rivista anarchica
anno 43 n. 381
giugno 2013




Marzo 1938/
Barcellona martellata

“Iniziare da stanotte azione violenta su Barcellona con martellamento diluito nel tempo”. Questo ordinava il telegramma inviato al generale Velardi il 16 marzo 1938. Di conseguenza: 41 ore di bombardamento a ondate che non lasciavano tregua. Finiva la sirena per un attacco ed era già iniziata quella per l'attacco successivo. La città era stravolta come mai dallo scoppio della guerra civile il 18 luglio 1936.
Barcellona aveva il torto di aver sconfitto il golpe dei generali, tra cui Franco, di aver sostenuto la lotta antifranchista in varie regioni spagnole, di aver sperimentato un modello di produzione e di vita sociale basato sull'autogestione dei lavoratori. Per i golpisti nazionalcattolici Barcellona andava quindi piegata, umiliata, repressa.
Il 18-21 marzo 1938 non ci fu il primo né l'ultimo dei bombardamenti che colpirono la metropoli catalana. Tutto era cominciato già nelle prime settimane del 1937 con le cannonate sparate dalle navi militari fasciste. L'ultimo bombardamento ebbe luogo il 25 gennaio 1939, il giorno prima della caduta della città e dell'avvio di un esodo di massa verso la Francia. Una fuga che coinvolse circa 500.000 persone.
La decisione di martellare Barcellona, presa da Mussolini in persona, si concretizzò, in quella primavera del 1938, nella prima azione bellica dal cielo contro una città europea per fiaccare il morale e la resistenza della popolazione. Era l'inaugurazione della pratica della guerra totale che troverà poco dopo la realizzazione su larga scala nella seconda guerra mondiale. Di ciò fecero le spese soprattutto i civili: prima in Gran Bretagna, poi in altri paesi, tra cui l'Italia, e infine in Germania.
Lo scopo del “duce” era quello di mostrare, a Franco e al mondo intero, che il processo di militarizzazione del popolo italiano aveva fatto degli enormi passi avanti insieme allo sviluppo dell'industria aeronautica e bellica in generale. Di fronte alle proteste internazionali, spesso più formali che sostanziali, il dittatore esibì la propria soddisfazione per il terrore suscitato dagli “italiani aviatori” che aveva preso il posto della compiacenza verso gli “italiani mandolinisti”.
Con i 200 attacchi aerei e l'uso di oltre mille tonnellate di bombe, l'Aviazione Legionaria fascista usò la città catalana come “laboratorio bellico” nel quale mettere alla prova una nuova strategia. Nel complesso si contarono oltre 2.700 morti e 7.000 feriti, soprattutto nei quartieri più popolosi della città, oltre agli enormi danni materiali. In tutta la Catalogna le vittime furono oltre 5.000 registrate nei 137 centri urbani bombardati. Nell'intera Spagna risultarono circa 10.000 decessi causati dagli attacchi aerei, di cui un decimo nelle zone sotto il controllo franchista.
Questi eventi che intaccano, come molti altri, il mito autoassolutorio dell' “italiano brava gente” sono assai poco conosciuti nella storia diffusa nell'Italia repubblicana e democratica. Lo stato e il potere mediatico hanno volutamente steso un velo pietoso su queste prodezze nazionali insieme a quelle compiute in Etiopia prima e in Jugoslavia dopo. Si è verificata una sostanziale continuità, soprattutto nell'apparato militare e statale in generale, fra l'Italia fascista e quella postfascista. Un esempio particolarmente eloquente fu il trattamento di favore riservato alle centinaia di “criminali di guerra”: nessuno fu consegnato ai paesi vittime dell'occupazione italiana, quasi nessuno fu veramente processato, nessuno restò in carcere più di qualche mese o anno. Con tutte le ambiguità del caso, non ci fu alcun processo di Norimberga o qualcosa di simile nella storia italiana.
Per restare nell'ambito dell'aviazione, il generale Moci che aveva partecipato a varie missioni, tra cui quella famosa di Guernica, continuò tranquillamente la propria “professione” e nel 2000 fu addirittura insignito di una medaglia “alla carriera” dal presidente della repubblica Ciampi. Pochi mesi fa è stato eretto, con fondi pubblici, in una cittadina laziale, un mausoleo al maresciallo Graziani noto per i massacri compiuti in Libia e in Etiopia. L'esaltazione nazionalmilitarista continua a farsi sentire di frequente al di là di qualsiasi art. 11 della Costituzione o di parole di circostanza ogni 25 aprile.
La consegna del silenzio fu rispettata da quasi tutti i principali mezzi di informazione, anche nei confronti della mostra sui bombardamenti di Barcellona che vari ispanisti portarono in una decina di città italiane nel 2008. Il terrorismo dello stato italiano fu di fatto cancellato dai centri di disinformazione di massa.
Già allora si manifestò l'attività, intensa e originale, di un gruppo antifascista di giovani, di origine italiana e con diversi orientamenti politici, che vivono nella città catalana da anni e che rifiutano l'immagine di un paese berlusconizzato. Con tenacia AltraMemoria, parte del movimento AltraItalia, è riuscita ha raggiungere un risultato insperato: lo stato italiano è da qualche settimana sotto inchiesta da parte della procura di Barcellona. È iniziata l'istruttoria di un processo che non si sa se ci sarà mai. Al di là del significato e dei risultati giudiziari, verso i quali manteniamo una sana e tradizionale diffidenza, il dato importante riguarda l'attenzione suscitata da questa iniziativa condotta insieme ad alcune vittime barcellonesi dei bombardamenti. L'accusa formulata dagli avvocati di AltraMemoria contro l'Italia è quella di aver compiuto dei “crimini contro l'umanità”, crimini che non sono mai prescritti.
Anche questo può essere il punto di partenza per molti che, in Italia e in Catalogna, ignorano tali eventi sanguinari. La strada verso la presa di coscienza generalizzata e il giudizio etico sulla violenza insita nello stato, italiano o meno, di ieri o di oggi, è ovviamente ancora lunga. Ma, come diceva il poeta spagnolo Antonio Machado, “el camino se hace al andar”.

Per altre informazioni:
www.altramemoria.org

Claudio Venza



Pisa/
Una strada intitolata al fascista Niccolai?

Il Consiglio comunale, con una decisione bipartisan, nella sua ultima riunione prima delle prossime elezioni amministrative di fine maggio, ha votato a maggioranza una mozione per intitolare tre strade a un democristiano (Carlo Ciucci), un comunista (Giuseppe De Felice) e un fascista (Giuseppe Niccolai). Tale decisione cade nel 70° anniversario della caduta del fascismo e dell'inizio della lotta di Liberazione e a pochi giorni dalle commemorazione del 25 aprile (festa della Liberazione)!
Nelle motivazioni di tale delibera si legge che è oggi “importante richiamare come esempi positivi di 'buona politica', utili a imparare, figure che hanno dedicato la vita alla ricerca del bene comune della propria città, in maniera appassionata e disinteressata”. I tre personaggi, in realtà molto diversi tra loro, come indicato nel testo della mozione, sono stati soprattutto “uomini di partito”, che coerentemente con le loro idee hanno dedicato la loro vita alla propaganda ideologica. La decisione, dunque, presa dalla maggioranza del centro sinistra con l'accordo del centro destra di dedicare a loro delle strade sembra essere in realtà più un provvedimento autoreferenziale di coloro che oggi si sentono gli eredi di tali tradizioni politiche, che un riconoscimento a dei “benefattori” della comunità.
In particolare ci sembra grave che, nella mozione, là dove si dice che Giuseppe Niccolai ha partecipato come volontario alla seconda guerra mondiale, si ometta di precisare che l'adesione fu alla guerra dell'Italia fascista alleata con la Germania nazista, ovvero quella parte che se avesse vinto non avrebbe creato una democrazia bensì un regime di terrore, di discriminazione, di violenza e di razzismo. D'altra parte, coerentemente, Giuseppe Niccolai non ha mai rinnegato il suo passato, anzi in più di un'occasione ha sempre rivendicato la sua appartenenza di parte, quella parte che ha sempre rifiutato di vedere nel 25 aprile la data che ha ispirato la nascita della nostra repubblica, il giorno del riscatto del paese soggiogato da vent'anni di dittatura e da una guerra disastrosa voluta dal regime fascista alleato alla Germania nazista.
Dedicare a lui una strada vuol dire dare uno schiaffo alla memoria di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita alla libertà e alla democrazia. Sarebbe stato bello se il consiglio comunale nella sua ultima deliberazione avesse invece deciso di dedicare una strada a Teresa Mattei, recentemente scomparsa, partigiana antifascista, membro dell'Assemblea costituente che ha dedicato tutta la sua vita alla difesa dei diritti delle donne e degli umili, lei sì un modello di coerenza e di altruismo al di sopra delle ideologie dei partiti, benefattrice della nostra comunità.
Franco Serantini

Ma molti altri personaggi avrebbero meritato l'attenzione dei politici così attenti a voler dare dei “segnali positivi ai cittadini pisani”, come ad esempio:
Angelo Sbrana, ferroviere, sindacalista libertario e antifascista, nato a Pisa l'11 gennaio 1885, prima vittima civile pisana in un campo di concentramento, morto per le dure condizioni di vita cui era sottoposto a Caen il 1° agosto 1941 (una lapide al cimitero vecchio messa dai suoi compagni di lavoro nel 1947 ricorda il suo sacrificio).
Maria Fischmann Di Vestea, prima laureata in medicina all'Università di Pisa, il 18 novembre 1893, proveniente da Odessa da una famiglia di mercanti ebrei. Maria Di Vestea esercitò a Pisa la professione medica e fu impegnata socialmente a fianco degli umili e dei più poveri, apprezzata da tutti per le sue opere di bene e per l'impegno che profuse negli orfanotrofi femminili.
Ottorino Orlandini, sindacalista cattolico, nato a Lorenzana il 12 settembre 1896, partecipò valorosamente alla Prima guerra mondiale, poi antifascista, è volontario in Spagna in difesa della repubblica, membro attivo della Resistenza nelle formazioni del Partito d'azione venne catturato e torturato dalla famigerata banda fascista di Mario Carità a Firenze.
Vera Vassalle, nata a Viareggio il 21 gennaio 1920 e studentessa a Pisa, insegnante, medaglia d'oro al valor militare della quale si ricorda: “Ventiquattrenne [...] all'atto [...] dell'armistizio [...] attraversava le linee tedesche e si presentava ad un comando alleato” fatta sbarcare “in territorio occupato dai tedeschi. Con altro compagno [...] organizzava e faceva funzionare un servizio dì collegamento fra tutti i gruppi di patrioti dislocati nell'Appennino toscano” e [...] “rendeva possibile 65 lanci da aerei a patrioti. Sorpresa dalle SS tedesche [...] riusciva a fuggire [...] Pochi giorni prima dell'arrivo degli alleati passava nuovamente le linee tedesche portando preziose notizie sul nemico e sui campi minati”.
Infine, come non ricordare la vicenda di Franco Serantini e della sua tragica e violenta morte e come nessuna giustizia sia stata fatta! Giuseppe Niccolai entra nella storia di Serantini, come tutti sanno, nel bene e nel male, ed è uno dei protagonisti, oggi a lui viene dedicata una strada, sembra un'ulteriore beffa e ingiustizia che colpisce la memoria del giovane anarchico.
Come associazione di liberi cittadini, che da anni si occupa di conservare la memoria sociale e politica della nostra comunità, non possiamo che esprimere tutto il nostro dissenso e la nostra distanza da tale decisione che è offensiva nei confronti della memoria di tanti pisani che hanno, nel silenzio e fuori dai riconoscimenti ufficiali, dedicato la propria vita alla libertà, alla pace e alla giustizia.

Circolo culturale – Biblioteca Franco Serantini
largo Concetto Marchesi, s.n. civ. – 56124 Pisa
tel. 331 11 79 799
www.bfs.itbiblioteca@bfs.it

Pisa, 14 aprile 2013