rivista anarchica
anno 44 n. 389
maggio 2014




Botta.../ Ancora sui berberi

Cari Isabelle e Abdellah,
credo che tra di noi (Attenti a non mitizzare i berberi, “A” 386, febbraio 2014, pag. 119) ci sia un diverso modo di leggere la storia. Forse complementare, ma certamente diverso.
La storia a cui voi fate riferimento è quella delle conquiste o delle conversioni, dei condottieri e degli eroi, dei trattati e degli imperi. Avete ragione, io sono fuori da questa storia, anzi ad essere sincero io a questa storia non sono semplicemente interessato. La storia che mi affascina è quella delle persone, magari delle comunità, dei loro usi e costumi. Forse più che storia si tratta di antropologia. In antropologia c'è una maniacale ricerca del mito. Il mito rappresenta un potentissimo strumento per capire una comunità.
Quello che ho voluto descrivere con il mio articolo sui berberi non è certo un mito tamazight, ma un mito del mondo occidentale. Del resto si capisce meglio se stessi quando si entra in relazione con gli altri. Il mito che ho raccontato è quello legato ad un mondo che sembra essere perduto, fatto di relazioni che sono anche di natura commerciale, come quelle che avvenivano nei mercati, ma sono anche legate ad una prossimità con la natura, che un popolo nomade è costretto ad affrontare, oserei dire, per definizione.
Quindi lungi da me il voler miticizzare i berberi, io ho voluto alimentare un mito in seno alla cultura occidentale che credo sia importante alimentare, per stimolare il cambiamento verso una società più autentica. Una conversione alla logica del lavoro artigianale e del contatto con l'ambiente che ci circonda. Perché, cari Isabelle e Abdellah, quello che ho trovato essere vero, nel senso sincero, durante il viaggio che ho fatto in Marocco, è l'incontro con una cultura viva e pulsante, energia questa che faccio fatica a trovare in Europa, anche nella mia per ora poco standardizzata Lisbona.
Grazie.

Gianluca Luraschi
Lisbona (Portogallo)

...e risposta/Parliamone davanti a un tè (alla menta)

Caro Gianluca,
la nostra era semplicemente una reazione ad una tua frase sulla “lunghissima storia dei berberi”, di cui dicevi che “non hanno mai fatto guerre di conquiste, solo vittoriose resistenze”. Il titolo sulla mitizzazione non è nostro ma degli editori.
Per il resto, siamo contenti, e non sorpresi, che anche tu sia stato conquistato dall'atmosfera dei suk, dal saper fare degli artigiani, dall'arte di negoziare che descrivi così bene nel tuo articolo, e forse anche dalla “leggendaria ospitalità marocchina”. E così t'invitiamo, appena si presenta l'occasione, a prolungare la discussione intorno ad un tè, alla menta s'intende.

Isabelle Felici e Abdellah Diyari
Montpellier (Francia)

Ma che brutto gioco/ Programmi tv come addestramento di massa alla sottomissione

Avrete notato, credo, il moltiplicarsi (in tempi così rapidi da non poter essere fenomeno casuale o “naturale”) di programmi tv basati sulla competizione. Anzi sulla competizione esasperata che conduce ad una sistematica, progressiva eliminazione.
La formula è semplice, sempre la stessa: cantanti, cuochi, parrucchieri, pasticcieri, ballerini, aspiranti uomini d'affari (sic) e altre categorie si sottopongono al giudizio - spesso spietato, sempre severo - di sedicenti giudici. Da notare che i giudici, il cui verdetto è inappellabile, sono quasi sempre sconosciuti al grande pubblico quanto gli aspiranti che saranno giudicati, ma essi (i giudici) sono investiti di un'autorità (ripeto: autorità, dato che della loro autorevolezza nulla è dato a sapere) di un'autorità, dicevo, assoluta. Lo “spettacolo” funziona così: gli esaminandi si sottopongono a prove anche molto dure, la competizione è feroce perché il “gioco” è a eliminazione, non esistono squadre perché il vincitore può essere solo un individuo e i gruppi che occasionalmente si formano hanno una vita solo funzionale alla selezione dei singoli. I giudici usano - si noti, ciò accade in ogni programma - una durezza ostentata, una spietatezza programmatica e spiccia. Talvolta arrivano alla soglia dell'insulto, mentre l'umiliazione è regolare.
L'arroganza è il codice di questi programmi: arroganza esibita dal giudice, arroganza subìta come inevitabile e dunque necessaria da parte del candidato. O si vince o si cade nel nulla: questo è il messaggio di tali programmi che, va sottolineato ancora una volta, sono sempre più diffusi. Gli esaminati accettano supinamente l'autorità totale dei giudici: chi viene cacciato, ha spesso parole molto severe verso se stesso; così come sono esagitate le dichiarazioni: “ce la metterò tutta” o “non posso fallire questa è la mia vita” o “non la deluderò, chef” ecc.ecc.
Perché mi occupo di questa ennesima forma di tv spazzatura che, francamente, fa proprio schifo? Perché oggi la tv non descrive, ma anticipa la realtà della società.
O meglio: la tv è il battistrada, l'apripista delle teorie sociologiche delle classi dominanti. È la cartina al tornasole. È la ricetta della torta avvelenata che ci stanno confezionando. Sotto la (falsa) motivazione dell'intrattenimento, la televisione disegna e testa la società che il sistema sta imponendo.
La tv oggi è il laboratorio di prova, e al tempo stesso il maggior artefice, della società che le classi dominanti stanno disegnando e imponendo al mondo occidentale. I programmi di cui ho appena detto non sono “giochi”: sono la struttura imminente della società e del mondo del lavoro. Le classi dominanti vogliono una società docile, mansueta, fatta di individui che non hanno idea di cosa sia la solidarietà ma che vivono sgomitando rabbiosamente in una competitività frenetica. Le classi dominanti vogliono il diritto assoluto di giudicare e premiare e selezionare. La cosiddetta meritocrazia è l'infame etichetta che i padroni hanno dato alla loro pretesa di scegliere chi premiare, in base a criteri che solo loro decidono e applicano.
Altro messaggio forte che si vuole dare è questo: “se fallisci, la colpa è solo tua”, e ancora: “io ti ho dato l'occasione della tua vita, tu l'hai sprecata”: sono vergognose menzogne che servono solo a giustificare il ruolo di potere e negano che il successo sia ottenuto (come invece succede) da infinite vie anche inconfessabili, da mezzi diversi, in modi diversi e la riuscita, in questa nostra società, non dipende che in piccola parte dal reale valore delle persone. Ma se si ammettesse questo, cadrebbe come una montagna di fango l'imponente piramide sociale su cui svettano i potenti. Questa pseudo- ideologia del successo ignora, anzi irride, tutto ciò che sappiamo da secoli sulle dinamiche sociali, sulle influenze dell'ambiente economico e sulle profonde complesse reti causali che modulano la vita degli individui e della società.
Insomma: non è affatto vero che vincono solo i migliori, ed è ancora più falso che “se sei bravo, prima o poi arrivi al successo”: è la più ridicola menzogna borghese, fondata su un agghiacciante darwinismo sociale, rozzo e bestiale. Certi programmi tv sembrano divertenti passatempi che incentivano l'hobby della cucina o del canto. In realtà, sono operazioni di manipolazione culturale che stanno sovvertendo valori secolari, creati dall'impegno e dalla fatica di generazioni: solidarietà, collaborazione, consapevolezza, rispetto, autogestione, creatività sono ciarpame che ostacola il progetto di dominio delle classi dominanti.
Obbedienza, sottomissione, arrivismo e servilismo sono le nuove coordinate della società che i padroni ci stanno imponendo con la forza (repressione, controllo poliziesco, nevrosi normativa) e con la suggestione più o meno evidente di uno “spettacolo” che celebra soltanto l'imbecillità e la violenza.

Paolo Cortesi
Forlì

Prosegue il dibattito su
movimenti e potere

Pubblichiamo qui di seguito il terzo interventi pervenuto nel dibattito sulle tematiche toccate nei quattro articoli di Antonio Senta (“potere e movimenti”) pubblicati sulla nostra rivista tra l'ottobre 2013 (“A” 383) e il febbraio 2014 (“A” 386). Ricordiamo che, come in occasione del precedente dibattito sul libro “Libertà senza rivoluzione” di Giampietro “Nico” Berti, gli interventi non possono superare le 6.000 battute (spazi compresi).



Dibattito
Movimenti e potere/3

Francesca Palazzi Arduini/Lo Stato non c'è (quasi) più

È stato fatto molto dibattito in questi ultimi anni sull'autogestione di proteste, assemblee e spazi come momenti politici, sulle manifestazioni di massa popolari che spesso vedono l'assenza di forme partito alla loro testa.
L' anarco ottimista David Graeber ci invita a pensare al futuro come basato su collettività sociali e politiche che ri-cominciano a decidere di sé con la pratica “del consenso”, pratica inclusiva che mette ognuno/a nella libertà di accettare o no le decisioni prese. Il ritorno a metodologie di base funziona però solamente in piccole comunità, o Reti Sociali e Piattaforme digitali che non si occupino di questioni sociali ed economiche pratiche, per le quali il “non decidere” o il “non accettare le decisioni prese” potrebbe favorire la creazione di enclaves, e di un pericoloso sgretolarsi del concetto di “cittadinanza” già abbondantemente sconfitto assieme a quello di laicità.
Un futuro del pensiero anarchico concentrato sulla pratica del consenso, già applicata in tante assemblee e comitati territoriali, ed altrettante volte malfunzionante non appena il consesso si allarga, ci mostra dunque ancora una volta quali sperimentatori marginali.
Ipotizzare che il futuro politico consisterà di decisioni anche su larga scala per le quali “Anziché votare delle proposte, le proposte sono considerate e rielaborate…in un processo di compromesso e sintesi in cui si finisce con l'ottenere qualcosa con cui chiunque è d'accordo”, somiglia un po'troppo a un processo di negazione del conflitto reale e a un esperimento già svolto dalla socialdemocrazia .
L'anarchismo come riflessione filosofica e politica antistatale, resta quindi marginale nello scenario in cui la concezione tradizionale di Stato (e anche di Diritto e di Bene pubblico) è stata rottamata assieme ai baluardi etici che lo abbellivano, affidati ai soggetti sussidiari.
La forbice tra nuove comunità chiuse, o micro-regioni virtuose solo se cinte da mura… e l'alleggerimento del sistema Stato per farne una Agenzia di fornitura di un servizio basico di controllo sociale al nuovo capitalismo, taglia in realtà fuori come sempre l'anarchismo dal dibattito politico, e non è poi così larga.
L'esempio italiano è eclatante: la pratica del non voto in continuo aumento ma un movimento anarchico somigliante a un Tantalo.
Dal 1948 al 1976 si recava alle urne il 92% degli italiani e solo dal 1976, guarda caso con le prime defaillances del Pci, l'astensionismo inizia a salire giungendo alla percentuale di oggi che rasenta il 25% ed è destinata a salire. Infine si presenta un nuovo movimento politico gestito commercialmente e mediaticamente da due ‘pubblicitari', che riesce a diventare il terzo partito in Parlamento (con 8.689.168 voti alla Camera, più del Pd) e che sembra mimare tutti i difetti della Lottocrazia, per la quale, a prescindere dalla appartenenza ad una classe sociale e/o dalla competenza, chiunque ha diritto ad essere sorteggiato per governare.
A ciò certo si sovrappongono nuovi esperimenti di manipolazione di massa che sfruttano la povertà per innescare una richiesta di Stato, ma che interessano per ora solo l'estrema destra e le caste di servizio allo Stato.
Proprio l'esperimento taroccato in partenza dei Cinque stelle mette al centro del dibattito questo: la riflessione anglosassone sulla sperimentazione di forme di autogoverno nazionale e transazionale basate sulla Sorteggiocrazia, che punta tutto sul recupero della nozione di cittadinanza paritaria. Qui dovrebbe essere presente anche l'analisi sul mutamento della composizione delle classi sociali, della coscienza di appartenervi, e il dilemma dell'influenza dei media, cui chi attualmente dibatte non sembra molto interessato.
“Chiunque può governare”, un assunto che pare rivoluzionario ma che può perdersi nell'individualismo e nell'astratto. E questo proprio per i mutamenti che il Capitale ha innescato: dal 2006 la globalizzazione della produzione determina una drastica diminuzione dei lavoratori nel settore agricolo (38.7%) e industriale (21.3) e la preponderanza dei lavoratori nei servizi (40%). Mutanti, fluttuanti, ricattabili, influenzabili. È cambiata non solo la percezione di sé ma anche la socialità politica.
Nelle nuove generazioni c'è sempre minore consapevolezza della differenza non solo tra uso della violenza e uso della forza ma soprattutto di quella tra la politica del Manifestare (che ha come controparte un potere che può ascoltare ma anche ignorare ed è oggi in gran parte teatro gestito dai mass media), la politica delle Vertenze (che presuppone, come nel caso di scioperi e blocchi una controparte verso la quale si può esercitare un potere e intavolare una trattativa), e quella delle Rivoluzioni (che consiste nel privare del potere chi ce l'ha deliberando nuove forme per la gestione di esso).
Non è un caso che, come sottolinea Maria Matteo in “A” 385, nell'ottobre 2013 le manifestazioni romane si siano divise tra quella sindacale e quella che riuniva in qualche modo l'area antagonista sociale: ciò ha sottolineato l'incapacità di unire ciò che la globalizzazione ha diviso.
La mia opinione è che in questo scenario, nel nostro Paese l'ideologia debba cedere il passo ad una politica saldamente ancorata ai fatti e alla possibilità di inserirsi nelle macro-dinamiche suscitando dibattito e prese di posizione fruttuose. La nostra scommessa deve essere riattivare socialmente e politicamente il gigante che dorme in quel 25% di astensioni e in quell'altro 25% di votanti delusi dalla demagogia.

Francesca Palazzi Arduini


Anarchici contro il fascismo/ Altri libri

Nello scorso numero di “A ”(n. 388 – aprile 2014), all'interno della mia traccia bibliografica (Insuscettibili di ravvedimento, alle pagg. 06/109), rimarcavo la sostanziale assenza di lavori specifici sulla Resistenza antifascista in Liguria e nel milanese.
Devo invece segnalare, con piacere, due titoli nei quali si parla delle numerose formazioni partigiane libertarie operanti nel genovesato. Il primo, di Guido Barroero, Anarchismo e Resistenza in Liguria, Genova, AltraStoria, 2004, uno studio particolareggiato, ricco di nomi e notizie, che l'autore vorrebbe propedeutico a nuovi e più ampi studi, il secondo di Anna Marsilii, Il movimento anarchico a Genova (1943 – 1950), Genova, Annexia, 2004, con un lungo capitolo sulla Resistenza armata.
Segnalo infine che a breve dovrebbe uscire un ampio lavoro storico sulle formazioni libertarie operanti a Milano, coronamento del lungo lavoro di ricerca di Mauro De Agostini e Franco Schirone.

Massimo Ortalli

Ricordando Paolo Soldati/Intransigente e generoso

Mi unisco ad Aurora Failla e a Paolo Finzi in tutto quello che hanno espresso ricordando Paolo Soldati (“A” 387, marzo 2014).
Amico generoso ed intransigente al contempo, compagno di strada nell'aprire altre vie, Paolo riusciva a comporre la vita ideale nell'esistenza materiale direi quasi distrattamente, senza principi e dogmi, da anarchico qual era. Così lo rivedo: solare nell'adempiere le necessità quotidiane, spaccare legna e murare sostegni, soffermarsi pensoso in pieno orto di montagna e potare la vigna, discutere senza mezzi termini su ciò che è giusto e si deve fare, e che lui faceva in cambio di niente; gli zoccoli di legno e le mani scalfite...

Paolo Soldati

L'ho conosciuto insieme alla sua compagna Milena proprio grazie a Paolo e ad Aurora, per questo avrei voluto sottoscrivere la loro lettera: una lettera è sempre una lettera d'amore e in questo circolo mi ritrovo, con parole che riesco “miseramente” a dire in confronto a ciò che provo.
Paolo e Milena mi hanno accolto nella loro casa di Pedrinate, ai confini tra Ticino e Lombardia. Mi hanno fatto incontrare “mio” marito, sentire l'amore anche nel legame istituito, trovare la libertà nell'essere amata davvero: per nulla e ancor di più per i miei difetti.
Giorni fa mi è giunto un biglietto dalla Francia: il volto sorridente di Paolo in foto, accompagnato da una scritta: Paolo è partito. Ci ha lasciato un ultimo messaggio per voi: «Viva la vita, viva l'anarchia». Me l'hanno mandato Milena, Emma, Emiliano: il mondo condiviso di Paolo, il mondo per cui la fine è di nuovo sempre un inizio.

Monica Giorgi
(Bellinzona- Svizzera)




I nostri fondi neri

Sottoscrizioni. Giovanna Gervasio (Bagno a Ripoli – Fi) 50,00; Aurora e Paolo (Milano) ricordando Amelia Pastorello e Alfonso Failla, 500,00; Gabriella Fabbri (Colognola ai colli – Vr) 30,00; Frigerio – Giglio (Lecco) 30,00; Paolo Sabatini (Firenze) 20,00; Antonino Pennisi (Acireale – Ct) 20,00; Gesino Torres (Santo Spirito – Ba) 10,00; Monica Giorgi (Bellinzona – Svizzera) ricordando Paolo Soldati, 82,00; Francesco Piave (Torino) 10,00; Roberto Mazzini (Montechiarugolo – Pr) 20,00; Giovanni Canonica (Barolo – Cn) 10,00; Jonatha Trabucco (Pisa) 10,00; Marco Sommariva (Genova) 40,00; Antonio Cardella (Palermo) 40,00; Igor Cardella (Palermo) 20,00; Rolando Frediani (Livorno) 10,00; Giovanni Dorigo (Moimacco – Ud) 10,00; Rocco Tannoia (Settimo Milanese – Mi) 10,00; Michele Morrone (Rimini) 10,00; Pino Cavagnaro (Genova) 10,00; Mauro Pappagallo (Torino) 10,00; Nicola Farina (Lugo – Ra) 50,00; Daniele Frattini (San Vittore Olona – Mi) 10,00; Monica Bagnolini (Bologna) “in memoria di tutti i migranti morti nel Canale di Sicilia” 10,00; Emanuele Magno (Varese) 20,00; Pasquale Palazzo (Cava de' Tirreni – Sa) “in ricordo di Faber e don Andrea Gallo”, 10,00; Alessio Castagna (Courgnè – To) 3,00; Alessandro Delfanti (Milano) 100,00; Filippo Spaventa (Roma) 4,00. Totale € 1.159,00.

Abbonamenti sostenitori. (quando non altrimenti specificato, trattasi di euro 100,00). Valeria Nonni (Ravenna); Benedetto De Paolo (Prato Perillo – Sa); Mirko Negri (Livraga – Lo); Fantasio Piscopo (Milano) “in ricordo di mio padre Tullio”; Paolo Fossati (Mariano Comense – Co) “verso centoquattordici-virgola-cinquanta euri, uno in più del canone RAI, perché non voglio neanche pensare di finanziare chi trasmette Porta A Porta più di chi pubblicava il grande Carlo Oliva”, 114,50; Fernando Ainsa (Saragozza – Spagna); Maddalena Antona Traversi (Milano); Alessandro Marutti (Cologno Monzese – Mi); Pietro Mambretti (Lecco); Eros Bonfiglioli (Bologna); Roberto Chiacchiaro (Cinisello Balsamo – Mi); Gianluca Botteghi (Rimini); Paolo Vedovato (Bergamo). Totale € 1.314,50.