rivista anarchica
anno 44 n. 390
giugno 2014





Angelys in excelsis

1.
Come altri pittori fiamminghi del Seicento, Cornelis Norbertus Gysbrechts anticipa temi su cui torneranno le tante e varie avanguardie del Novecento. La citazione di ritratti e ritrattini di mano altrui, la tela del quadro che, in un angolo, si stacca dal suo supporto – o il supporto stesso eletto a tema pittorico –, lo straccio sporco appeso da qualche parte, la tavolozza stessa del pittore nonché le confuse composizioni di carte, soprattutto corrispondenza – meglio e peggio impacchettata –, parzialmente nascosta da un tendaggio smosso. Tutte testimonianze di quanto gli stessero strette le due dimensioni. Tra le composizioni che più mi hanno attratto di questo abilissimo e semisconosciuto pittore (non se ne sa neanche la data della morte; si sa soltanto che è nato ad Anversa nel 1630), ci sono quelle in cui la maggior parte delle lettere è volta in modo tale che l'occhio dello spettatore colga la ceralacca che, solidificatasi nel punto strategicamente più opportuno, funge da sigillo.

Un trompe l'oeil di Cornelis Norbertus Gysbrechts

2.
Secondo il Dizionario delle invenzioni di Kevin Desmond (Milano 1993), la ceralacca fu inventata non si sa da chi nel 1556. “E quando il sonno agli occhi miei si attacca, un dolce santo oblìo Morfeo mi presta, che mi tura le luci a ceralacca”, dice il poeta (che, nella fattispecie, è Salvator Rosa, nelle sue Satire). La si ottenne mescolando dei prodotti resinosi con composti inorganici. La si riduceva in forma di bastoncino che al calore si scioglieva e al freddo si riassodava. La più comune è stata quella rossa – ottenuta grazie all'aggiunta di ossido di ferro e cinabro.

3.
C'è stato un momento, nella mia vita di bambino, in cui la ceralacca fu una grande scoperta. Se non vado errato, ne avevo trovato un pezzetto in un cassetto a casa dei nonni, me n'ero appropriato e avevo cominciato ad usarlo. Dovevo essere intorno ai dieci anni, dei secolari usi postali ignoravo tutto, ma credo che cominciassi a sentire le prime avvisaglie di quel bisogno di segretezza che, prima o poi, s'incorpora come un ospite sconosciuto nell'evoluzione di ciascuno: quel briciolo di autonomia in più dal governo dei propri genitori, la costruzione di un mondo di cosine e di parole più proprie e, finalmente, quel sigillo a garanzia della loro privatezza. La stessa sequenza di operazioni per giungere al risultato – il fuoco, la fiamma gironzolante sullo spuntone, la sgocciolatura sapiente, il marchio e l'attesa del raffreddamento consolidante o quel soffiarci sopra per accelerare il processo – non doveva essere estranea al fascino che quella nuova pratica possedeva per me. Per qualche mese ceralaccai buste, bustone e bustine a più non posso – un esemplare l'ho ritrovato qualche anno fa nel pattume liberatorio di una cantina – e credo di aver anche messo a dura prova la già scarsa pazienza delle Poste Italiane di allora inviandone qualcuna agli amici.

4.
Cercando ben bene – presumibilmente, pagandola una sproposito –, credo sia possibile procurarsene ancora oggi e, se non vado errato, in qualche cerimoniosa cerimonia più o meno istituzionale la ceralacca ha ancora un ruolo. Sono fossili culturali di cui la maggior parte di noi ha perso storia e ragioni. È venuta meno la funzione o, meglio, la funzione – la sua funzione – è stata assunta da altri marchingegni, perché, nel frattempo, è venuto a mancare chi affiderebbe un proprio segreto ad uno scritto inviato per posta.
Anche a livello del simbolico collettivo, la ceralacca ha perso parecchio. I romanzi di cappa e spada, i tre moschettieri che erano quattro à la Dumas – con le loro regine affannate e inceralaccanti – non fanno più parte del bagaglio d'obbligo con cui affrontare il periglioso viaggio dell'esistenza. E, tuttavia, ad un suo imprevedibile recupero ho assistito – come ad un prodigio della mercificazione.

5.
Marzo 2014, all'Esselunga sono in vendita pere che non avevo mai notato prima. Si chiamano “Angelys”, sono italiane, e costano 2,85 euro al chilo. Nei confronti delle pere nutro da anni fondatissimi sospetti. Staccate troppo presto dall'albero – sempre che all'albero ci siano mai state – non solo sono acerbe, ma questa loro acerbità è particolarmente legnosa – prive di gusto, prosciugate come legna da ardere, sono anche immasticabili. C'è qualcosa, tuttavia, in queste Angelys che fa sì che non scappi come al solito a gambe levate. Ci staziono a lungo davanti e, alla fine, ne prendo due. Che pesano come un accidente, che costano eurodiddio. E che, una volta a casa, si rivelano ottime – squisite, la pera che non gustavo da anni: sugosa il giusto, sostanziosa, morbida senza mai trascendere nel molle, tenera e commovente, fin profumata gradevolmente senza mai eccedere nelle spire della volgarità. Ma non è questo il punto. Tutte le pere esposte ben separate l'una dall'altra nella loro cassetta – la distanza, si sa, innobilisce – sono state fatte oggetto di un forte investimento di ordine estetico: la parte superiore del picciolo – di ciascuna pera – è coperta di ceralacca, rosso pomodoro vivo fiammante, una sorta di glande (un glanduccio, forse un clitoride, una forma, insomma, inequivocabilmente sessuale), liscia e irregolarmente ondulata. Qualcuno si è preso la briga di inceralaccare ogni pera e dev'essere stato in merito a questa non semplice operazione che ha avuto ragione del mio annoso pregiudizio – nonché della mia modesta propensione alla spesa.
Così, della funzione della ceralacca è rimasta quella estetica. Non sigilla più comunicazioni segrete ma, tutt'al contrario, evidenzia, esibisce, valorizza – rendendo irripetibile, quasi un prodotto artistico, la singolarità di quei frutti che, fino a poco tempo fa, venivamo invitati a considerare ripetibilissimi e, di principio, in quanto merci banali, tutti uguali. A meno che tutto il residuo di segretezza – con tutto il suo potere seduttivo – non stia proprio nell'analogia così sfrontatamente offerta all'acquirente.

Felice Accame