rivista anarchica
anno 44 n. 389
maggio 2014


abitare

Di chi è la terra?

di Colin Ward
con nota a margine di Francesco Codello


Da un'analisi storica della relazione tra campagna e classi sociali, vent'anni fa l'architetto, urbanista e militante anarchico inglese traeva spunto per considerazioni che mantengono la loro validità di fondo in altri tempi e luoghi.


Anche se all'inizio ebbe una scarsa risonanza, la frase “La proprietà è un furto” è diventata una delle più citate del diciannovesimo secolo, sbandierata da anarchici e conservatori, presa a prestito da socialisti e comunisti, appesa come un manifesto a sensazione sopra il ritratto del suo autore. L'ironia è che Proudhon non aveva inteso esprimere letteralmente quel concetto, ma semplicemente dare una certa enfasi al proprio discorso... Denunciava l'uso della proprietà da parte di chi se ne serviva per sfruttare il lavoro altrui, senza nessuno sforzo da parte sua, la proprietà che si distingue per l'interesse, l'usura e la rendita, per il prevalere dei non produttori sui produttori. Nei confronti della proprietà intesa come “possesso”, il diritto di un uomo di controllare la propria abitazione, la terra e gli strumenti che gli servono per lavorare e per vivere, Proudhon non nutriva nessuna avversione: la considerava come un architrave essenziale della libertà e la sua critica principale verso i comunisti riguardava appunto la volontà di distruggerla da parte loro.

Gorge Woodcock, Pierre-Joseph Proudhon: A Biography


Nel settembre 1969 noi tutti applaudimmo quando la frase di Proudhon, La proprietà è un furto comparve a lettere alte un metro sul muro del 144 di Piccadilly, un ex residenza reale. Gli occupanti furono fatti sgomberare e lo slogan venne cancellato. Siccome la Corona e la famiglia reale inglese posseggono pezzi della Gran Bretagna più di chiunque altro, quella frase risultava appropriata in modo in equivoco ed evidente a chiunque.
Ovviamente c'è sempre stata una distinzione tra le occupazioni come espressioni di lotta politica, da quella di Winstanley e dei Digger a St George's Hill, nel Surrey, nel 1649 fino alla recente di The Land is Ours a Wandsworth nel 1996, e le occupazioni come soluzione personale di un problema abitativo. Nel primo caso si vuole essere notati per motivi propagandistici, nel secondo la speranza è di restare invisibili e mimetizzarsi nel paesaggio. Data l'idea generale che si ha del movimento delle occupazioni, è sempre stato un paradosso che, come gli occupanti nel villaggio di Herefordshire sognavano di garantire i diritti ai propri figli per testamento, così il tipico squatter contemporaneo spera di avere la certezza di un contratto di affitto.
È possibile che chi teorizza la rivoluzione sia contrariato per l'abisso che esiste tra la retorica delle parole e la vita di ogni giorno, a causa della strana incapacità di distinguere tra la proprietà del signore e quella del contadino. “Nessuno” sollecitava Winstanley “deve avere più terra di quella che può lavorare da solo o insieme ad altri che lavorino con lui per affetto, spartendo con lui la fatica e il pane.”² È appunto questa la differenza tra l'appropriazione di terre da chi le occupa e da chi le chiude con una recinzione.
In molte culture si tramanda che la terra era un tempo di proprietà comune. “Il signore è padrone dei contadini, ma in contadini sono padroni della terra” dice un vecchio proverbio russo dei tempi in cui i proprietari terrieri misuravano la propria ricchezza in “anime”, e la presa delle terre da parte dei contadini nel 1917 precedette la presa del potere da parte dei bolscevichi. Ricorda David Mitrany:

Il crollo del vecchio regime era stato come l'incrinatura di una diga, attraverso la quale era filtrato un piccolo rivolo che si era trasformato un una corrente impetuosa di azione rivoluzionaria spontanea. I contadini cominciarono d'improvviso a prendere con la forza ampie proprietà e boschi: il numero delle occupazioni aumentava di mese in mese: 17 in marzo, 204 in aprile, 259 in maggio, 577 in giugno, fino a 1.122 in luglio. Si è calcolato che nei primi due anni i contadini di trentasei distretti abbiano preso l'86 per cento dei latifondi e l'80 per cento degli strumenti per coltivare: le terre coltivabili nelle loro mani aumentarono dall'80 al 96,8 per cento.

Retrospettivamente, gli anni d'oro del Novecento sovietico sono stati gli anni venti, quando “era possibile trovare soluzioni che consentivano alle famiglie contadine di formare cooperative e conservare le proprie terre, le proprie case e macchinari separati dagli altri, e tenere per sé i guadagni”, come scrive lo storico Robert Service, che però nel capoverso successivo osserva: “L'idea che i contadini decidessero per proprio conto era una bestemmia per Stalin.” Alla fine del decennio la collettivizzazione di massa distrusse il mondo contadino. “Il prezzo fu spaventoso. Nel biennio 1932-33 perirono probabilmente tra i quattro e i cinque milioni di persone in seguito alla ‘liquidazione dei kulaki come classe' e all'ammasso del grano.”
Poiché i cittadini dell'Unione Sovietica e poi dei paesi satelliti non avevano la possibilità di discutere quella terribile lezione, dovettero emergere soluzioni alternative per la produzione alimentare, che poi trovarono la possibilità di emergere all'interno della politica ufficiale. Alla fine fu permesso ai contadini di coltivare “appezzamenti privati” e questi furono la salvezza per le disponibilità alimentari della Russia.
Nel 1963 gli appezzamenti privati coprivano circa 44.000 chilometri quadrati, circa il 4 per cento di tutti i terreni arabili delle fattorie collettive. Da quelle terre “private”, però, viene circa la metà dei vegetali prodotti nell'URSS e vi si trovano il 40 per cento dei bovini e il 30 per cento dei suini del paese.
Esiste un parallelo tra quello che sosteneva Winstaley, cioè che i guai dell'Inghilterra derivavano dalla conquista normanna e dall'affermazione che tutta la terra appartenesse al Re, e quanto pensavano milioni di cittadini sovietici: che essi avevano il diritto di colonizzare piccoli appezzamenti perché qualcuno aveva raccontato a loro che sarebbero stati restituiti al popolo. In Inghilterra, come spiega Oliver Rackham,

Guglielmo il Conquistatore introdusse la dottrina non inglese secondo la quale la terra in definitiva appartiene alla Corona. Era un aspetto del nuovo e supremo ruolo del sovrano, per cui egli aveva il diritto di tenere selvaggina su terre altrui, idea che sta alla base del sistema della Foresta.

Lo stesso aspetto, spesso trascurato, è stato sottolineato da Simon Shama:

Tali “foreste” potevano essere, ed erano imposte su grandi aree della campagna inglese, compresa l'intera contea dell'Essex, dove non c'erano boschi e che includeva tratti di pascolo, prati, terre coltivate e perfino città.

Colin Ward con la moglie Harriet

Ma i ricchi vanno in campagna

Proprio come i poveri senza terra dell'Inghilterra medievale aspiravano ad appezzamenti marginali in terre deserte da poter colonizzare, così l'economista Hugh Stratton riferisce come nell'Unione Sovietica degli anni settanta “i residenti nelle città russe, in modo commovente, perlustravano le campagne in cerca di appezzamenti trascurati da coltivare, visitare, vivere come loro proprietà, per quanto minuscole. I loro padroni, che possedevano tutto proprio come i padroni dei tempi di Marx, scoraggiavano quella pratica piccolo-borghese”. Ma con il crollo graduale del regime sovietico, già nel 1985 si riferiva:
Per il cittadino russo medio, sembra che il primo simbolo dell'era di Gorbaciov sarà un'assegnazione di terreni. Il Politburo ha autorizzato una serie di misure destinate ad aumentare il numero di orti privati, numero che si è già dimostrato insufficiente a fronte di una domanda crescente... Una volta che l'appezzamento è stato vangato e zappato, dopo la semina e il raccolto di ortaggi, i proprietario è autorizzato a impiantarvi un capanno e, con un po' di fantasia nell'interpretazione delle regole, il capanno si trasforma in una piccola dacia...
In tutti i paesi dell'Europa dell'Est ci sono stati fenomeni simili a quello sovietico. I visitatori occidentali nelle città polacche, ceche, ungheresi, rumene, bulgare e iugoslave potevano notare un paesaggio fatto di orti e di chalet autocostruiti lungo le strade dall'aeroporto al centro città. Così lo descrive Ian Hamilton:

La presenza di terreni di proprietà di agricoltori ai margini delle città offre le possibilità di una graduale evoluzione, anzi di una crescita “come funghi” di “insediamenti selvaggi”, come a Nowy Dwor fuori Varsavia o a Kozarski Bok e Trnje ai margini di Zagabria...

Più dalle nostre parti il sistema di gestione del territorio britannico, costruito intorno ai Town and Country Planning Acts – le leggi urbanistiche e territoriali approvate da enti locali democraticamente eletti, è stato molto più efficace nell'escludere i poveri di città dall'hinterland rurale. L'applicazione delle norme sulla progettazione, la costruzione e la sanità ha assicurato un'eliminazione, senza spargimento di sangue, della classe contadina sopravvissuta nelle campagne inglesi. Ho citato altrove lo storico L.C.T. Rolt, che negli anni settanta descriveva i cambiamenti cui aveva assistito nell'Inghilterra occidentale, dove chi abitava in case di campagna era diventato locatario di edilizia pubblica.
La borghesia locale disprezzava quei brutti casermoni comunali e faceva battute sugli abitanti, che avrebbero tenuto il carbone nella vasca da bagno. Gli assegnatari, invece, erano tutti emozionati per avere non solo una stanza da bagno, ma anche un gabinetto, camere abbastanza spaziose e senza umidità, offerte non dai vecchi proprietari dei latifondi. Sotto il regime della Thatcher, però, i comuni non sono stati solo costretti a vendere i propri immobili, ma è stato loro impedito di utilizzare i proventi per costruirne di nuovi. Questo fatto, oltre al mutato atteggiamento che considera ogni nuovo edificio (tranne le case rurali, grazie all'influenza politica della lobby degli agricoltori) uno sfregio al paesaggio, si somma al problema per cui il permesso di costruzione moltiplica per dieci il valore di un terreno rurale. Il risultato è che i giovani delle famiglie locali hanno poche possibilità di mettere su casa per conto proprio e vanno in affitto nella città più vicina, mentre i nuovi occupanti di quei pittoreschi cottage sono in prima linea nelle campagne di preservazione dei villaggi, perché, come ha più volte spiegato il professor Gerald Wibberley, vogliono che il proprio villaggio resti esattamente com'era il giorno in cui hanno scelto di trasferirsi lì.
In uno dei suoi numerosi articoli, Mark Shucksmith, ha descritto come l'Inghilterra rurale è stata trasformata in una campagna esclusiva dove possono permettersi di vivere solo persone benestanti:

Le ricerche ci dicono che la progressiva “borghesizzazione” dell'Inghilterra rurale è destinata a continuare, perché i proprietari più ricchi escludono i gruppi più poveri a causa della scarsità di abitazioni e la “esclusione sociale” diventa così anche una “esclusione geografica”. Una pianificazione che ridia spazio a un'offerta di abitazioni a prezzi ragionevoli è fondamentale per sostenere le comunità rurali e per cambiare l'esistenza di tante persone.
L'effettivo contrasto a tale situazione, in cui solo i benestanti con doppio box per l'auto e il SUV possono abitare in campagna, è venuto non da movimenti politici, ma da persone che aspirano a procurarsi parte del cibo in piccoli appezzamenti di terreno e che sostengono con calore l'impegno del governo per uno sviluppo sostenibile approvato al Summit di Rio nel 1972. Simon Fairlie faceva parte di un gruppo di amici che affitto una casa nell'Inghilterra occidentale con un grande giardino su terreni agricoli, ma che fu sfrattato per lasciare posto a un campo di golf. Dopo avere abitato in un camper per due anni, si unì a un altro gruppo e acquistò una piccola tenuta priva di abitazioni. Con gli amici piantò sette tende e cominciò a coltivare. Il risultato fu, da come racconta, che “nei due anni da quando ci siamo trasferiti sulla nostra terra, abbiamo dovuto attraversare tutta la trafila burocratica: delibera della commissione, ordinanza applicativa, notifica di fermo lavori, applicazione dell'articolo 4, approvazione di cui alla Sezione 106, appello, convocazione del Segretario di Stato, valutazione a norma di legge presso l'Alta Corte. Il tutto per sette tende!”
Alla fine, Fairlie e i suoi amici si sono conquistati il dritto a restare, ma altri insediamenti, come quello della comunità di ex-alcolisti di King's Hill, hanno dovuto battagliare con la legislazione e anche loro hanno avuto il diritto a restare. Il caso di Fairlie è interessante, non solo come precedente, ma perché ha introdotto a un coinvolgimento importante nel dibattito sulla gestione del territorio. Il suo scopo non era di demonizzare i meccanismi della pianificazione. Fairlie ci crede, perché sa che senza piano del territorio, la speculazione avrebbe completato la devastazione delle campagne, sovvenzionata da anni per distruggere boschi, campi, piante e animali selvatici.

Braccianti e squatter ai margini della storia

Nella Town and Country Planning Summer School di Lancaster, nel 1993, sir Richard Body, agricoltore e poi parlamentare del partito conservatore, aveva rivelato: “L'intensificazione delle attività agricole negli ultimi 25 anni è proceduta più rapidamente e in modo più disordinato nel Regno Unito rispetto a ogni altro stato membro della Comunità Europea.” Al pubblico di urbanisti lesse quella che definì “la triste litania di statistiche dei guasti inflitti all'ambiente rurale dai sussidi pubblici agli agricoltori”, che comprendeva:

130.000 miglia (210.000 chilometri) di filari di siepi strappate
scomparsa del 40 per cento delle nostre superfici boschive
Sette milioni di acri (2,8 milioni di ettari) di terreni da pascolo convertiti in arativo
Oltre il 95 per cento di terre umide prosciugate
875 miglia (1.410 chilometri) di muri in pietra demoliti
95 per cento dei terreni collinari del sud persi per l'agricoltura
180.000 acri (73 ettari) di brughiera convertiti in arativo

Continuò affermando che lo rendeva furente, al pari degli altri osservatori, il fatto che dopo avere sovvenzionato i proprietari di terreni agricoli perché facessero tutti quei danni in nome dell'aumento della produzione alimentare, ora stiamo “pagando gli agricoltori perché gestiscano le campagne per tutelare l'ambiente rurale”.
Negli ultimi anni del secolo passato i cambiamenti nella politica di sovvenzioni, motivati dalle imbarazzanti “montagne di cibo” in Europa, hanno limitato i redditi dei proprietari di terreni agricoli, che erano stati gonfiati per decenni, e fatto emergere una “lobby agricola” che proclamava che il paesaggio rurale era messa a rischio da cittadini ignoranti che non riuscivano a capire i metodi tradizionali dell'agricoltura. Non è rimasto a Peter Hall e a chi scrive di indicare l'evidenza delle statistiche ufficiali che dimostravano come la quantità di terreni agricoli accantonati dalla politica agricola europea e abbondantemente sovvenzionati per non produrre niente era pari a tre volte la superficie necessaria per accogliere tutto lo sviluppo urbano previsto in Gran Bretagna per i prossimi venticinque anni.
I fatti che riguardano l'Inghilterra rurale sono una silenziosa testimonianza del modo in cui i ricchi, perorando la causa della tutela delle campagne, hanno badato ad escluderne i poveri. L'immenso valore delle mobilitazioni legate a The Land is Ours sta nel fatti che in pratica da soli i suoi attivisti hanno riaperto il dibattito sulla questione centrale per noi tutti, per il solo fatto di essere nati su questa terra, di godere del diritto di accedere a una modesta quota di essa. Il gruppo Rural Planning di quella campagna è noto con il nome di “Capitolo 7”, perché quella parte dell'Agenda 21 per la “Promozione di insediamenti umani sostenibili” contiene una serie di affermazioni, la prima delle quali spiega che “l'obiettivo è di dare accesso alla terra a tutte le famiglie... attraverso una pianificazione valida dal punto di vista ambientale”.
Il capitolo 7A dello stesso documento, che mette in primo piano la giustizia sociale, dichiara inoltre: “Tutti i paesi dovrebbero per quanto è possibile sostenere gli sforzi per dare un tetto ai poveri delle città e delle campagne, adottando e/o adattando le norme e i regolamenti esistenti per favorire l'accesso al finanziamento e ai materiali da costruzione a basso costo.”
Il capitolo 7G ricorda gli obiettivi di quelli del movimento Arts and Crafts di un secolo fa, come William Richard Lethaby, che voleva abitazioni rurali che “spuntassero come allodole dai solchi”. Infatti il capitolo dichiara:

Tutti i paesi dovrebbero rafforzare l'industria locale di materiali da costruzione, basata per quanto possibile sugli apporti delle risorse naturali disponibili sul posto... promuovere l'uso di metodi di costruzione con alto contenuto di manodopera... sviluppare politiche e pratiche per arrivare al settore informale e alle pratiche di autocostruzione... scoraggiare l'uso di materiali da costruzione e prodotti che inquinino nel loro ciclo di vita.

Il governo inglese si è impegnato in questo senso attraverso la firma apposta dal governo precedente alla Dichiarazione di Rio del 1992 e questo comporta anche l'impegno riguardo al concetto (al Capitolo 7C) di “accesso alla terra per tutte le famiglie... attraverso una pianificazione valida dal punto di vista ambientale”. Non ci sono molte tracce di un'accettazione di questi principi nelle “Note guida per la politica di piano” che il governo trasmette agli organismi locali di pianificazione. Ci sono invece segnali, non che queste autorità abbandonino le politiche di sperpero del passato, ma che, con l'incentivo in più dell'adeguamento della legislazione britannica alla Convenzione europea per i diritti umani, esse siano costrette ad adattare il sistema della pianificazione alle persone indicate al Capitolo 7 – quelle che “si scelgono una propria abitazione in edifici autocostruiti, in case mobili, furgoni, tende o capannoni senza spese per i contribuenti e più o meno in contrasto con i piani di territorio”.
Il riconoscimento, quando avverrà, sarà l'ultimo gesto nei confronti di braccianti e squatter che si sono fatti un'abitazione ai margini della storia.

Colin Ward
traduzione di Guido Lagomarsino




Quel suo stile pragmatico


Questo scritto di Colin Ward, che qui proponiamo, è l'ultimo capitolo (The Land is whose?) di un più ampio lavoro Cottiers and Squatters. Housing's Hidden History (Five Leaves Publications, Nottingham, 2002). In questo libro Ward evidenzia, come abitualmente fa nei suoi diversi lavori, il modo non ufficiale, inusuale, alternativo, in cui gli esseri umani hanno usato e usano l'ambiente (in questo caso specifico quello rurale. Un posto particolare il nostro autore lo assegna al fenomeno degli squatters cui origini vengono individuate fin dai tempi delle rivolte dei Diggers durante la rivoluzione industriale del sei-settecento inglese.
La scrittura di Ward è, come sempre, fluida, ricca di aneddoti, di esempi concreti, e ci introduce in un ambito veramente interessante e alternativo di stare nei contesti storico-geografici, in questo modo l'evidenza di una possibile e concreta azione di mutamento radicale della realtà, appare come “naturale” e in grado di essere sperimentata subito senza attendere il totalmente altro.
Anche in questo caso dunque, riprendendo il suo anarchismo, egli capovolge la logica tradizionale e rivoluzionaria dell'anarchismo cercando di evidenziare che le alternative non solo sono possibili ma, per certi aspetti, esistono già “come seme sotto la neve”.
Nello specifico di questo testo poi vengono posti alcuni problemi che meriterebbero un approfondimento e una discussione ancor oggi: il rapporto tra proprietà e possesso (ricordate Proudhon?), in particolar modo della terra, la relazione deviata di stampo ideologico nel concepire il rapporto uomo e natura, il tema e le pratiche di autocostruzione, il rapporto città-campagna (ricordate Kropotkin?), ecc. Argomenti che, come si vede, interessano l'oggi e dovrebbero essere ripresi e riaffrontati.
Come sempre Ward, con uno stile molto pragmatico e ricco di dati e riflessioni attuali, ci sottolinea aspetti del nostro vivere quotidiano che, magari distrattamente, non consideriamo importanti ma che in realtà sono vitali da affrontare, per chiunque voglia seriamente porsi l'orizzonte del cambiamento a portata di mano e non in una prospettiva lontana e per questo poco credibile.

Francesco Codello



Alcuni libri di Colin Ward

La casa editrice Eleuthera
ha pubblicato, nel corso degli anni, vari libri di Colin Ward.
Eccone alcune delle copertine.


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