rivista anarchica
anno 44 n. 390
giugno 2014


anarchismo

La forza naturale della libertà

di Paul Goodman


Nel primo capitolo del volume “Individuo e comunità”, Paul Goodman fornisce validi spunti di riflessione sulla presenza di ostacoli al libero agire degli esseri umani.
Abbatterli e attingere alla forza naturale che è in noi è il solo modo per vivere liberamente.


Una società libera non può essere l'imposizione di un “ordine nuovo” al posto di quello vecchio: essa è invece l'ampliamento degli ambiti di azione autonoma fino a che questi non occupino gran parte del sociale (il fatto che una liberazione di questo genere sia graduale non vuol certo dire che possa avvenire senza rottura rivoluzionaria, perché in molti campi, per esempio nella guerra, nell'economia, nell'educazione sessuale, qualunque liberazione autentica prevede un cambiamento totale).
In qualsiasi società contemporanea, a onta di una crescita continua e uniforme della coercizione, esistono comunque molti spazi liberi. Se cosi non fosse, per un libertario conseguente non sarebbe affatto possibile collaborare o viverci, mentre in effetti noi “tracciamo un limite” in continuazione: un limite al di là del quale non siamo più disposti a collaborare. Nelle attività creative, nelle passioni e nei sentimenti, nel divertimento spontaneo, esistono sfere sane e naturali di libertà: è dallo spirito di queste ultime che noi spesso estrapoliamo tutte le azioni dell'utopica società libera. Anzi, perfino le funzioni più corrotte e coercitive della società presente si basano sulla potenza naturale positiva – che tristezza! – senza la quale la società non potrebbe sopravvivere neanche un momento, perché proprio questa potenza libera e naturale è l'unica fonte di vita. Cosi la gente ha da mangiare, anche se mezzi, costi e rapporti produttivi sono coercitivi; e la guerra totale rappresenterebbe la fine di noi tutti se non fosse per il coraggio e la forza di sopportazione dell'umanità.
Azione autonoma vuol dire vivere nella società attuale come se fosse una società naturale. Questa massima ha tre conseguenze, tre momenti:

  1. In molti ambiti che in pratica sembrano liberi e naturali, diamo il meglio di noi stessi e ci aiutiamo a vicenda.
  2. In molti ambiti che in pratica sembrano esenti da coercizione, restiamo tuttavia intrappolati in modo innaturale dalle costrizioni che ci hanno plasmato; per esempio siamo stati abituati ai tempi e allo standard di vita americani, anche se sono totalmente innaturali e coercitivi. In questi casi la massima ci impone in primo luogo di correggerci.
  3. Infine ci sono azioni naturali, positive o negative, che entrano direttamente in contraddizione con le leggi costrittive: sono i “crimini” che un uomo libero è obbligato a commettere quando lo impone il suo ragionevole desiderio o quando la situazione lo esige.
Il libertario, più che un utopista, è un millenarista. Non ha lo sguardo rivolto verso un futuro stato di cose, che cerca di realizzare con mezzi discutibili; piuttosto, da subito attinge, per quanto possibile, alla forza naturale che è in lui, non dissimile da quella che ci sarebbe in una società libera se non per il fatto che avrebbe un raggio d'azione molto più vasto e sarebbe continuamente accresciuta dall'aiuto reciproco e dal conflitto fraterno. Semplicemente continuando a esistere e operare in modo naturale e libero, il libertario vince, fondando la società; per lui non è necessario sconfiggere. Quando crea, vince; quando corregge i suoi pregiudizi e le sue abitudini, vince; quando sa resistere e sopportare, vince. Dico questo per esortare le persone oneste a non scoraggiarsi quando sembra che il loro lavoro sincero e onesto non abbia “influenza”. Il libertario non cerca di influenzare i vari gruppi, ma di operare all'interno di quei gruppi naturali essenziali per lui: gran parte delle azioni umane sono infatti azioni collettive. Pensate che cosa succederebbe se diversi milioni di persone, senza alcun intento “politico”, facessero solo un lavoro naturale che li rendesse pienamente soddisfatti! Il sistema dello sfruttamento si dissolverebbe come nebbia al sole. Invece, a che serve quell'azione, segnata dal risentimento, che vuole correggere gli abusi ma non propone nulla di naturale? L'azione che si fonda sulla forza più naturale saprà imporsi nei fatti. In questo senso il potere è diritto, ma non permettiamo neanche per un istante ai violenti e ai vili di pensare che la loro debolezza sia forza. Quali grandi opere hanno mai realizzato, nella pratica, nell'arte o nella teoria?

La naturalità come valore

Sinora ho utilizzato con una certa libertà, magari eccessiva, i termini “natura” e “naturale”, con i loro contrari, per attribuire un valore o un disvalore, per esempio parlando di “istituzioni naturali e innaturali”. Ma non sono termini che, usati in questo modo, risultano auto-contradditori? Infatti le cattive istituzioni, come quelle buone, non sono che il prodotto di un processo naturale. Una consuetudine negativa esiste per cause naturali: come mai la chiamiamo innaturale?
Prendiamo l'esempio della lingua inglese. Vorrei distinguere tre concetti: la natura fisica e sociale, la convenzione naturale e la convenzione innaturale. Parlare è fisicamente e socialmente naturale per gli esseri umani, che hanno organi del linguaggio e comunicano con questi, mentre i più piccoli esprimono i propri sentimenti gridando e imitando il modo di parlare dei genitori.
Ma qualunque discorso si fonda su questo o quel linguaggio. Gli organi della parola, il bisogno di comunicare, l'espressione dei sentimenti, il desiderio di identificarsi per imitazione: tutto questo dà la possibilità di parlare questo o quel linguaggio; le circostanze storiche ne hanno poi fatto concretamente la lingua inglese. In genere definiamo convenzionale la lingua storica, ma si tratta indubbiamente di una “convenzione naturale”: l'inglese è solo un mezzo per trasformare il potere della parola in un atto vitale. Questa affermazione ci consente di capire quando si può parlare di “convenzione innaturale”: una convenzione innaturale è quella che impedisce a una forza umana di trasformarsi in atto vitale. Cosi, l'inglese sta diventando innaturale per l'uso che se ne fa nella pubblicità. La tecnica pubblicitaria tende a produrre un riflesso automatico, un collegamento immediato tra determinate parole e un comportamento favorevole all'acquisto: in questo modo essa corrompe le parole in modo che non possano più esprimere bisogni sentiti, comunicare la condivisione di sentimenti
tra persone in continuità con l'originale imitazione dei genitori, trasmettere un desiderio per gli oggetti autenticamente vissuto: tutte queste funzioni di un onesto discorso vanno in corto circuito quando la pubblicità è efficace. Eppure esse rappresentano la forza creativa più importante nel discorso. Per questo possiamo dire che questo uso della lingua inglese impedisce alla forza della parola di diventare atto vitale: è innaturale.
D'altro canto, si obietta, anche una reazione automatica è naturale: è fisicamente e socialmente necessaria all'esistenza. Pensiamo per esempio a parole come “Attento!” o “Al fuoco!”. A questa obiezione il libertario replica: consideriamo con attenzione l'ordine e il rapporto di questi termini allarmistici con il resto del discorso. Se sono troppi, la loro efficacia si riduce, proprio come un linguaggio pieno di bestemmie non suona più blasfemo.
Qual è l'ordine naturale di situazioni di emergenza o di non emergenza, tale da non impedire alle più importanti forze del benessere, della sicurezza e del piacere di diventare atti vitali? Il senso dell'emergenza, di per sè naturale, inibisce l'immobilismo, il ricordo, la riflessione (allo stesso modo inibisce il sentimento religioso ed escatologico). Se le si prendono alla lettera, le tecniche pubblicitarie e gli slogan politici esprimono uno stato di allarme continuo!
Eppure, se guardiamo le cose un po' più a fondo, questa è indubbiamente la situazione storica reale: non c'è niente di convenzionale in queste tecniche e il nostro povero inglese, come un fedele servitore, viene sacrificato alla necessità urgente. La società che ha bisogno di consumare tutti i prodotti della sua industria è in uno stato di allarme continuo: quanto tempo rimane per riposare, ricordare, riflettere? E lo standard di vita “elevato” così raggiunto esiste in condizioni di emergenza che inibiscono qualsivoglia livello di vita naturale, perché annullano la riflessione e il piacere del riposo: è innaturale. Anzi, questa abitudine all'emergenza, nell'ascolto delle parole e nel consumo di merci, predispone ad accettare la costrizione, in qualunque direzione essa vada, perché ci si viene trascinati.
Non serve stare a rigirare tanto la questione dell'analisi dell'uso linguistico per dimostrare che il moderno sistema industriale, con i suoi tempi e la sua minuta divisione del lavoro, è contro la ragione, la libertà e la natura! Ma in generale l'analisi delle forze che limitano qualunque energia naturale dimostrerà che esse stesse si trovano in uno stato di costrizione (cosi la tesi libertaria, come qualsiasi altra espressione libera, si rafforza nella pratica).
Di converso (anche se non cercherò di dimostrarlo qui), l'analisi di qualunque grande conquista di sintesi, nell'arte, nella teoria o nella pratica, pur dimostrando la convergenza di molte energie tese a un unico scopo, presenterà alla fine l'espressione diretta di ognuna di queste energie.
Riguardo alla stessa costrizione, per fare un esempio estremo, il libertario deve porsi questa domanda: che cos'è la costrizione naturale e che cos'è la costrizione innaturale? Non credo di poter dare una risposta che mi soddisfi del tutto, ma forse le considerazioni che seguono possono fornirci un'indicazione.
La costrizione naturale parrebbe correlata a una dipendenza volontaria naturale. Un neonato è dipendente; un bambino è volontariamente dipendente: se è sicuro di sentirsi amato e accudito cresce indipendente, in parte imitando coloro che gli danno tale sicurezza, in parte ritraendosi da essi. Una certa costrizione è perfino un'apparente violenza rafforzano questa indispensabile sicurezza (ovviamente la violenza è solo apparente, e cioè un'azione che sarebbe violenta tra adulti; la violenza assoluta è infatti distruttiva). Sin qua si tratta di osservazioni facilmente comprovabili.
Ancora, uno scolaro dipende volontariamente da un insegnante che esercita autorità e costrizione intellettuale; il suo progresso e la finalità dell'insegnante, come ha detto Fromm, sono rappresentati dalla raggiunta indipendenza da chi insegna.
Se durante la dipendenza dell'infanzia un giovane è stato sfortunatamente segnato da insicurezza e paura, non avrà fiducia nei suoi insegnanti e non riuscirà a crescere per diventare un loro fratello: gli sarà impossibile attingere conoscenza e forza (in questo caso possiamo dire che la costrizione dei genitori è stata violenta e innaturale). Ancora, e indubbio che l'inibizione della sessualità infantile o il fatto stesso di non incoraggiarla – nello stesso senso in cui i buoni genitori dovrebbero incoraggiare lo sviluppo di altre capacità: camminare, parlare, disegnare – porti poi all'ansia e alla timidezza e possa essere definita una costrizione innaturale (come sostiene Wilhelm Reich).

Paul Goodman, scrittore e pedagogista
(New York, 1911 - North Stratford, 1972)

Le conseguenze sull'Ego

Dati questi pochi ma importanti fatti, cerchiamo di esprimerli in termini psicologici. L'Ego si forma gradualmente tra le pulsioni interne e il flusso delle impressioni esterne, entrambi fonti di energia naturale. E va detto che l'Ego ha un'energia sua: Freud la chiama la “parte organizzata dell'Id”, ma io oserei dire che è la parte organizzante dell'Id. Quando lo specifico lavoro di organizzazione ha costruito modelli sufficienti di esperienza concreta, l'Ego che gradualmente si forma arriva a svolgere il suo ruolo importante di interprete, difensore, procacciatore. Ora, il rischio per il bambino, mi pare, non sta tanto nel fatto che l'Ego non riesca a cristallizzarsi, come avviene nei casi estremi di psicosi, ma che si cristallizzi in modo troppo rapido e inflessibile, entro un sistema troppo rigido, in opposizione al mondo interno e a quello esterno dai quali, alla fine, dobbiamo attingere le energie vitali.
La qual cosa si è notata in particolar modo in relazione alla pulsione sessuale interna, contro la quale l'Ego si pone (diventando a sua volta erotizzato). Ma non si sono messe abbastanza in evidenza la strana ignoranza, la stupidita, la mancanza di curiosità, di spirito di osservazione e di percezione che sono una nostra comune caratteristica e che sono anch'esse dovute all'inibizione di un Ego troppo ristretto, chiuso in sé ed erotizzato. La dipendenza naturale, il bisogno di sicurezza, ha un duplice aspetto: in primo luogo, è ovviamente la ricerca di soddisfazione dell'istinto vegetativo e di quello sessuale del bambino; ma poi (ed è qui che voglio arrivare) è la trasmissione da parte degli adulti di modelli di interpretazione e tipi di atteggiamenti imitabili, grazie ai quali l'Ego può prendere tempo e non sentirsi sollecitato a porsi troppo presto come l'unica autorità. L'adulto decide dove l'Ego non dovrebbe ancora decidere: è una coercizione, sempre in parte fisica, il mettere o il non mettere un bambino in condizioni di vivere certe esperienze. La costrizione naturale e la decisione dell'adulto che in effetti dà all'Ego il massimo delle energie interne ed esterne che gli consentono di operare nell'esperienza e nell'arte. Poiché si tratta di decisioni imposte, culturali e non spontanee, definirei questa coercizione dell'adulto una convenzione naturale (ai fini di questa analisi, per “adulto” si intendono il genitore singolo, i due genitori, quelli multipli, naturali o adottivi).
Uno scolaro, anche molto piccolo, non è dipendente nello stesso modo, perché solo dei genitori vi sono memorie affettive pre-Ego. La relazione con i genitori resta sempre, in qualche modo, intrapersonale (intrapersonale e sociale: Sullivan e gli altri hanno reso un cattivo servizio nell'assimilare il sociale e l'interpersonale).
La relazione con l'insegnante e interpersonale, da Ego a Ego; ma la dipendenza intrapersonale permane nei simboli e negli atteggiamenti, e l'insegnante e simbolicamente in loco parentis (il che e sufficiente, perché anche le arti e le scienze sono in un primo tempo solo la voce dell'insegnante; una persona che non sa arrendersi di fronte a questi atteggiamenti arcaici risulta probabilmente intrattabile).
Arriviamo infine al nostro scopo attuale: tra i semplici beni, come il cibo, l'abitazione, la sicurezza, sui quali grandi enti costituiti come gli Stati e i sistemi industriali proclamano la loro autorità, non ne esiste nemmeno uno sul quale un adulto medio non abbia la competenza per decidere. Se il suo Ego non è sviluppato fino a questo livello, e perché in precedenza e stato menomato da una costrizione innaturale. Voglio semplicemente dire che uno sa quando ha fame e ha bisogno di mangiare, oppure se stare o no allo scoperto quando piove. Dico quello che dice il Tao, ovvero che “il compito del sovrano e di riempire la pancia dei sudditi e di tenere le loro menti sgombre”. Che le menti sgombre possano non generare idee, non è faccenda che riguardi il sovrano. Pertanto, tutto quello che concerne queste semplici questioni deve essere in un rapporto da Ego a Ego, senza dipendenza né fisica né simbolica: sono questioni che riguardano la discussione e la ragione e non la persuasione e la forza. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità. Qualunque costrizione in questo ambito e innaturale: in primo luogo, impedisce all'Ego di realizzare la propria forza vitale, quella che gli consente di interpretare e di tutelare le più genuine esigenze istintive; in secondo luogo, forse il più rilevante, risveglia atteggiamenti ancestrali che mettono in corto circuito l'energia dell'Ego, escludendolo del tutto e riducendo l'uomo a bambino. A che serve un uomo che non sa decidere se ha freddo o se ha male, o che lascia che parole e simboli lo escludano da questa esperienza primaria?
Oggi, certamente, nessuno ha le competenze per gestire i beni più semplici. Lo Stato decide per lui. Ed esercita coercizione.
L'Ego è isolato dai fatti primari, proprio quelli che ha organizzato per formarsi. È in uno stato d'allarme permanente.
In queste circostanze, qualunque tribuno può facilmente porsi nel ruolo di padre e di capo. E dovremmo definire tutto questo progressista e desiderabile? Ognuno dipende dalla madre-Terra.
Non è vero che le relazioni sociali siano in primo luogo interpersonali. I più forti legami nei gruppi naturali sono il frutto di passioni e di impulsi che vengono prima dell'organizzazione dell'Ego dei singoli membri del gruppo. Sono l'amore e la fratellanza. C'è una bella differenza tra l'uguaglianza giuridica degli psico-sociologi che parlano di “relazioni interpersonali” e l'unanimità e la rivalità creative della fratellanza rivoluzionaria! I fratelli fanno a gara per eccellere individualmente, ma spronandosi a vicenda riescono a raggiungere quello che nessuno di loro sarebbe riuscito a fare da solo.

Le caratteristiche dei libertari

Il libertario manifesta la sua natura con molto più vigore di noi educati all'uniformità. La sua voce, i suoi atteggiamenti, il suo modo di fare esprimono tutta la gamma delle esperienze, dall'infanzia alla saggezza.
Possiamo immaginarci un uomo che abbia bisogno di più tempo di noi per cristallizzare il proprio Ego; un uomo il cui Ego si va ancora formando da vasti sistemi di esperienza interna ed esterna, operando con forze che vanno al di là di quelle di cui noi ci siamo accontentati. Un Ego cosi grande appartiene a un Cristo o a un Buddha, e possiamo prevedere con certezza che produrrà miracoli.
In una società mista di coercizione e natura l'atto tipico dei libertari è quello di tracciare un limite, un confine al di là del quale essi smettono di collaborare. Tutti gli esami di coscienza e le angosce purgatoriali riguardano questa domanda: dove tracciare il limite? Sarò schietto: tutta questa ansia e irragionevole.
Dato che le posizioni estreme sono nettamente bianche o nere e che esistono chiaramente per soffrirne o goderne, dato che è facile dimostrare che ogni passo può essere seguito da un altro in entrambe le direzioni, e nell'oscurità indistinta della zona intermedia che va tracciata una qualunque linea di demarcazione apparentemente arbitraria. Se qualcuno vuol dare un esempio ai suoi potenziali amici dispersi tra la gente, dovrà ricordarsi che sono i grandi fatti e non i piccoli particolari che muovono la gente.
Nessuna linea in sé è difendibile dal punto di vista logico. Ma la correttezza della direzione che si e scelta apparirà con maggiore chiarezza un passo dopo l'altro, un colpo dopo l'altro. Eppure, a ognuno sembra che il punto dove tracciare questo limite sia la cosa più importante! La ragione e che questo punto particolare e la chiave simbolica che definisce lo spazio delle proprie energie represse: e lì dove c'è repressione, c'è senso di colpa.
Cosi qualcuno testimonierà nei loro tribunali, ma non pagherà le tasse; qualcun altro scriverà una lettera, ma non muoverà un passo; un altro ancora sarà nauseato dal semplice pane e digiunerà.
Perché esistono linee di demarcazione tanto strane e cosi logicamente incoerenti? Come mai sono difese con una cocciutaggine tanto irrazionale? E proprio da parte dei libertari, di solito cosi amabili e facili al sorriso? Le azioni naturali non sono affatto incoerenti, sono anzi sequenze di cause piuttosto semplici: basarsi sulle probabilità non porta fuori strada, ma fa vedere con più chiarezza il cammino da percorrere. Il fatto è che ognuno di noi è stato inconsciamente oggetto di coercizione, per educazione e per accettazione; i conflitti interni cominciano ora a emergere, quando cerchiamo di definire questo limite, insieme a tutte le paure, il senso di colpa, la rabbia. Ma tracciamola questa linea, e facciamola finita!
Un uomo libero non avrebbe problemi di questo genere, non dovrebbe, in realtà, tracciare un limite alle loro assurde condizioni,
che ha disdegnato fin dall'inizio. La verità e che considererebbe le sanzioni coercitive non diversamente dalle altre forze distruttive della natura bruta: da evitare prudentemente.
Un uomo libero, che si crea le proprie idee chiare e distinte e da queste procede, può facilmente conservare nell'animo molte contraddizioni evidenti; e sicuro che si risolveranno; un sistema aperto e il sistema migliore. Ma guai se al contempo viene convinto da meri pregiudizi e ingabbiato da mere abitudini, perché allora un giorno o l'altro dovrà tracciare anche lui un limite. Bene, c'è una storiella che vorrei raccontare. Tom dice a Jerry: “Vuoi fare a pugni? Passa questa linea!”. E Jerry lo fa. “Adesso” esclama Tom, “stai dalla mia parte!”.
Noi tracciamo la linea in base alle loro condizioni, ma poi procediamo in base alle nostre.

Paul Goodman

Slancio utopico e progettualità pratica

A partire da una sofisticata rielaborazione della tradizione politica americana, in cui si fondono tensioni individualiste e istanze comunitarie, il «jeffersoniano» Goodman affronta già alla metà del Novecento alcuni dei problemi cruciali delle società tardo-industriali, gli stessi con i quali facciamo i conti ancora oggi: crisi della democrazia rappresentativa, degrado urbano, marginalizzazione dei giovani, crescita della burocrazia, massificazione di bisogni, consumi e valori, crisi della ragione. E lo fa ricorrendo all'armamentario analitico del pensiero libertario, con soluzioni radicate nel qui e ora basate sul decentramento, la descolarizzazione, la disobbedienza civile, lo sviluppo della personalità, il potenziamento dei valori comunitari, la sperimentazione sessuale e familiare... Una miscela esplosiva che combina slancio utopico e progettualità pratica per rimodellare dal basso e in modo nonviolento la società.

Dalla quarta di copertina del volume di Paul Goodman “Individuo e comunità” (a cura di Pietro Adamo, Elèuthera, pp. 176, 14)