattolica, a più voci invocata sin dal Concilio II, basti pensare alle richieste dei “primi cento giorni” di governo ipotizzati già dal 1978 dal team di Dossetti, alle richieste recenti di Noi siamo Chiesa (con 'L'agenda del nuovo Papa'), alle speranze di Enzo Bianchi che vede in questo nuovo “vescovo di Roma” una nuova dimensione umana per il potere papale, non rinnova nulla se non la nomenclatura.
Una riforma della curia romana e la creazione, come segnala il vaticanista Sandro Magister, di un “consiglio della corona”, con cardinali, scelti tra gli stessi che gestiscono i sinodi (i 200 vescovi che ogni due anni si riuniscono a Roma in rappresentanza di tutti i 5000), che con cadenza fissa vengano consultati quasi a formare un abbozzo di monarchia parlamentare, seppure non pubblica e tantomeno trasparente.
In attesa di questi “grandi”, ecumenici, cambiamenti non possiamo che augurarci che le somiglianze tra il mondo politico laico italiano e quello cattolico non siano troppo funeste: sui “governi tecnici” per riparare all'ingordigia di un capitalismo deregolato, papato e parlamento sembrano gemelli, mentre sull'impossibilità di governare il conclave sembra essere più efficiente di Montecitorio… Speriamo che ciò non sia di ispirazione alle nuove figure politiche che, seppure desiderose di una nuova macchina-Stato efficiente, collidono con il concetto di democrazia parlamentare e preferirebbero uno Stato senza partiti, magari con votazioni online simili a sondaggi di opinione e fluttuanti tra disinformazione, eccesso di informazione, alienazione dal confronto col sociale. Chissà che la Chiesa non si adatti alla “democrazia digitale”, che ha comunque i suoi leader maschi ben decisi a non togliersi di mezzo, i suoi moderni patriarchi, i suoi addetti al rimpallo mediatico, basterà far passare per “servitori” di Dio o della causa, come sempre, i proprietari del marchio.
Esaudire i bisogni di senso dei clienti, lo scopo di sempre; creare o annullare bisogni servendosi di una organizzazione di fedelissimi, la strategia vincente, anche per i nuovi politici laici. Un'organizzazione militare come l'Ordine dei gesuiti viene in soccorso del caos vaticano, un Ordine militare come quello dei cavalieri di Malta mette le mani sulla presidenza dello Ior, un ordine austero nei modi come quello francescano riporta tutti al sogno di una banca vaticana come Monte di pietà, per prestiti a basso interesse, del resto proprio inventati e proposti nel XV secolo dai francescani… Certo, con i quasi mille miliardi di patrimonio immobiliare in Italia, e duemila nel mondo, basterebbe poco investimento a questo papa per suscitare scalpore e seguito, con un guadagno in immagine travolgente, e la possibilità quindi di rimarcare l'influenza politica cattolica nel mondo. Come ha scritto Martìn Caparròs: “Qui, come ovunque, il Vaticano è la lobby più potente per la difesa dei valori conservatori, se non addirittura reazionari. Un papa argentino potrebbe portare questo suo potere a livelli senza precedenti.”
E di certo, al di là delle dichiarazioni di rispetto e le aperture simboliche, non possiamo avere rassicurazioni da una Chiesa che comunque, anche nei momenti più difficili, non manca di farci osservare che siamo legati al rispetto di regole stabilite per cui ciò che ci dà, come l'assistenza ai “suoi poveri”, deve essere ricambiato.
Non è un caso che, proprio nel giorno in cui dava la notizia delle dimissioni del papa, l'11 febbraio, l'Osservatore romano in prima pagina riportasse solo un altro articolo, in cui si faceva notare la ricorrenza della data di stipula dei Patti Lateranensi, e che occorre “constatare ancora una volta la funzionalità della soluzione convenuta, la sua rispondenza a tuttora perduranti esigenze, la sua idoneità nel continuare a guidare verso obiettivi condivisi”, un articolo di certo ispirato da Dio.

Francesca Palazzi Arduini

Note
  1. “La rinuncia deve essere libera, perché, secondo il c. 188, la rinuncia a un ufficio per timore grave, ingiustamente incusso, per dolo o per errore sostanziale o con simonia, “ipso iure” è invalida”. – Cessazione dall'ufficio di Romano Pontefice di Gianfranco Ghirlanda, “La Civiltà Cattolica”, n. 3905, 2 marzo 2013.
  2. Nel nuovo rapporto sulla secolarizzazione, l'ottavo, pubblicato da Critica liberale nel numero di novembre-dicembre 2012, osservazioni molto interessanti, come il calo della frequenza delle apparizioni del clero in tg e talk show (forse a causa dell'imbarazzo causato dai tanti scandali)... con contemporaneo provvidenziale aumento della presenza religiosa nella fiction: per un totale di ben 268 puntate “benedette” nel 2011!