rivista anarchica
anno 43 n. 382
estate 2013


lavoro

Le mani, la fronte...

di Giorgio Sacchetti


Lavoro e quotidianità nelle miniere di lignite del Valdarno in Toscana.
Pubblichiamo un saggio del nostro collaboratore Giorgio Sacchetti, valdarnese lui stesso, storico del lavoro oltre che dell'anarchismo.
Con una pagina finale dedicata al complesso museale che a Cavriglia (Arezzo) è dedicato proprio alle miniere.

L'impianto narrativo di questo saggio intende mettere in connessione, con modalità empiriche, due mondi – cui peraltro corrispondono altrettante esperienze formative – separati ma assiduamente frequentati e vissuti dall'autore con intensità di sentimento, sebbene in epoche diverse. Da una parte gli ambienti operai e contadini del Valdarno Superiore in Toscana come luogo dell'infanzia e dei ricordi di famiglia, dall'altra l'attività scientifica condotta in età adulta e concretizzatasi in una ponderosa ricerca di dottorato dedicata alle miniere di lignite (Ediesse 2002, cit. infra). La scelta, certo inconsueta in storiografia, di un “noi” narrante si pone non solo come mero escamotage per una lettura in soggettiva, ma anche quale indicazione di un protagonista, “meta-personaggio” realistico e collettivo. Nel nostro caso trattasi di giovani contadini-minatori colti nella loro quotidianità lavorativa in un giorno qualunque del secondo quarto di secolo del novecento. L'arco temporale considerato, ricco di cesure proprie e forti, è vasto ma per certi versi omogeneo e sostanzialmente immobile sul piano del progresso tecnologico industriale nello specifico settore lignitifero. Insomma il modo di stare nel buio delle gallerie non cambia. Basti pensare che il casco da minatore, tanto caro all'iconografia del lavoro, sarà per lungo tempo un accessorio misconosciuto in Valdarno. Ciò che qui si vuole raccontare è un pezzo di storia italiana, piccolo ma significativo a nostro modo di vedere, per una visione particolare della lunga fase di transizione del mondo contadino verso le nuove attività d'industria. La ricostruzione si basa su concrete e tradizionali fonti d'archivio cui si aggiungono, a completamento o come supporto di ambientazione, fonti orali e memorie familiari di primissima mano. Altra questione riguarda le culture politiche dei minatori, oggetto di altre ricerche pubblicate dall'autore, che qui lasciano il posto piuttosto agli orizzonti mentali ed agli antagonismi sociali che si legano in modo diretto alle modalità di lavoro.

Discenderia delle Carpinete.

Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini.

Contadini - minatori

S'è fatto i contadini fino a dopo la guerra questa, ma fin dall'epoca della guerra quell'altra diversi dei nostri giovanotti, chi poco chi parecchio, hanno lavorato alle miniere di lignite1. Le citte, invece, andavano per lo più “ai tabacchi” e qualcheduna poi avrebbe imparato a fare la magliettaia a casa. Ultimi a entrare in fabbrica2, primi a fare il minatore... part time, job on call e perfino job sharing: dimissioni, assunzione, licenziamento e si ricomincia da capo3.
È la campagna “serbatoio dell'industria” (il reclutamento avviene con sistemi molto informali e, spesso, senza garanzie né diritti).
Anche tra gli anni venti e cinquanta del novecento – con modalità quasi immutate nei secoli – le novità importanti ci arrivavano con il passaparola, dai sensali nei mercati di San Giovanni e di Figline Valdarno, oppure ce le portavano i barrocciai nelle campagne e nei borghi insieme alle loro mercanzie. È da lì che la notizia dell'offerta di un mestiere finalmente moderno e nuovo si diffonde con rapidità, rimbalza nelle aie estive e al canto del fuoco nelle veglie invernali, incontra miraggi e sogni giovanili. Certo s'aveva voglia di scappare da una campagna sempre più avara e da un lavoro che non ci garbava punto, ma – sotto sotto – la gioventù si voleva anche divincolare dal capoccia, dalla massaia e dal fattore. Insomma non s'accettava un destino fra le zolle uguale a quello dei nostri nonni e dei bisnonni, e il futuro non doveva essere come un quadro già fatto. Fra il poggio e il piano s'era tutti contadini, mezzadri su poderi piccini dove la rotazione dei prodotti agricoli scritta nei libri e suggerita dagli agronomi era sempre difficile da mettere in pratica. Solo se la buona sorte ci assisteva, preservandoci da grandinate, gelate e alluvioni, c'era da mangiare per tutti (E un s'era nemmen pohi!)4. Il podere insomma era quello e le bocche aumentavano più delle braccia.
Sulle basse pendici collinari di Pratomagno, a ridosso dei calanchi di origine lacustre, dove abitano in quel periodo i Sacchetti, si coltiva la terra e si cura il bestiame; ci “si ingegna” anche con gli animali da cortile, con i piccoli lavori agricoli i ragazzi e le donne con la tessitura. Nel giro di pochi chilometri vivono altre famiglie con loro imparentate: Pieralli, Giuliani, Bigi, Pasquini, Stonizzati, Margiacchi, Ungheria... Tra l'Acqua Zolfina, la Treggiaia, Renacci e Grania ci sono molte case coloniche. È una fitta rete di viottoli, campi coltivati delimitati da filari, frutteti, boschi e borri, compresa nei territori dei comuni di Castelfranco di Sopra e Terranuova Bracciolini.

Tracciatura meccanica in opera all'ottavo livello
della miniera. Nelle gallerie operavano varie figure.
I minatori erano divisi in compagnie sotto
la responsabilità di un caposervizio e di un sorvegliante.
In miniera c'erano due compagnie che lavorano:
quelle addette al tracciamento, composte
da due minatori e quelle addette
all'abbattimento formate da tre persone
– capo minatore, minatore e caricatore –
che procedevano nello scavo della lignite.
La tracciatura meccanica delle gallerie fu introdotta
attorno agli anni '40 del novecento con l'uso
di macchine elettriche impiegate
dove il banco era più compatto.

Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini.

Le miniere di Castelnuovo sono invece sull'altra riva dell'Arno5, proprio di fronte dalla parte dove tramonta il sole, in direzione delle colline del Chianti. Per arrivarci si deve attraversare il ponte e ci saranno sì e no una decina di chilometri. C'è chi li fa anche tutti a piedi, ma qualcuno a San Giovanni monta sul trenino del Ponte alle Forche che fa una gita per ogni sciolta (turno), apposta per portare gli operai nel bacino lignitifero. Tre vagoni sempre zeppi. Noi però s'ha la bicicletta come i bersaglieri (qualcuno addirittura possiede, fortunosamente, una bella Bianchi modello del 1911, che è un vero scialo) e ci si muove a gruppi. La strada di Botriolo è il nostro punto di ritrovo. Si va tutti insieme la mattina presto, con la borsa di stiancia a tracolla preparata la sera avanti dalle nostre donne, a fendere le nebbie con poderose pedalate ragionando e scherzando; e d'inverno, con i manubri accessoriati con pelli di conigliolo, si tengono le mani al riparo dai geloni. Meglio che badare i maiali e fare il segato per le bestie (almeno noi si spera), dopo tanto i lavori pesi stagionali: mietitura e battitura, vendemmia, raccolta delle olive, coltratura, semina... ci toccheranno uguale6. Passato l'Arno ci si riunisce con altri ciclisti, ora siamo in tanti e, man mano, aumentano anche i gruppi di appiedati. Si va tutti nel solito posto. La maggior parte s'ha l'acetilene a carburo ciondoloni che s'adopra per far lume quando si scende in galleria; quegl'altri vuol dire che sono operai dei piazzali. Una volta attraversato il paese di San Giovanni costeggiando la stazione e la Ferriera si notano i primi vagoni carichi di minerale in sosta sui binari morti del deposito. L'impianto di caricamento meccanico delle “pule” con tramoggia ed elevatore a tazze azionato da un motore elettrico è già in funzione. Ora manca proprio poco e siamo già alla fabbrica e deposito delle bricchette (le mattonelle pressate fatte con gli scarti e le minutaglie di lignite). Al ponte sul borro di Vacchereccia sferraglia la locomotiva 113 della ditta Orenstein e Koppel, n. 5403 di caldaia, costruita nel 1912, scartamento 0,70 e pressione di lavoro 12 atmosfere. I vagoni sono ricolmi e forse li portano alle Fornaci del Bagiardi, oppure li scaricheranno per lo stabilimento ceramico e qualche vetreria qui vicino. E viaggia già anche qualche camion Fiat BL.
Ci siamo ormai abituati, ma la veduta di qua d'Arno una volta assomigliava di più a quella dei nostri posti. All'epoca che incominciarono i lavori sotterro e prima che le cave a cielo aperto dismesse diventassero pozze impaludate qui c'erano boschi di leccio, querce e castagni. I nostri vecchi ci hanno raccontato di uliveti che ora non ci sono quasi più, di campi al piano coltivati a cereali e interi filari di vite sbancati, di borghi e case crollate.
La lignite ci riempie già i buchi del naso. I rumori dei cantieri si avvicinano, pedalata dopo pedalata.

L'immagine mostra un minatore impegnato nel mettere in
sicurezza una galleria. Le gallerie delle miniere del Valdarno
erano sostenute da armature in legno di pino o acacia e
composte da 3 pezzi, due gambe ed un cappello, detto
cappuccia. Quando la galleria da armare presentava
una delle due parti tanto resistente da non richiedere di essere
sostenuta con legname si usava ricorrere all'armatura zoppa.
La discenderia ed i garages erano fatti in muratura. Dagli anni
'40 del 1900 furono introdotte anche le armature metalliche.

Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini.

Nella bocca della miniera7

La lignite, in un modo o in un altro, dà da mangiare a noi del Valdarno e a quelli di fuori8.
Il bacino è suddiviso in cinque gruppi: Calvi, Castelnuovo, Allori, Santa Barbara e San Donato/Gaville, ciascuno formato da vari cantieri e miniere per un totale di quattordici pozzi inclinati (discenderie). E nel bel mezzo si staglia una centrale termoelettrica da 20.000 kW alimentata dal minerale umido appena sortito dalle gallerie. Passando da Santa Barbara si vede il nuovo impianto di estrazione, supermoderno (realizzato dalle Officine Meccaniche Reggiane) con nastri trasportatori in gomma, parte metallica esterna ed edificio murario all'imbocco. In un'area limitata del bacino si praticano coltivazioni a cielo aperto con lo scoperchiamento del banco eseguito da escavatori meccanici a cucchiaio. Una delle macchine, modello americano “a benna” capace di scavare ad un livello inferiore al suo piano di posa, è già all'opera di primo mattino. Quando gli si passa vicini si resta a bocca aperta! È un vero formicaio il posto dove si va a lavorare, fatto di trabiccoli, macchinari e gente sempre in movimento; un ginepraio di strade trafficate e passerelle, fabbricati, viottoli di polvere o fango, torrenti deviati secondo convenienza, cataste di minerale, cumuli di inerti abbandonati. Su tutta la superficie si estende una fitta rete ferroviaria con uno sviluppo di 35 km, in prevalenza con binari a scartamento ridotto, gestita direttamente dalla Società mineraria, che dispone anche di quattro grosse locomotive. A scartamento normale la linea di sette o otto km che va fino alla stazione di San Giovanni. L'area dei piazzali principali (530.000 mq in tutto, di cui 20.000 coperti) è ampia come tre poderi di quelli grossi. Qui viene convogliata la lignite estratta dalle diverse miniere o per essere spedita direttamente allo stato naturale o per essere prima essiccata, vagliata negli appositi impianti e classificata (umida, bazzotta, secca). Noi ciclisti che si viene dalla zona del Pratomagno si posa il mezzo vicino alle stalle dei cavalli da tiro e ci si ritrova con quelli del Chianti, della Val d'Ambra e del Senese, con chi è appena sceso dal trenino. Poi ci si disperde di nuovo e, alla spicciolata, ognuno s'avvia al posto di combattimento. Si procede, facendo attenzione ad attraversare i binari dove passano vagoncini decauville o chiatte di legno, tra decine di capannoni allineati, in legno e muratura, adibiti all'essiccamento. Si passa fra magazzini, tettoie, matasse di fili elettrici, attrezzi e pali per la luce, vecchie ciminiere di argani a vapore, basculle per vagoni e vari casotti dove si riparano gli scaricatori quando piove. Il vocio e il rumore delle macchine è sempre più forte. C'è una città che sta sopra a quella sotto. Davanti ai nostri occhi due grandi teleferiche sorrette da enormi piloni, adibite al trasporto promiscuo di materiali, scarrucolano avanti e indietro a pieno ritmo. Una (lunga 1300 metri, potenza 12,5 Hp) mette in comunicazione il piazzale del gruppo Allori con la centrale elettrica, capace di trasportare fino a mille tonnellate di prodotto al giorno. L'altra, lunga oltre 5 km, arriva fino al piazzale di manovra del Ponte alle Forche, e può trasportare fino a 650 tonnellate al giorno. Gli uffici degli impiegati e del direttore sono parecchio discosti, in località San Paolo. A portata di mano invece ci s'ha l'infermeria che noi si chiama ospedaletto, prima non c'era, ma ci vorrebbe anche un'automobile a disposizione per portare i feriti a Figline. Poi c'è un'officina meccanica che ha tutti i ritrovati moderni. Tutte cose per raccomodare, alla meglio, danni di tutte le specie9.
Noi della prima sciolta (7-15) s'arriva puntuali col suono della sirena. Alla bocca della miniera ci si trovano i comandanti già piazzati a fare la conta: il capo-servizio e il sorvegliante (che ha fatto il militare nei carabinieri). A loro rispondono i vari capi-squadra per il controllo ravvicinato delle singole compagnie che operano in sotterraneo. E ogni compagnia risulta formata, al minimo, da un capo-minatore anziano ed esperto, da un minatore e da un caricatore10.

L'immagine mostra una galleria della miniera nel 1927 e più
precisamente lo stacco fra la diretta e la discenderia.
Le gallerie delle miniere del Valdarno erano una
perpendicolare all'altra: la discenderia era la galleria
principale da cui si distaccava perpendicolarmente
la diretta a tetto. Da questa, in direzione del banco di lignite,
partivano le traverse, poi i rinquarti, i galleriozzi
per giungere alla camera di coltivazione e poi
di abbattimento della lignite.

Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini.

Nella pancia della miniera

Per lavorare in galleria bisogna essere o parecchio robusti o parecchio agili e non ci vogliono i corazzieri. Bastano i bordellotti (ragazzotti) de' contadini come noi.
Il patire incomincia già a scendere. Si accede da un antro buio di tre metri per due e mezzo. Acetilene accesa, luce fioca e si va a piedi, non siamo mica in Belgio, giù per una scala gradinata collaterale alle gallerie, in fila indiana distanziati e attenti con gli scarponi a non cozzare in cavi, tubi, diavoli e serpenti, a non battere il capo sulle sporgenze. I binari consumati luccicano e gli occhi si abituano all'oscurità un po' alla volta. Venti minuti ci vogliono tutti per scendere ad un centinaio di metri di profondità (19° livello); poi c'è da accordare i soni nella compagnia, posare la roba e metterla attaccata all'armatura. Al capo-minatore tocca la scelta, non facile e insindacabile, del modo migliore di attaccare il banco. Due sono le specie di lavoro: avanzamento e abbattimento, ossia piccone più dinamite. Ma il brillamento della mina rimane sempre il momento più delicato. E dopo una breve riunione (brainstorming!) si decide di incominciare ognuno con compiti e mansioni precise: te fai questo, te fai quest'altro. Chi pensa a spingere o agganciare i carrelli, chi batte la mazza e chi monta l'armatura, c'è poco da scherzare. Il sistema di coltivazione “per frana” prevede tagli orizzontali discendenti. La distanza verticale fra due tagli successivi è di 5 metri11.
Come abbattitori si fa tutto il lavoro a mano e, allo scopo, s'adopera un arnese leggero detto incastrino, oltre la marra (zappa tiratora), la mazza e i cunei. Altri arnesi in dotazione: la barramina12, la succhia, il piccone (detto anche malimpeggio) e la pala. C'è anche una bella lampada di sicurezza marca “Friemann Wolff”13, pesa solo due chili, ma fuori dalle camere s'adopra sempre l'acetilene a fiamma libera.
Le gallerie, man mano che si procede, vengono puntellate e armate con legname di acacia o pino.
Per respirare e per prevenire la formazione di gas nocivi, siccome le Bicchieraie sono una miniera importante, ci sono stati installati dei potenti ventilatori artificiali a 15 Hp a modo che “la quantità di aria che, per ogni operaio, circola negli ambienti di lavoro, superi in media i 50 litri al secondo”14. Ma poi questi ventilatori servono, ci par di capire, anche per asciugare la lignite. Sicché la realtà delle cose è un po' differente da quanto si vorrebbe prescrivere. Una volta un vecchio minatore ci raccontò che aveva sentito dire da un ingegnere che in America avevano fatto un esperimento scientifico per vedere chi era più bravo a stare senza respirare fra l'uomo, il topo e l'uccello (e pare che abbia vinto il topo)15.
Non è che sottoterra ci siano le stagioni e spesso l'aria è soffocante oppure ci sono gli sbalzi improvvisi di temperatura. Gli ingegneri le chiamano escursioni termiche (in do' gli è cardo, in do'gli è freddo) e può dipendere dall'altezza delle masse di copertura, dalla natura del materiale attraversato, dalle correnti che si formano nel dedalo di gallerie, dall'ossidazione spontanea del combustibile, dal calore animale, da quello delle lampade, dagli spari della dinamite e così via. Quando si superano di molto i 30° diventano indispensabili le pause anche per noi giovani. E gli incendi dovuti all'autocombustione dei banchi hanno portato talvolta la temperatura a tocc are quasi i 50°! Poi ci sono gli allagamenti e spesso si lavora con la melma fino ai ginocchi. Meno male che ci sono i nostri amici pompisti che intervengono nella eduzione delle acque con i loro potenti mezzi azionati da motori elettrici.
Quanto al vestire, a seconda della bisogna si sta anche mezzi ignudi, però ci s'ha la camiciola e i calzettoni di lana fatti dalle nostre mamme, le mutande di tela, i pantaloni grezzi e gli scarponi chiodati di vacchetta (ammorbiditi con la sugna) oltre la giubba e il berretto, ma questi si posano insieme alla borsa di stiancia con il ricambio panni e il mangiare.
Normalmente per ogni coppia di minatori che scava la lignite c'è un operaio che la carica nelle berline (o chiatte); che poi vanno spinte fino al garage, che è una galleria più ampia, dove si lasciano le piene per ripigliare le vuote e riportarle vicino alla camera di abbattimento. E così via. Le gallerie di trasporto son parecchie, ad ogni livello corrisponde un carreggio. La rete ferroviaria sotterranea di tutte le miniere del Valdarno è di 40 km misurati. I vagonetti da condurre su “a giorno” si convogliano prima nelle gallerie principali, quelle a doppio binario, vere arterie delle miniere verso i piani inclinati d'estrazione. Una volta fatti i “treni” ci penseranno i cavallai con i loro cavalli, oppure a volte funziona il “catenone” mosso da una grande puleggia16.
Orecchi ritti, quando si lavora si sta zitti e in campana. Se non si vuol fare una finuccia. Il bruciore agli occhi e il naso fino del capo-minatore ci mettono subito in allarme.

Bisogna conoscilo i'legno, ascortallo zitti, perché a vorte e fa de' brutti scherzi! N'ho visti diversi fa' la morte di'topo... Ho ancora nell'urecchi l'urlo di' poro Cencetti, un si fece a tempo a vortassi... era di già sparito... quella maledetta pigna lo sotterrò... ci vorse tre o quattr'ore pe' rilevallo... si lavorò come bestie... ma l'era bell'e spiaccicato...come una tarpa...17
...Chi non ha provato o quantomeno visto non può considerare cosa sia lasciare la luce del sole per andare a lavorare nelle tenebre di una galleria. L'attenzione, il coraggio, la forza di volontà, l'abitudine al pericolo che occorrono per resistere e continuare a lavorare, sepolti vivi, sono inimmaginabili. La morte si fa sentire costantemente, investendoci con l'afrore del suo alito. Il sudore ci impregna l'unico cencio con cui copriamo le parti genitali. I grossi frammenti di minerale schizzanti sotto l'urto dei colpi vibrati ci martirizzano le membra ormai maltite e sudice dal lavoro... 18.

Si estrae il minerale in camere a pianta quadrata (quattro metri per quattro), a diversi livelli, con l'uso di esplosivo (detto foho). Prima si taglia il banco ai lati e si scalza sotto con l'incastrino, poi si trivella con la succhia e ci s'infila la dinamite. Nei minuti che passano fra l'accensione della miccia e lo scoppio susseguente ci si deve allontanare almeno di 15 metri, che è la distanza minima di sicurezza. C'è il tempo per tirare il fiato al riparo dei fumi e dei polveroni, quindi tutto ricomincia da capo (“incastro, mina, accensione, scoppio”)19.
Alle 12 ci s'ha una mezzoretta per mangiare. Ci s'accovaccia in un cunicolo illuminato alla meglio, la sporta sulle ginocchia, il bere appoggiato a terra di fianco e un coltellino in mano. Ognuno tira fuori le sue cose e le favorisce, non solo proforma, a quegl'altri. Sudici e sudati fradici ma la fame non manca. Quaggiù nessuno ci vede e ci sente e si parla liberi fra noi, ma senza vociare però. Chi ha il corteccino di pane ripieno di fagioli zolfini, chi il baccalà o un tocco di cacio, chi un pezzo di conigliolo dell'allevamento familiare. Da bere ciò che resta nel fiascotto di rosso oppure il “mezzovino” o magari l'acquerello20 che ci rinfresca. Tutti i giorni si porta anche, all'usanza del minatore, una bella cipolla rossa con du' chicchi di sale, ma a quella – se ci riesce – gli si dà un morso ogni tanto mentre si lavora. Dice che faccia bene al sudore21.
Mentre si mangia si ragiona anche di lavoro e qualche volta di sindacato. La sicurezza rimane il problema dei problemi, mentre sempre più spesso succedono gli incidenti e qualcuno ci lascia la pelle. Il capo-minatore racconta, e noi s'ascolta.

...E s'era dentro a fa' l'incastra, tutto d'un corpo l'armatura cedé: s'era chiusi dentro... quelli di fori s'eran messi a facci un varco. In qui' mentre vòrto l'occhi e i' celo s'abbassava... un capii più nulla... aveo venticinqu'anni... te l'immagini... come una molla... c'era un buho lassù arto mi c'infila' dentro. Quell'attro era pe' restacci e urlava. I celo gl(i)'era addosso... sartò sulla chiatta, lo presi pe' bracci e lo tira' fori: in qui' mentre la camera la cascò22.

Non sempre le disgrazie dipendono dal grisou (asfissie, ustioni e ferimenti da esplosioni e crolli).
La modernizzazione ha quasi peggiorato le cose perché ci ha riempito le miniere di attrezzature nuove. Oltre i “normali” franamenti, scoscendimenti e distacchi di roccia sono aumentati i cosiddetti “incidenti diversi”. Come ad esempio quelli causati da investimento di vagonetti, dalla caduta nei pozzi, urti o da folgorazione elettrica. “Un operaio mentre spingeva un vagoncino, venne da questo trascinato nel baratro, perché all'orifizio mancava il cancelletto di sicurezza...”23.
Colpa dei cottimi, incentivati fino al 20 per cento della paga, e delle troppe economie. L'armatura delle gallerie viene sempre fatta a mano e a regola d'arte (due montanti sovrastati dalla cappuccia), però bisogna risparmiare e andare di corsa, così non sempre si riesce a calibrare alla perfezione gli incastri con la pressione che vien da sopra; l'esplosivo poi bisogna adoprarlo con parsimonia (le spese per il foho ce le mettono nei ritiri della paga): ecco i motivi principali dei frequenti distacchi di blocchi di lignite dalla volta.

...Ma quando i'foho lo facein pagare siccome du'cartucce le costaan quasi la giornata, e cercaan di sacrificassi e di rischia' di più la vita [...] Quando e ci rimase i' mi' poro babbo [sotto l'abbattimento] e su' amici lo rilevaron dopo quattr'ore! E gl(i)'era sbucciato! Poi dalla gran paura e gli si spanse l'eterizie. Pe' l'appunto a que' tempi lì, e un c'era neanche e mezzi pe' curassi: quando mandonno la medicina e gl(i)'era bell'e bartao...24
..Anche l'accensione della mina costituiva un potenziale pericolo, e non solo per il fatto in sé. Prima del turno passava il “fochino”, l'addetto alla distribuzione di esplosivo. Ne dava il quantitativo richiesto, il cui costo veniva decurtato dalla paga. Finivamo per risparmiare anche su quello. Quando il banco da abbattere sembrava meno compatto – le numerose venature d'argilla lo indicavano –, eravamo tentati di non frantumarlo completamente. Avremmo consumato meno esplosivo, i pezzi di lignite sarebbero stati più grossi e qualitativamente migliori. Facevamo esplodere solo la parte inferiore del banco per staccare, con le mani e il piccone, quanto restava appeso in alto. Un tentativo pericoloso, perché la massa lignitifera della volta poteva improvvisamente cedere e intrappolarci...25

“Ingresso abusivo con fiamma libera in galleria saggio”: scrivono bene nel verbale quelli del Corpo Miniere26. Ma le disgrazie succedono per un motivo che tutti sanno e nessuno dice. Nei piazzali hanno messo da poco i servizi igienici (le “ritirate”) e gli operai lassù vanno al gabinetto che sembrano impiegati. Noi sottoterra invece ci s'arrangia e per fare i bisogni ognuno cerca il su' galleriozzo personale o anche uno “stanzone” abbandonato va bene, differente da quegl'altri è ovvio. Però prima si deve dare un'occhiata, ispezionare e far lume, non si può andare a tastoni ed è lì che si rimane buggerati. Il grisou, “aria morta”, ci mette un attimo a scoppiare, una fiammata e un bagliore accecante, un rumore assordante... Ca madonna! Era meglio pestare le fatte.
Siamo sempre soli quaggiù ognuno con la su' acetilene (ma se n'avrà di cose da raccontare alla prossima mietitura!).
Le talpe, in colonia numerosa e ingrassate con gli avanzi e il sudicio dei cavalli e dei cristiani, sono le nostre amiche e si sono ormai ambientate. Fanno compagnia e ci guardano lavorare. Anzi il loro caratteristico stridio ci serve da preallarme nell'imminenza dei crolli, perché quelle bestioline sentono anche i piccoli movimenti del banco e ben prima di noi!
A starci parecchio qua sotto ci s'ammala, a respirare il pulino (la polvere di lignite), ma più che altro per via dell'umidità: bronchite asmatica, silicosi, antracosi, tubercolosi, polmoniti, artrosi... dicono i dottori bravi27.
Chi non ce la fa può chiedere di andare sui piazzali ma non sempre ti accontentano e poi nemmeno lì, alle intemperie, ci sono le mele smezzate. Nella compagnia ci si vuole bene come fratelli e quando c'è uno malato tutti ci si preoccupa.

... Se ce la fai a stare in piedi, non restare a casa. Scendi in galleria. Una volta sotto, penseremo noi a mandare avanti il tuo lavoro; così il sorvegliante ti segna la presenza e non perdi la giornata28.

Dei dottori non c'è da fidarsi e la Mineraria comanda anche al pronto soccorso. Sugli incidenti loro danno sempre la colpa a noi. Come successe al poro Brogi di Vacchereccia, che prima rimase sotto qualche quintalata di lignite e dopo quelle fave (persone scriteriate) dell'ospedale di San Giovanni dissero che era morto per un'ernia trascurata!29

Centrale elettrica di Castelnuovo dei Sabbioni. La vecchia
centrale di Castelnuovo, oggi non più esistente entrò
in funzione nel 1907. Riusciva a produrre una quantità
di energia tale da illuminare Arezzo, Firenze e Siena.

Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini.

Fuori il culo della miniera

Finita la prima sciolta si risale con un buon passo e ci sembra di volare. Fuori il fitto sole e la luce accecano. Alla bocca della galleria c'è tutto il nostro lavoro fermo sui vagonetti pronto per la cernita, ma una digrossata la s'era bell'e data noi stamattina in galleria, dividendo intanto i pezzi grossi dalla pula. A lavorare sui piazzali ora non ci sono soltanto i manovali e gli operai fatti (esperti), ma anche donne e bambini dei posti qui vicino. Che li pagano con du' palanche. Vanno e vengono e non c'è nemmeno bisogno di fare tanti fogli per l'assunzione. È un'usanza dell'epoca della prima guerra mondiale30: allora qualche donna arrivò a fare persino il macchinista dell'argano, ma ora questo è un lavorino leggero riservato agli invalidi. I ragazzi piccini sono abilissimi ai vagli, riempiono i corbelli a gran velocità, saltellano e paiono non curarsi del polverume.

...Un capitolo a parte è quello dei minori di 16 anni. Fra tanti vagoni dislocati nei luoghi di carico, vi sono quelli da riempire di pezzi piccoli. Questo compito è riservato a quei minori [...] Il corbello era d'obbligo per espletare la mansione. Si tratta di un contenitore in stecche di castagno a forma cilindrica. Altezza 65-70 cm. Diametro 45-50 cm, un cesto rotondo, insomma. In 4 ragazzini a suon di corbelli riempiti a ragguardevole distanza dovevano viaggiare speditamente e riempire un vagone ferroviario. I fortunati in misura maggiore, poiché lavorare era una fortuna, venivano adibiti a scegliere la terra, cernita che viene eseguita agli impianti di vagliatura e lungo le distese di minerale ad essiccare. Trascinare il corbello con i frammenti di sterile che pesa, lavorare a schiena piegata, proibito accoccolarsi, sotto il sole a perpendicolo [...] I ragazzi impiegati alla cernita dei vagli avevano anche il disagio di molta polvere da respirare...31

Si ripiglia le biciclette dal cavallaio, ma prima ci si dà una sciacquata alla sistola, e si ritorna a casa piano piano. Non c'è furia (che sennò ci tocca governare le bestie grosse o fare l'erba medica ai coniglioli). Il primo tratto di strada si rifà con compagni che prima non s'era visto. Sono quelli delle famiglie che hanno smesso di fare il contadino o che son di fuori: maremmani, senesi, veneti e “austroungarici” (figlioli di prigionieri di guerra accasati in Valdarno e che si chiamano Sladojevic, Gloter, Piltner.. )32. Loro stanno nei villaggi minerari e fanno vita comunitaria. Parecchio tempo fa la direzione delle miniere aveva fatto dei capannoni dormitori a ridosso delle prime gallerie che, ci raccontano, si erano riempiti di accattoni e miserabili. Poi invece sono stati costruiti i complessi abitativi per operai a Ronco e i casamenti della Dispensa. Certo non sono abitazioni belle come quelle degli impiegati e dei sorveglianti (che hanno lignite gratis per il riscaldamento e un pezzo di terra con manovale-ortolano a disposizione), però almeno son comode e pulite, con bagni e lavatoi comuni, spacci cooperativi dove si paga con i buoni e ora ci faranno addirittura una torre serbatoio per l'acqua potabile. Alla Tinaia di San Cipriano si completerà il Villaggio Santa Barbara, che già fa da dormitorio e mensa per i minatori immigrati temporaneamente e per quelli senza famiglia, nonché da riparo di fortuna per le famiglie della frazione San Martino evacuate a seguito dei crolli per gli scavi alla vicina miniera di Allori33.
A differenza di noi che siamo rimasti contadini loro hanno più svaghi. E si ritrovano al dopolavoro e nei vecchi circoli di Cavriglia, Meleto e Vacchereccia, hanno messo su la banda musicale e la squadra di calcio, il doposcuola e le rappresentazioni teatrali con le rime in ottava, fanno le feste da ballo quasi tutte le domeniche, giocano alla ruzzola, organizzano le tombolate dove si vincono capofreddo, finocchiona, burischi e pampepato.
Arrivati nell'aia il capoccia ci guarda, come se si tornasse dalla fiera di Terranuova.
Chi va in miniera cambia carattere si sa, e di molto. Lo si riconosce dal modo nuovo di intercalare i discorsi. La bestemmia ad esempio, fattasi imprecazione rabbiosa contro chi comanda, non è più quella sorta di gioco o esercizio fantasioso tipico dei giocatori di carte nelle osterie toscane, non è più arricchimento espressivo nella dialettica mezzadrile capoccia-massaia, patriarca-famiglia. Lo schema giaculatorio si fa fisso e ripetitivo. Al nome di dio e della madonna si accostano normalmente quelli del diavolo, di mestieri ritenuti disonorevoli, di animali34.
Chi va in miniera cambia persino la camminata.

...la posizione del busto assume una caratteristica cifotica (ricurva) e l'andatura ha uno svolgimento ondulatorio, quasi che ad ogni passo si trovasse nella necessità di evitare un ostacolo posto al di sopra del capo. Al tempo stesso il bacino oscilla sul piano frontale con lieve piegamento della gamba che non muove il passo. Tale stile deambulatorio deriva, a nostro avviso, sia dal condizionamento che produce la galleria in cui il cielo può cascarti addosso e schiacciarti, sia dai movimenti a cui il corpo del minatore è obbligato quando esegue la fitta. La fitta veniva eseguita spesso in ginocchio: il movimento in avanti delle braccia, assecondato da quello della spalla su cui batteva il manico dell'incastrino, riceveva ulteriore potenza dal contemporaneo spostamento del bacino (sempre in avanti). Questo movimento veniva eseguito per lunghe ore in modo ritmico sui due lati del corpo. Il passo è pesante (ricordiamo che le scarpe del minatore pesavano oltre tre chili) e marcato, mentre le ginocchia spesso sono leggermente piegate all'esterno. Durante la conversazione il braccio si muove in tutte le sue parti per tutta l'ampiezza dell'arco gestuale e, nei momenti di maggior partecipazione emotiva, anche il busto, il cui baricentro è spostato verso l'alto, asseconda e segue i gesti del braccio. Numerosi sono anche i gesti di contatto con l'interlocutore. L'espressività del volto è rivelata da una notevole vivacità dell'occhio e mentre i muscoli facciali restano duri, solo il sopracciglio, solitamente prominente, è molto mobile35.

Giorgio Sacchetti

Questo saggio è originariamente apparso nella rivista Snodi Pubblici e privati nella storia contemporanea, n. 10 / 2013, Soggettiva sul lavoro, pp. 32-47 
Info e richieste: Studio LT2 Edizioni, Dorsoduro 1214, 30123 Venezia; email: studio_lt2@libreriatoletta.it

Si ringraziano: Paola Bertoncini per la selezione iconografica; Regina Milito e Luca Lanzi (Casa del Vento) per la gentile collaborazione.

Note

  1. Ricordi di famiglia dell'autore.
  2. L'identità contadina, che aveva ben inglobato quella precaria e occasionale di minatore, permarrà poi anche nell'operaio di fabbrica (vetrerie, ferriera, cappellifici...). Nel secondo dopoguerra, epoca in cui avviene la “discesa a valle dell'economia” per il Valdarno superiore, il legame con la precedente attività è testimoniato dalla eccezionale diffusione intorno alle aree urbane industrializzate di piccoli orti, capanne e pollai messi su alla meglio in luoghi di fortuna.
  3. Questa la dichiarazione capestro alla firma dei neoassunti (prendere o lasciare): “Io sottoscritto dichiaro di accettare l'ammissione al lavoro presso la Società Mineraria ed Elettrica del Valdarno, in qualità di giornaliero provvisorio con paga oraria di £___ più indennità di caro vita di £ ___ giornaliere. Accetto le condizioni di pagamento in uso presso la Società senza reclamare acconti, e le condizioni seguenti. Per il licenziamento resta bene inteso che la Soc. Mineraria ed Elettrica del Valdarno, potrà licenziare il firmatario di questa dichiarazione in qualsiasi momento dando però all'interessato un preavviso o la paga di otto giorni. Trattandosi di assunzione in servizio di carattere assolutamente precario, accetto che non saranno applicabili al caso mio le clausole del concordato di ___ e quelle che potranno essere stabilite in nuovi patti che la Direzione potesse concordare con la massa operaia. Il sottoscritto______ Firenze, lì______”. Estratta da Archivio storico Enel, Napoli, ex Compartimento di Firenze “Piero Ginori Conti”, Società Mineraria del Valdarno [da ora in poi: Archivio storico Enel, SMV], b. 202, copialettere 1918-1922, Uff. Personale.
  4. Le famiglie si erano talmente estese fino a comprendere non solo i birchi (“innocentini” o trovatelli) come era usanza, ma anche i cugini acquisiti. Era sempre più difficile organizzare il lavoro e nel contempo amministrare questi gruppi plurifamiliari nelle loro crescenti necessità quotidiane.
  5. I banchi di lignite documentano l'esistenza di immense foreste sui bordi di un lago pliocenico nel Valdarno superiore. Il bacino, situato nel comune di Cavriglia (Arezzo) e con una piccola parte che sconfina nel comune di Figline Valdarno (Firenze), è costituito da tre lenti di lignite xiloide distanti da cinque a dieci chilometri dalla stazione di San Giovanni. Il giacimento, che appartiene quasi totalmente alla Società Mineraria del Valdarno, raggiunge lo spessore di trenta metri con una profondità massima di 150 ed ha (dati 1937) una disponibilità di circa settanta milioni di tonnellate di lignite.
  6. La sovrapposizione diffusa dei due mestieri (minatore e contadino), porta a esiti negativi sul lungo periodo. Decenni di discontinuità nel settore agricolo del Valdarno Superiore dovuti a deficit organizzativi nella gestione della manodopera ed alla conseguente cronica mancanza delle cure quotidiane e di manutenzione minuta dei poderi, si traducono in un decadimento complessivo dei campi, nell'invecchiamento precoce delle colture arboree mai rinnovate ed abbandonate a se stesse.
  7. I titoli di questo paragrafo e di quelli successivi sono ripresi dalla canzone Dio degli inferi. Voci dal sottosuolo, dal profondo delle miniere del Valdarno (Casa del Vento) - cd “Articolo Uno”, 2009.
  8. Alla fine degli anni Cinquanta la trasformazione del bacino allontana dal lavoro tremila minatori residenti nei comuni di Cavriglia, San Giovanni, Figline, Montevarchi, Castelfranco, Pian di Scò, Incisa. Il ciclo della lignite, già produzione autarchica e di guerra, si concluderà poco dopo con le ultime escavazioni intensive a cielo aperto. Per ovviare alla antieconomicità del trasporto si erano storicamente perseguite varie modalità di utilizzo in loco del combustibile, in Ferriera inizialmente e da ultimo nella centrale termoelettrica. Cfr. Giorgio Sacchetti, Ligniti per la Patria. Collaborazione, conflittualità, compromesso. Le relazioni sindacali nelle miniere del Valdarno superiore (1915-1958), Ediesse, Roma 2002.
  9. Per la descrizione degli ambienti esterni alla miniera: “Rivista del Servizio Minerario”, annate dal 1925 al 1946, passim; Archivio storico Enel, SMV, Varie, fasc. Perizia danni di guerra...; e La Società Mineraria del Valdarno e le sue miniere di lignite in Castelnuovo dei Sabbioni, in “La Vita Corporativa Aretina”, 1937, n. 2, pp. 31-36.
  10. Qualifiche principali: minatore (scavo rocce e minerali, perforazione fori da mina, coopera al caricamento e sparo delle mine, messa in sicurezza del cantiere, carico e trasporto materiali abbattuti fino ai fornelli di gettito...); armatore (armamento gallerie in ferro e legname, trasporto materiali di risulta); disarmatore (disarmo gallerie e cantieri, rimozione impalcature e attrezzature); perforatore (perforazione, preparazione “volate” o esplosioni simultanee di più mine); carichino (caricamento e sparo delle mine, trasporto esplosivi); stradino (installa, ripara, rinnova binari e scambi); tubista (addetto tubazioni ventilazione, acqua, aria compressa, fanghi); arganista; verricellista; aggancino (formazione convogli nelle discenderie); manovale; ferratore; cavallaio; motorista; ausiliario; pompista; guardia d'imbocco; fuochista; macchinista; ungitore; capo manovra; pesatore; stivatore; sterratore; elettricista; aiuto-sorvegliante o capo-sciolta; incapannatore; segantino... Cfr. Archivio storico Enel, SMV, b. 59/p, Personale / Fed. Sind. Industriali minerari, fasc. Mansionario.
  11. “L'esaurimento delle camere procede da muro a tetto, in modo che in ogni camera due pareti sono costituite da lignite in posto, e le altre due pareti da materiale in frana [...] I galleriozzi di rinquarto servono per la ventilazione dei cantieri e per il carreggio” (Luigi Gerbella, Arte mineraria, vol. II, Hoepli, Milano 1938, p. 393). Per le modalità di organizzazione del lavoro abbiamo consultato: Gaetano Castelli, La coltivazione delle miniere di lignite, Zanichelli, Bologna 1922, in particolare alle pp. 169-199 (Arte del minatore) e 347-366 (Organizzazione delle miniere).
  12. Sbarra d'acciaio lunga qualche metro munita di una punta tagliente, usata per praticare nella roccia i fori per le mine.
  13. Le lampade elettriche, causa varie imperfezioni, hanno un uso limitato a lampade di riserva o “di sicurezza”. La vecchia acetilene ha invece il difetto delle facili estinzioni per insufficiente produzione di gas, con pericolo di esplosione ad ogni brusco aumento di fiamma. Da tempo era allo studio un prototipo di lampada elettrica (o anche a benzina) munita di dispositivo indicatore del grisou. Cfr. Lampade elettriche per miniera, in “Rassegna Mineraria Metallurgica e Chimica”, 16 gennaio 1915, n. 1, pp. 9-10.
  14. “Rivista del Servizio Minerario”, 1925, p. 139.
  15. “...In quanto agli effetti fisiologici, si constatò che in una atmosfera contenente 0,16% d'ossido di carbonio, un topo dà segni di malessere dopo un'ora di permanenza, mentre un uccello comincia a soffrire dopo tre minuti soltanto e cade tramortito dopo 18. All'uomo, rimasto un'ora in un'atmosfera contenente 0,25% di acido di carbonio, occorrono, per ristabilirsi, almeno otto ore di riposo; al topo 25 minuti, ma esso comincia ad essere agitato dopo soli 12 minuti...” (Limiti di esplosione delle miscele di gas combustibile e d'aria, in “Rassegna Mineraria Metallurgica e Chimica”, 16 febbraio 1915, n. 2, p. 29).
  16. Cfr. Testimonianze di Anselmo Baroni e Mario Biagioni, raccolte da Marcello Cioni, Cenni di storia valdarnese (1700-1924), Biblioteca comunale di Montevarchi, San Giovanni Valdarno 1992, pp. 62-64.
  17. Testimonianze raccolte da Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria, in “La Storia del Valdarno”, 1980, n . 9, pp. 209-210.
  18. Rambaldo Macucci, Foco lapide e altri scritti, Comune di Cavriglia - Tipografia Valdarnese, San Giovanni Valdarno 1996, p. 34.
  19. Cfr. Marta Bonaccini, Profumo di lignite, Editori del Grifo, Montepulciano 1995, pp. 157-160.
  20. L'acquerello è il dissetante dei contadini: acqua fatta passare sulla poltiglia delle vinacce.
  21. Su questi aspetti enogastronomici e sul rapporto tra fame e identità sociale del minatore valdarnese, cfr. Giorgio Sacchetti, Tirar la cinghia, con rabbia, in “Slow. Quarterly Magazine of the International Slow Food Movement”, 2001, n. 21, pp. 12-17.
  22. Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria, cit., p. 213.
  23. Mario Mari, Rapporto sulla sicurezza nelle miniere e sulle prevenzioni degli accidenti (Tenutasi alla riunione del Comitato amministrativo della Unione Internazionale dei Sindacati Minatori. Budapest, 10-14 ottobre 1950), in Archivio CGIL- Camera del Lavoro, San Giovanni Valdarno, p. 10.
  24. Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria, cit., p. 212.
  25. Da: Marta Bonaccini, Profumo di lignite, cit., p. 159.
  26. Cfr. Corpo delle Miniere, distretto di Firenze, Archivio storico, posiz. 5-III, Arezzo, Miniere varie, Castelnuovo - Infortuni.; “Rivista del Servizio Minerario”, annate dal 1925 al 1946, passim.
  27. Cfr. Renato Lenzi, La silicosi nelle miniere di lignite del Valdarno, relazione al XXIII Congresso Nazionale di Medicina del Lavoro, Rimini 13-16 settembre 1959, http://web.tiscali.it/lenzi/; Guido Y. Giglioli, Patologia del minatore di lignite, in “Il Ramazzini”, 1915, pp. 26-48.
  28. Marta Bonaccini, Profumo di lignite, cit., p. 75.
  29. Agostino Brogi da Vacchereccia “..mentre lavorava in un abbattimento al 9° livello della miniera Casino veniva investito da un pezzo di lignite staccatosi da una parete che lo rovesciava per terra. Subito soccorso ed accompagnato fuori l'operaio accusava dolori al basso ventre ed aveva conati di vomito. Portato subito all'ospedale di S. Giovanni gli veniva riscontrata la strozzatura dell'ernia da cui da vecchia data era afflitto; decedeva nella giornata di ieri 19 corr.” (Corpo delle Miniere, distretto di Firenze, Archivio storico, posiz. 5-III, Arezzo, Società Mineraria Valdarno, 20 dicembre 1926).
  30. Nel 1918, su un totale di 5056 lavoratori, se ne avevano 1818 nelle gallerie (tutti maschi e quasi sempre adulti), il resto all'esterno così suddiviso: 2959 uomini e 88 ragazzi; 191 donne di cui 58 bambine. Cfr. “Rivista del Servizio Minerario”, annate dal 1917 al 1919, passim.
  31. Rambaldo Macucci, Foco lapide e altri scritti, cit., p. 75.
  32. La popolazione nel comune minerario di Cavriglia (Arezzo) raddoppia passando dai 4104 residenti del 1861 ai 9418 del 1913; il dato si stabilizza nel periodo fra le due guerre con 9474 abitanti al censimento del 1951. Cfr. Rossella Valentini, Cavriglia nei secoli XIX-XX, geografia storica di un comune del Valdarno di Sopra tra agricoltura e industria estrattiva, Istituto di Geografia, Firenze 1989.
  33. Cfr. Archivio storico del Comune di Cavriglia, 1940, b. 109, licenza n. 6409 del 4/10/1940; Archivio storico Enel, SMV, Varie, fasc. Perizia danni di guerra...
  34. Considerazioni che scaturiscono dalle frequentazioni dell'autore, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, degli ambienti operai e contadini nel Valdarno.
  35. Estratto da: Emanuela Latini Sladojevich, Ethos della cultura mineraria, cit., p. 214.

Miniera Est. 1917. In primo piano l'imbocco della miniera,
ovvero la discenderia in muratura. Nel piazzale sono
accatastati i tronchi impiegati per la costruzione delle
armature di sostegno delle gallerie. In secondo piano,
al centro, l'argano utilizzato per lo spostamento
delle chiatte cariche di lignite. A destra, nell'immagine,
la “gubbia” costituita da un cavallo e un asino,
usati per il traino delle chiatte vuote.

Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini.

Interno della miniera Bicchieraie settimo livello. Garage al
termine della discenderia. Anche il garage era una zona
della miniera in muratura perché costituiva un impianto fisso.

Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini.

Minatori al lavoro nella camera di abbattimento.
Nell'immagine vediamo a sinistra un minatore che utilizza
l'incastrino, a destra l'altro minatore sta operando
dei fori per l'esplosivo con la succhia.

Nelle miniere del Valdarno l'esplosivo utilizzato fino al 1925
è la dinamite, sostituito poi con la cheddite e la “grisoutina”.
La cheddite era una miscela esplosiva confezionata o in quarti
di cartuccia, localmente detti miniozzi, o in mezze cartucce.
Le micce utilizzate erano di due tipi: le bianche e le
antigrisoutose. Le micce venivano tagliate con la pinzetta
del minatore o con il coltello. Nelle miniere dove non
operavano i “fuochini” le micce venivano distribuite
ai capi minatori. Quando si sospettava la presenza di grisou,
si ricorreva all'accensione elettrica. I fori per inserire la
dinamite venivano eseguiti con strumenti differenti a seconda
della natura del materiale da abbattere, dell'importanza del
lavoro e dei mezzi a disposizione. L'esplosivo doveva essere
posizionato in maniera tale da ridurre al minimo
la frantumazione del minerale da abbattere.

Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini.

La miniera Carpinete fu l'ultima miniera in sotterraneo
presente nell'area di Castelnuovo dei Sabbioni, chiusa alla
fine degli anni sessanta del novecento. Nell'immagine si vede
chiaramente lo spazio del “garage”, luogo deputato
al deposito temporaneo e allo scambio delle chiatte.

Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini.

Impianto di stoccaggio della lignite.
Una volta trasportata all'esterno la lignite seguiva un iter
particolare. La prima classificazione della lignite avveniva
in sotterraneo dove venivano distinti i vagoni di pezzi grossi
da quelli di pula. Le pule, le cui dimensioni massime erano
di 15 cm circa, venivano portate ai vagli, dove si effettuava
una ulteriore classificazione ottenendo i pezzi piccoli, il trito,
il tritino, la polvere. I pezzi grossi di lignite venivano
scaricati a mano e messi nelle “stive” e disposti in modo tale
che l'azione di essiccazione del sole fosse la maggiore
possibile. I pezzi essiccati erano poi disposti nei capannoni
aperti. Il trito veniva in parte essiccato nei Bricchettifici della
zona dove si otteneva la mattonella di lignite – la bricchetta.
Il tritino, invece, veniva essiccato in un impianto apposito.
Le polveri venivano mandate ai Bricchettifici dove venivano
utilizzate per l'alimentazione dei forni.

Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Emilio Polverini.


Le due fotografie mostrano i locali della “lampisteria” presso
Carpinete. Qui si conservavano quotidianamente le lampade
impiegate dai minatori per lavorare in galleria.

Immagine proveniente dall'album Le Carpinete. Luglio 1947.
Esposto presso Mine, Museo delle miniere e del territorio.
Donazione Marco e Claudia Salmini.

Minatore che consuma il pasto in galleria.

Immagine proveniente dall'archivio
fotografico Cgil Arezzo.

MINE - Museo delle miniere e del territorio - Castelnuovo dei Sabbioni (Ar)

Mine. Il complesso museale che documenta e valorizza la storia del territorio di Cavriglia e in particolare le vicende minerarie che hanno modificato profondamente una parte rilevante di questo territorio, è ospitato in alcuni edifici nella parte alta di Castelnuovo dei Sabbioni. Il resto del vecchio borgo fu abbandonato e in parte distrutto dall'attività mineraria. Alcune case in rovina contornano la strada che conduce alla parte superiore dell'abitato, che comprende alcuni edifici recentemente recuperati e rifunzionalizzati in spazi museali: la ex chiesa di San Donato, adibita a spazio polifunzionale, il centro espositivo ed una palazzina degli anni Venti del Novecento utilizzata come centro di documentazione e spazio per attività didattiche.
La logica comune che pervade questi spazi è fortemente tesa al coinvolgimento dello spettatore per una conoscenza approfondita del patrimonio culturale conservato.

Il Percorso museale si sviluppa attraverso sette sale dedicate alla storia e alle vicende minerarie secondo un percorso che inizia dalle prime notizie documentate sul giacimento di lignite, per poi passare allo sviluppo dell'attività mineraria e alle prime lotte sindacali. Il percorso si concentra poi sulle tecniche di scavo e sulla vita del minatore, sui suoni e gli odori della galleria, sulle stragi naziste avvenute nel territorio nel 1944, le lunghe lotte e autogestioni del dopoguerra e sui cambiamenti delle tecniche di coltivazione; da quelle in galleria a quelle a cielo aperto. L'itinerario si chiude con la presentazione della trasformazione del territorio dovute all'attività mineraria e al suo riassetto. Punto caratteristico dell'allestimento è l'interazione con le moderne tecnologie che permettono al visitatore di essere soggetto attivo nella conoscenza dei temi presentati. È presente una figura parlante, che rappresenta Priamo Bigiandi, un personaggio simbolico della storia territoriale che introduce alla visita, vi sono poi dei touch screen, un'installazione artistica per ricordare la strage dei civili il 4 luglio 1944, un tappeto virtuale finale che permette, in un breve spazio, una ricca documentazione della distruzione/ricostruzione del territorio ed inoltre possibilità di esperienze tattili ed olfattive che rendono particolarmente densa la visita al museo.

Gianfranco Molteni

minecavriglia.it
info@minecavriglia.it
facebook: MINECAVRIGLIA


Orario di apertura
aprile-ottobre
martedi e mercoledi h. 10-13
da giovedi a domenica h. 10-13/16-19
novembre-marzo
mercoledi e venerdi h.10-13
sabato e domenica h. 10-13/15-18

Ingresso
Intero € 5,00
Ridotto (sopra i 65 anni e gruppi
superiori a 15 persone) € 3,00
Gratuito bambini fino a 12 anni.