rivista anarchica
anno 44 n. 389
maggio 2014




Nuove prospettive
per l'organizzazione della società

intervista a Emanuele Amodio


Cari lettori della rubrica
per due numeri della rivista avrete modo di leggere una lunga intervista che ho fatto a un grande antropologo di origine italiana Emanuele Amodio che da svariati anni vive tra centro e sud America.
Ero molto interessato a pubblicare una nostra conversazione perché anche se purtroppo non ci conosciamo personalmente abbiamo tante idee in comune sul senso del fare antropologia in modo non egemonico e su le sue possibili connessioni con il pensiero libertario.

A.S.

Ormai sono anni che ti occupi di antropologia ma per iniziare ti chiederei cosa ti ha avvicinato a questa disciplina?
La ricostruzione del passato è sempre una trappola e il senno di poi apporta ragioni che forse all'inizio erano solo embrionali o semplicemente le scelte sono il risultato de molti fattori in parte casuali. Guardando indietro posso senz'altro dire che si trattava di un acuto senso della differenza, vissuta da un osservatorio vitale com'era la Sicilia della fine degli anni sessanta, in cui gli altri erano la gente del nord e il noi si costruiva per opposizione negativa: eravamo i terroni e, come direbbe Guccini o quasi, i primi che si affacciavano agli studi non da una posizione dominante ma subalterna. Se a questo si aggiunge una militanza già posizionata a sinistra, è facile pensare che l'antropologia, appena agli inizi in Italia, costituiva in qualche modo un riscatto personale e anche uno sociale: capire la diversità che si faceva quotidianamente disuguaglianza. Si entrava in questo campo attraverso la Facoltà di sociologia ad Urbino o Trento, e poi la decisione o il caso ti portavano a militare, per dirlo in qualche modo, o per la via dell'antropologia nordamericana, con la sua marcata tendenza “culturale”, o per quella che da Gramsci dei Quaderni del carcere passava per De Martino e le posture critiche, già esplicitamente politiche. Così io finì a Urbino a studiare sociologia, e li mi formai come antropologo, con forti interessi di ricerca verso il Meridione. In ogni caso, fin da quegli anni, antropologia e militanza libertaria andarono a braccetto e a volte finirono per confondersi, soprattutto nei miei interessi teatrali, insieme a compagni e compagne con cui giravamo l'Italia con spettacoli politicamente impegnati.

Quali connessioni dal tuo punto di vista possono esserci tra pensiero libertario e pratica antropologica?
Prima di teorizzare, vorrei spiegare che sopratutto si trattò di una doppia linea di attività che, come ho detto, finirono un poco per confondersi: da un lato m'interessavo di emigrazione e feste del sud e dall'altro militavo in gruppi anarchici, tutto questo negli anni settanta della repressione democristiana e fascista. Pensa che avevamo anche formato un “Fronte libertario della lotta di classe” a Urbino, un gruppuscolo fra tanti pero molto agguerrito e naturalmente in perenne polemica con altri compagni di sinistra, stalinisti soprattutto. In ogni caso, gran parte della mia militanza era siciliana e Franco Leggio, con la sua storia ed energia, non fu solo un compagno amico, ma anche e soprattutto un maestro che seguivo, insieme a Pippo Gurrieri e molti altri ragazzi quasi ancora adolescenti. Ed è a Franco probabilmente che devo l'idea e la possibilità che quello che studiavo poteva essere un referente importante anche per la lotta politica, per lo meno da una prospettiva anarchica, e fu su Sicilia libertaria che cominciai a pubblicare le mie prime riflessioni sulle culture subalterne e questa collaborazione è continuata fino ad oggi, ovvero quasi quarant'anni dopo.
Dal punto di vista più teorico e storico, sarebbe tutta da studiare l'influenza libertaria decimononica sulla nascente antropologia, basti pensare a Reclus con la sua geografia umana o a Kropotkin, anch'egli geografo, anche se il potenziale esplosivo della nuova disciplina sociale finirà in gran parte recuperata e controllata dagli inglesi funzionalisti. In termini teorici, penso che il nodo chiave fra antropologia e anarchismo va cercato nelle due visioni del mondo da cui, più o meno di maniera esplicita, discendono: nel caso dell'anarchismo, la decostruzione delle regole sociali in pro di un'utopia libertaria; nel caso dell'antropologia, la necessità metodologica de relativizzare il proprio mondo culturale per capire quello degli altri, anche quando i risultati della ricerca terminavano e spesso ancora terminano per “dimostrare” la pretesa superiorità dell'uomo occidentale. Per fare un esempio, si pensi alla proposta anarchica contro il matrimonio borghese e l'idea della comune come spazio ideale per la crescita dei figli e il “libero amore”, e la parallela scoperta degli antropologi che la famiglia poteva avere molte variazioni e nessuno di queste era naturale... Como puoi vedere, tutte e due posizioni teoriche molto pericolose!

Clastres ha lasciato una grande eredità ai ricercatori libertari tu cosa ne pensi del suo lavoro?
Il contributo di Clastres all'antropologia politica continua a essere fondamentale, soprattutto con la sua critica allo stato e il suo centrarsi sul problema del controllo e della violenza. Anche se molte volte sembra più un discorso filosofico e politico, non bisogna dimenticare che Clastres fu un antropologo di campo e i suoi lavori sui Guayaki e Guaranì del Paraguay sono ancora esemplari. Precisamente da queste lunghe ricerche di campo, Clastres derivava l'idea che, in queste società, il potere è un luogo “vuoto”, cioè che non permetterebbe accumulare potere, basato sulla parola e non sul possesso di bene. È in questo senso che può parlare di “Società contro lo stato”, come se queste società avessero previsto le sue caratteristiche negative e si fossero premuniti per bloccare la sua emergenza. Al dì là di questa metafora, oggi è evidente che le variazioni sul luogo di potere nelle società indigene americane sono molte di più di quelle immaginate da Clastres e, mantenendo valide le sue intuizioni, occorre anche accettare che in molti casi, come ho cercato di dimostrare, la parentela funziona anche come rete che permette l'acceso al potere, senza considerare che storicamente furono proprio alcune di queste società orizzontali che si trasformarono in società stratificate e piramidali.
Penso che l'opera di Clastres, insieme a quella di sua moglie Helene, può essere ancora un pungolo per spingerci a non assolutizzare l'esistenza dello stato e pensare a prospettive nuove per l'organizzazione della società, anche in questa era di globalizzazione.

Perché hai deciso di trasferirti in Venezuela? È stata una scelta legata alla ricerca sul campo?
Per cercare di spiegare la mia scelta di rimanere in America Latina e non ritornare in Italia e sistemarmi in una università, quando ancora non era difficile, occorre dire chiaramente che l'idea della ricerca pura non mi attraeva particolarmente. Così, spinto anche da un po' di stanchezza per i lunghi anni settanta, marcati dalla repressione, abbandonai l'università di Urbino accettando una proposta di cooperazione nel nord del Brasile fra gli indigeni Makuxí, dentro a un progetto locale di appoggio alle lotte indigene. Finì per rimanere nella foresta per tre anni, imparando la lingua e scrivendo con Vincenzo Pira la prima grammatica e sintassi della loro lingua, pero con fini didattici più che linguistici. Facevo certamente ricerca, ma ci dedicavo più che altro all'educazione bilingue e interculturale e naturalmente al rafforzamento delle organizzazioni indigene. In Brasile erano tempi di dittatura e molti “indigenisti”, tanto brasiliani come stranieri, finirono espulsi dal paese, io fra questi, naturalmente con l'etichetta di sovversivo! Di nuovo in Italia, dopo aver tentato di ritornare in Brasile, Accettai la proposta di andare a lavorare fra i Quechua dell'altopiano peruviano, dove rimasi altri tre anni, sempre con il desiderio forte di ritornare nella selva amazzonica. Anche qui mi dedicai alla lingua e al lavoro con sciamani, dentro della mia collaborazione con il Centro di Medicina Andina di Cuzco. È da qui che, dopo una collaborazione con gli Shuar dell'Ecuador, mi sposto in Venezuela con un progetto locale di collaborazione con gli indigeni Ka'riña e gli Ye'kuani. Ero così ritornato a lavorare con popoli di lingua e cultura caribe, campo che continuava a interessarmi, ed è qui, spinto dalle necessità dei capi Ka'riña nella difesa delle terre, che comincio a interessarmi anche di storia indigena coloniale e repubblicana, sempre da una prospettiva antropologica, creando la prima cattedra di antropologia storica del Venezuela, nell'Università Centrale de Caracas, dove ancora insegno.

Andrea Staid

(1. - continua)


Leggere Amodio

Emanuele Amodio è docente di antropologia all'Università di Caracas, da oltre quarant'anni svolge una incessante attività di ricerca sulle popolazioni native dell'America del Sud; avvalendosi di osservazioni dirette, ne ha studiato vita, abitudini, lingue, credenze e relazione sociali.
Ha pubblicato decine di articoli e scritto almeno 29 monografie. Tra le ultime tradotte in Italiano vi segnalo una novità importante della casa editrice di Ragusa La Fiaccola dal titolo Stato e burocrazia (2013) e un testo molto interessante uscito nel 2000 per Sicilia Punto L Sguardi incrociati. Identità, etnie e globalizzazione.

2005a - El fin del mundo culturas locales y desastres: una aproximación antropológica. Caracas: Universidad de Venezuela Facultad de Ciencias Económicas y Sociales.
2005b - La tierra de los caribes. Caracas: Universidad Central de Venezuela, Facultad de Ciencias Económicas y Sociales.
2005c - Pautas de crianza entre los pueblos indígenas de Venezuela. Caracas: UNICEF-Venezuela.
2006a - Producción y transmisión del saber: oralidad, escritura e imágenes. : IESALC UNESCO, 2006.
2006b - Cultura, comunicación y lenguajes. Caracas: IESALC UNESCO, 2006.
2010a - Las profundas cavernas de la memoria. La Paz: Fundación Visión Cultural.
2010b - La casa de Sucre. Sociedad y cultura en Cumaná a finales del siglo XVIII. Caracas: General de la Nación.
2011 - Relaciones interétnicas e identidades indígenas en Venezuela. Procesos históricos, territorios y culturas. Caracas: Archivo General de la Nación.
2012 - Stupor Mundi. Federico II e le radici dello stato moderno. Ragusa: Sicilia Punto L (traducción Italiana de “Stupor Mundi. Federico II de Suabia y el Estado y sus múltiples nacimientos”. Fundación García Pelayo, Caracas 2009).
2013 - Stato e burocrazia. Ragusa: La Fiaccola (traducción italiana de “El saber de los burócratas”. Fundación García Pelayo, Caracas 2011).