rivista anarchica
anno 44 n. 390
giugno 2014


Ricordando Henry D. Thoreau

Animalità
non cittadinanza

intervista (immaginaria) a Henry David Thoreau di Leonardo Caffo


Questa la strada che l'umanità deve imboccare, secondo il filosofo (ma non solo) anarchico statunitense di due secoli fa.
Eppure ancora attuale.


The day was wet, the rain fell souse
Like jars of strawberry jam, a
sound was heard in the old henhouse,
A beating of a hammer.
Lewis Carroll

A Concord, luogo degli Stati Uniti tra i più incantevoli, spesso identificato con la locuzione “New England”, nasce e cresce Henry David Thoreau – che vi morirà nel 1862. I suoi luoghi sono leggendari: i boschi di Walden, il lago e i prati colorati del Maine sono stati il contorno, boscoso, di una teoria ontologica e politica che ha scritto un'alternativa storia filosofica a quella del vincente Hegel. Natura e umanità intimamente connesse, forse più che in Spinoza, sono binomio di un'altra visione del sociale: intima propensione a condividere e opposizione allo Stato in favore della Società... tutto questo, e molto altro ancora, è stato Thoreau.
Figlio di un imprenditore di matite, maestro elementare e giardiniere, precettore della famiglia del maestro Emerson e naturalista, vive il complesso dei giganti: apprezzato come letterato – dai teorici della beat generation che ne fecero un'icona, fino allo sfortunato Christopher McCandless protagonista reale del film Into the wild – è stato praticamente ignorato come filosofo1. L'ho incontrato qualche giorno fa – proprio sulle rive del lago di Walden, non lontano dalla targa di legno che ne ricorda il passaggio nei pressi della capanna che si costruì per vivere. Abbiamo mangiato insieme qualcosa. Poco, in realtà. Del resto è una filosofia del poco, mi pare, che Thoreau ha consegnato all'umanità che viene...

Io, come tanti, ho cominciato a interessarmi di filosofia grazie al tuo diario del 1845-1847 – Walden ovvero Vita nei boschi. Ogni tua riflessione è non tanto, concedimelo, attuale quanto, piuttosto, attualizzabile. Alla tua epoca, non nascondiamolo, parecchi andavano nei boschi a vivere di poco: paradossalmente, questo pensavo, la cosa per cui sei diventato più celebre e quella meno interessante e speciale. Ma sappiamo perché... è come se si fosse spostato l'asse di interesse dalle tue parole, ma anche dalle tue azioni, verso lo stereotipo che si crede tu abbia incarnato. Una specie di figlio dei fiori, un precursore, che dimostra che si può stare tutta la vita con un solo paio di mutande... e sai che bellezza. Facendo lo sforzo di rileggerti, anche perché hai scritto poco, si ritrova invece un maestoso percorso filosofico a tappe: un'estetica che tiene insieme politica e filosofia della natura – il tutto articolato attraverso una teoria ontologica che richiede analisi diverse, per oggetti diversi, fino alla difesa – ancora a mio avviso insuperata – di una teoria anarchica legata agli stati più profondi della natura umana. Non che ti chieda di riassumere questo tuo “sistema” filosofico, intendiamoci, ma cosa resta oggi – delle basi filosofiche che hai fornito – a chi volesse provare, ancora una volta, a difendere l'anarchia come spazio unico e insostituibile per le libertà della nostra specie?
«Mah... è una domanda che presuppone un tempo eterno per discutere. Io potrei, ma tu no, perciò proviamo ad andare per gradi. La risposta semplice è: tutto. Se una filosofia teorica funziona è senza tempo; ciò che si deve aggiornare, piuttosto, sono le sue condizioni di applicabilità. Hai ragione: di naturisti e naturalisti, spesso coincidevano le due cose (non era un refuso), era pieno il Concord. Il problema è cosa conduceva qualcuno a compiere certe azioni: e qui veniamo al dunque. Per me agire in un certo modo significava applicare la teoria in prassi: questa è la filosofia, e non solo la mia. Per cui, per quanto complesso il sistema che dici, mi sembrava – e continua a sembrarmi fondamentale – una sua applicazione immediata.
Ma veniamo al dunque: il problema reale di molti anarchici è che non conoscono le basi stesse della loro teoria politica, sono come attaccati ad un brand di cui non percepiscono le ragioni profonde. Di questa disinformazione l'anarchia non può beneficiarsi, ma anzi deve temerla. Ho lottato una vita per far comprendere che se è vero che la teoria senza prassi è vuota, nondimeno la prassi senza teoria è cieca. Sentire anarchici che ti dicono che la natura umana non esiste è per me assai doloroso. Senza la natura umana, e una teoria che crediamo giusta su di essa, non avremmo di che essere felici: è l'idea che siamo biologicamente portati a vivere in un certo modo, che poi è l'opposto del mondo di Hobbes, che conduce me e altri a formulare l'anarchia come spazio possibile qui e ora.
Quando, e andiamo al punto, sostenevo che col mio vivere in Walden tornavo alla Natura intendevo questo: applicare, praticamente, una filosofia altrimenti del tutto astrusa e astratta. Dal resto l'anarchia crede nell'individuo, e non solo nel sociale – qui sta la sua potenza incompresa, per esempio, da altri movimenti che a me sono seguiti: penso al marxismo, per esempio, in cui il ruolo del cambiamento è tutto scaricato sulla collettività. Ma per adesso vorrei fermarmi qui.»

Henry David Thoreau

Contro la degenerazione del progresso

Sì, il senso è chiaro. Non vorrei però che ne venisse fuori l'immagine di un Thoreau autoritario... tipo ci sono anarchici di serie A e di serie B – a seconda se hanno capito la tua filosofia. Mi spiego. Credo sia ovvio che ogni fenomeno politico e culturale ha diversi livelli di lettura: così anche la tua testimonianza ha di che far lavorare l'ermeneutica. Il fatto che alcuni siano in grado di capire che la tua visione della natura ha le basi nel trascendentalismo, mentre altri no, non dovrebbe condurre a dire che solo alcuni possono apprezzare le tue teorie. Del resto, e correggimi se sbaglio, la tua forza è stata proprio quella di contestare il sistema istituzionale secondo cui la cultura sia quella delle università, e poi oltre ciò il vuoto.
Dopo la laurea ad Harvard hai praticamente vissuto alla giornata – e le istituzioni educative non ti hanno mai attratto come, del resto, tu non hai attratto loro. Forse, mi pare, tu dici che tra gli anarchici esistono alcuni che possono fare teoria dell'anarchia, e altri no. Ma questo è scontato: tutti mangiamo, ma solo alcuni sono degli chef. Non è classismo ma realismo: e fin qui, nulla di male. Sarebbe invece grave se solo chi comprende la tua ontologia – dove oggetti naturali sono qualitativamente più importanti di quelli sociali –, o la tua estetica, dove arte è solo ciò che (contro Platone) si richiama alla natura, – può poi dirsi davvero anarchico. Anche perché – penso al tuo Camminare, per non parlare poi di Disobbedienza civile (senza il quale ci saremmo giocato anche Gandhi), hai sempre proposto una sorta di “ritorno all'animalità” dell'umano affinché, almeno funzionalmente, potesse abbandonare il ruolo di “cittadino” verso quello, inesplorato e rimosso, di “abitatore della natura”...
«Dici bene... guai al classismo. Lungi dai miei intenti che, proprio contro il classismo culturale di cui, del resto, anche Emerson (massone convinto) fu espressione, ho combattuto tutta la vita. Ma invece – proprio perché credo nell'umano ritengo che tutti possano capire: è che ci si sforzi, come ubriachi appesi al palo, di non vedere la realtà. Sono morto nel 1862 e qualche anno dopo, da Chicago (pensa alle Union Stockyards), è cominciata una rivoluzione industriale che rappresentava, di fatto, tutto ciò contro cui ho combattuto: massacro della natura, animali sezionati e fatti a fette, umani schiavizzati... in un contesto del genere, come dire, la fiducia non si dissolve ma viene (quantomeno) messa in crisi. Ovvio, poi, che ciò che ho sempre cercato di dire, e lo dici bene, è che se da una parte l'umanità deve andare questa non è quella della cittadinanza, che tanti mostri ha creato, ma la polarità opposta: quella dell'animalità.»

Sì, ma perché?
«Perché l'umano cittadino è un sovrasocializzato, incapace di vedere al di là dello Stato. Talvolta crede, addirittura, che lo Stato sia un oggetto naturale: come un sasso. Il mio sogno di un governo che governi meno, fino a non governare del tutto, è possibile solo se siamo in grado di immaginare società senza stati – e se, lo abbiamo detto, abbiamo filosofie che giustifichino razionalmente questa nostra immaginazione. Questa idea è possibile proprio osservando gli animali che, praticamente, sono la prova che l'anarchia è possibile: vivono vite in gruppo, non hanno governi, ma godono di esistenze complesse proprio come le nostre. Spesso facciamo della diversità motivo di inferiorità ma questo, ancora una volta, perché abbiamo gli occhi chiusi dal mondo sociale che abbiamo costruito e che dobbiamo, invece, de-costruire. Se gli animali fanno una cosa, e se noi siamo animali, allora – scusa se semplifico – anche noi possiamo impegnarci a fare quella determinata cosa. Non che l'anarchia sia assenza di cultura, anzi! Qui, ancora una volta, è il pensare che la specie homo sapiens sia l'unica culturale che ci blocca mentre, al massimo, la nostra specie ha un “tipo” di cultura – ma non l'unica. L'anarchia è la migliore forma di organizzazione sociale anche, e soprattutto, perché è l'unica che si adatta alla nostra forma di vita a meno di non supporre, ma sarebbe da sciocchi, che nel nostro genoma c'è anche la propensione all'autodistruzione. Ma permettimi di dubitarne.»

Certo... ma quella rivoluzione industriale di cui parlavi oggi è arrivata a proporzioni immense. Abbiamo tutto, mi verrebbe da dire, proprio adesso che ci manca il resto. Anche qui, tra i boschi di Walden, non si sentono più solo i versi della natura di cui parlavi ma anche il rumore degli aerei e l'aria, prima limpida, comunica il suo grigiore a fasi alterne.
«Sì ma non è contro il progresso che si deve lottare, ma contro la degenerazione. Nella nostra natura c'è sia l'anarchia che la tecnologia: non facciamo errori grossolani. Io stesso ho amato e difeso la natura ma ho diretto tutta la vita la fabbrica di matite più all'avanguardia della mia epoca: e non solo, come spesso molti dicono, per motivi contingenti. A me la vita industriale piaceva: spesso mi fermavo ore a guardare le navi nei porti, e ne ero incantato. Qui è non comprendere che anche la tecnologia, che è neutrale, è stata poi assoggettata alle teorie dell'assurdo... se, come me, non poni cesura totale tra naturale e culturale allora anche la tecnica, in un senso non banale, è natura: perché ne è emersione (e dunque anche emergenza).»

Sì, concordo. Ma che fare, allora...
«Mostrare che tanta teoria ha una pratica. E comprendere che ogni strategia è sensibile al proprio tempo: certo non consiglierei a nessuno, oggi, ammesso che si possa fare, di andare a farsi una capanna nei boschi per mostrare le possibilità dell'anarchia. Utilizzare gli strumenti interni al sistema che si contesta scatenando le contraddizioni... questo è necessario. Senza integrazione non c'è disintegrazione: generando paradossi l'anarchia sarà possibile. Sai perché in tanti mi osteggiavano?»

No... almeno, immagino. Ma non so di preciso.
«Perché ciò che facevo io era, paradossalmente, in linea proprio con la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti d'America – questo paradosso, il sistema che contestavo, non poteva accettarlo. Quando porti a contraddizione chi contesti, questi ha solo due strade: proseguire nel falso o cambiare strada e unirsi a te.»

Perché credi che dovrebbe cambiare strada?
«Perché credo nell'umano. E se non credi nell'umano, allora, non credi neanche in te stesso.»

Leonardo Caffo

1. Se si esclude il tentativo più celebre e riuscito: S. Cavell, The Senses of Walden: An Expanded Edition, University of Chicago Press, Chicago 2013. Per Piano B edizioni sto attualmente lavorando a un progetto di traduzione della vita e opera filosofica di Thoreau nel contemporaneo.