rivista anarchica
anno 44 n. 387
marzo 2014




La luce, più delle parole

di Bruno Bigoni


Nonostante nelle sale ci siano dei buoni film che spero non mancherete di vedere (il cinema al cinema è sempre un'altra cosa), questo mese vorrei raccomandarvi un film che non troverete nella programmazione di questi mesi, ne tra i film di Natale. Lo troverete però facilmente in dvd o in qualunque videoteca poiché si tratta di uno dei capolavori del cinema. E vi assicuro che vale quei dieci euro che spenderete per comprarlo. È un film in bianco e nero del 1941 diretto da un giovane di 26 anni che si chiamava Orson Welles e il titolo è Citizen Kane (in Italia Quarto potere). Uno dei film più importanti della storia del cinema.
Nella vita di tutti noi, c'è un film o un libro a cui dobbiamo qualcosa. Chi poco, chi tanto. Il mio è Citizen Kane. Nessun altro film mi ha colpito nel profondo come il “Cittadino Kane”. Un colpo di fulmine, come la scoperta del primo grande amore. È il film che insegna che il cinema non è solo immagini o suoni ma forma espressiva ben definita e completa. Un dispositivo perfetto, un mix di tecnica e immaginario che s'innesta su un pensiero sterminato. Citizen Kane è un mosaico tutto giocato sull'arte di scoprire, sulle verità parziali, sul potere e sulla solitudine. Uno di quei film che ti tramortisce mentre lo vedi ma che ti costringe a una riflessione costante e mai ripetitiva e che ad ogni ulteriore nuova visione, ti fa scoprire qualcosa di nuovo che non avevi notato nella visione precedente, un meccanismo esemplare che ti prende e che ti lascia solo alla fine, davanti a “Rosabella”, quella parola che tutti nel film cercano di interpretare e che solo lo spettatore avrà la fortuna di comprendere fino in fondo.
I grandi film lasciano addosso un senso di prostrazione che si accompagna a una sottile soddisfazione che ha qualcosa di fisico, che rientra nella categoria dei piaceri non descrivibili. Non c'è solo la vicenda, la trama avvincente, l'immagine rivoluzionaria e un montaggio aggressivo come mai prima avevo incontrato. C'è anche una straordinaria presenza di attori che in qualche modo alzano progressivamente, con il loro lavoro, il livello del film. Orson Welles, con questo suo primo film, dimostrò la sua straordinaria capacità di direzione degli attori, costruendo caratteri, sentimenti, sguardi, passioni, gioie e dolori in un modo così autentico e credibile che non si era mai visto fare al cinema. Che dire poi della tecnica. Lo stile in Welles diventa segno indelebile di un'idea di cinema, di un immaginario allucinato che trasporta lo spettatore nel mondo da lui creato. Lì deve stare e lì deve provare a comprendere. La raffinatezza delle scene, la composizione delle inquadrature, l'uso della luce. La fotografia, di Greg Toland, non era più semplice arredo visivo ma parte integrante della storia e traccia marcata attraverso cui seguire lo sviluppo della vicenda Kane.
Per la prima volta scoprivo, incantato, che la luce poteva raccontare e svelare molto più delle parole. Che aveva una forza evocativa e narrativa sorprendente. Con la luce si poteva creare ambienti, personaggi, situazioni, definire luoghi e personaggi, portare il film verso territori dove lo spettatore si sarebbe trovato spiazzato ma al contempo incantato.

Bruno Bigoni