rivista anarchica
anno 43 n. 382
estate 2013




Un cinema critico?
Sempre più impensabile

di Bruno Bigoni


Chiunque può constatare oggi un disinteresse di fondo per tutto ciò che si allontana dagli standard di emozione e dalle figure che li incarnano. Il pubblico si vuol riconoscere, il nuovo, il diverso gli è indifferente. Non è solo una questione di spettacolarità, di tecnologia, di soldi. È ormai accertato che esistono standard di produzione destinati a riprodurre standard di emozione a cui il cinema non può più rinunciare.
Il cinema ha compiuto una virata storica. Il prodotto industriale ha vinto così la sua battaglia sui modelli di massa, per un cinema che svuota il pensiero e ti conduce per mano nei dispositivi appositamente costruiti per un divertimento o meglio sarebbe dire per uno stordimento.
Trama vuota e meccanica, ritmo accelerato, performance bio-tecnologica (di attori o di effetti speciali) costituiscono gli ingredienti dei principali successi degli ultimi anni. Vi si riconoscono quelli di un immaginario adolescente, uomini incapaci e donne malandrine, linguaggi televisivi e volgarità di fondo, il tutto nutrito di pubblicità, di fumetti, di fast-food e di rock industriale. Il referente è sempre più il pubblico giovane (anche se le statistiche dicono il contrario) e l'unica finalità è produrre un cinema da grandi numeri, osteggiando (nella distribuzione e nell'esercizio) i prodotti artigianali, indipendenti e fuori linea.
Il mondo è diventato troppo complicato, i conflitti troppo incerti, gli indirizzi creativi troppo astratti, la violenza troppo statistica, perché il cinema non ne abbia subito, industrialmente e dal punto di vista del suo stock tematico, una modificazione sensibile. Ne risulta una semplificazione massima.
Intorno a questo scenario, la televisione opera (ormai è un dato accertato) per far sì che oggi un cinema critico, un cinema di critica sociale sembri sempre più impensabile. Crede di essersi sostituita brillantemente in quella necessaria analisi della società, che ogni mezzo di comunicazione di massa dovrebbe avere nel suo dna. Illusione e mala fede. Così il cinema d'autore, cioè quel cinema che non si modella nelle forme degli standard: per esempio un bravo attore non ancora famoso, un soggetto spiazzante, una situazione emozionante forte, una linea d'azione semplice, una positività immanente dell'eroe, trova condizioni di sopravvivenza sempre più limitate. Diventa azzardato investire su questo cinema (costi troppo alti e di difficile reperimento), precarietà di distribuzione (quale esercente rischierà?) invisibilità e morte.
Questo cadavere vivente, questo zombi, questo cinema fatto di coraggio e innovazione nasce nell'indifferenza e nel rifiuto del pubblico. Paga la mancanza di curiosità e il desiderio di scoprire. Fotografa la condizione di una società impossibilitata a comprendere il suo circostante, la impossibilità di opporre una estetica coerente al cinema standardizzato.

Bruno Bigoni