rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014


dopo-elezioni

Il muro del 40%. La fuga dal voto

di Maria Matteo


La scommessa, per chi attraversa i movimenti sociali con sensibilità libertaria, è bloccare l'ondata populista per disegnare, nella materialità della lotta, nella concretezza di un agire politico che si smarca dalle tutele istituzionali, i luoghi e gli spazi di un percorso di autonomia e autogestione.


Erano decenni che un partito, da solo, non riusciva a spezzare il muro del 40%.
La netta affermazione del Partito Democratico alle elezioni europee ha sorpreso chi si era fidato dei sondaggi che erano giunti a preconizzare persino un testa a testa sulla soglia del 30% tra PD e movimento 5S.
La chiara affermazione del Partito Democratico alle elezioni europee ha colto alla sprovvista chi si era fidato dei sondaggi. Eppure. Eppure gli ingredienti per una netta affermazione del partito guidato da Matteo Renzi c'erano tutti. Una punta di concretezza immediata con taglio dell'irpef e 80 euro in busta paga, una classe dirigente completamente innovata, una campagna elettorale giocata all'attacco, senza gli inutili ammiccamenti bersaniani a Grillo, la capacità di tenere insieme il vecchio blocco di potere delle cooperative rosse e del sindacato di riferimento con una nuova attenzione alla generazione precaria. Non appaia un paradosso, perché i ceti post-fordisti creati anche dalle politiche del PD degli ultimi vent'anni, hanno fatto propria una narrazione di sé e delle relazioni sociali tale da considerare parassitari i dipendenti pubblici, lo stesso sindacato, l'insieme di chi mantiene diritti, lavoratori più anziani, meno dinamici e flessibili, irrimediabilmente novecenteschi. Un blocco elettorale complesso al punto che Rosi Bindi ha ammonito Matteo Renzi sulle difficoltà di mantenerlo unito.
Il voto europeo, sganciato da logiche di opportunità, privo di immediate ricadute sul territorio, effettuato con metodo proporzionale e sbarramento al 4% si prestava bene a divenire una sorta di gigantesco sondaggio.

Politica post-ideologica al capolinea

L'analisi della competizione per l'europarlamento, inevitabilmente un voto “italiano”, nonostante la cornice continentale, sembrerebbe ri-portare indietro le lancette dell'orologio, perché il paragone più immediato è con la grande Balena Bianca di un altro toscano, l'aretino Amintore Fanfani. Il confronto è quasi inevitabile di fronte alle suggestioni di un presidente del consiglio e segretario del PD erede del PCI berlingueriano, che ha le sue origini tra i boy scout più che nelle sezioni di partito. Il compromesso storico che, quando venne formulato, disegnava una sorta di ossimoro politico è diventato archeologia, perché la metamorfosi delle relazioni politiche istituzionali è stata tale da produrre una modificazione genetica negli eredi di quella stagione politica.
Oggi il processo della politica post-ideologica è giunto a compimento, la rottamazione vera, quella del partito di massa novecentesco, è un fatto. La lunga transizione si è consumata da tempo: i vecchi comunisti del PD esistevano solo nella astuta propaganda dell'ex-Cavaliere dalle mille trovate.
Quando la narrazione si trasforma in spot, l'immagine del leader, il suo stesso corpo devono riempire la scena, con poche, semplici battute. O un cinguettio su twitter. Leggerezza, velocità efficacia. Attenzione. I tweet di Matteo Renzi stanno cambiando di status. La voce del capo sta acquisendo peso con il consolidarsi del suo potere.
Un potere i cui ingredienti sono tanti e diversi, tanto diversi da non potersi agevolmente ridurre ad una formula unica. Il nuovismo eletto a programma è la leva potente su cui poggia la proposta del primo ministro e della sua squadra di ragazzi e ragazze giovani e belli, che relega in soffitta un'intera classe dirigente, nonostante nel parlamento italiano abbia ancora una solida maggioranza. Una maggioranza che durante i primi mesi di governo dell'ex-sindaco di Firenze ha tentato più volte ma invano di condizionarne l'azione.
I risultati delle elezioni europee hanno rinforzato Matteo Renzi sia nei confronti della compagine di Angelino Alfano, sopravvissuta per un soffio allo sbarramento al 4%, sia verso il blocco politico e sociale classico del suo partito. Oggi Renzi ha un potere enorme che userà con la medesima abile spregiudicatezza che ha segnato la prima parte dell' iter governativo. La demagogia di Renzi sulla scuola dimostra la volontà di evitare emorragie di consensi in uno dei bacini elettorali classici del suo partito, pur senza modificare seriamente le scelte politiche nel settore.
Su un terreno classicamente scivoloso come quello del contrasto all'immigrazione “clandestina” Renzi ha consolidato l'operazione Mare Nostrum, una sorta di quotidiano rastrellamento in mare, volto a intercettare, identificare, respingere gli sbarchi, travestendoli da missione umanitaria, di soccorso da parte di un'Italia generosa che l'Unione Europea lascia sola di fronte “all'emergenza” continua degli sbarchi.
Se si raschia il barile si vede bene che, in fondo, non c'è grande differenza reale tra le scelte concrete di Renzi e quelle di Berlusconi e del suo padanissimo ministro dell'Interno, l'attuale presidente della Regione Lombardia Roberto Maroni. Sul piano dell'immagine lo iato non potrebbe tuttavia essere più forte: da un lato i corpi ammassati, umiliati, pestati di Lampedusa nel 2011, dall'altro i corpi mediatici dei “salvati, soccorsi, aiutati” che, a telecamere spente, diventano i corpi invisibili dei clandestini, schedati e rilasciati con foglio di via e nessuna prospettiva oltre al lavoro nero e al viaggio verso l'Europa più ricca.
In questo modo si ottiene il massimo del risultato con il minimo investimento, sia sul piano materiale sia su quello simbolico. Sarà interessante vedere quanto la riforma del terzo settore, una delle ultime annunciate da Renzi, influirà sulla gestione di rifugiati e richiedenti asilo. Sicuramente Renzi vuole aprire un enorme credito ai settori del volontariato cattolico e dell'associazionismo laico, cui è stato promesso il ripristino del servizio civile, più volte richiesto dalla fine della leva obbligatoria e, conseguentemente del servizio civile alternativo. Il ritorno del civile offrirebbe manodopera gratuita a quel privato “sociale” che tradizionalmente tampona i buchi del welfare.
Il governo ha una gestione giustizialista e repressiva delle questioni sociali. Il modello di Renzi è l'imprenditore di sinistra Oscar Farinetti, quello della multinazionale “Eataly”. Eataly è il simbolo dell'Italia in salsa PD, un luogo dove si lavora 365 giorni l'anno, dove la precarietà è la norma e la disciplina durissima. I lavoratori, tutti italiani, del supermercato più eco, green e costoso d'Italia, vengono pagati 8 euro (lordi) l'ora. I pochi con contratto a tempo indeterminato sono tutti part-time a 30 ore, ma di ore ne fanno molte di più. Sempre. In media chi lavora dietro ai banchi o nei ristorantini dove si affacciano anche facoltosi turisti stranieri, porta a casa 800 euro al mese. Niente domeniche, niente festività, niente 25 aprile, niente Primo Maggio.

Senza troppi complimenti

Con il job act, accanto a provvedimenti di semplificazione, la prospettiva è quella di una relazione di lavoro eternamente precaria. Il modello alla tedesca in salsa toscana. Decisamente piccante. La legge sull'apprendistato ne è stata il primo tassello, un tassello che offre ai padroni la possibilità di sfruttare all'osso, sino a tre anni senza garanzia di assunzione, ma con ben cinque possibilità di licenziare, giovani cui la legge non garantisce neppure un reale percorso formativo. Il padrone che non lo fa si limita, se va male, a pagare una multa.
Se a questo si aggiungono i provvedimenti che mirano a spezzare le gambe ai movimenti di lotta per la casa, impedendo la residenza e le utenze a chi vive in una casa occupata, si ha il quadro di un'azione di governo che mira alla normalizzazione violenta dello spazio sociale.
L'abbattimento del muro del 40% offre a Renzi i numeri e l'autorevolezza per andare avanti senza troppi complimenti. Tuttavia i dati elettorali ci offrono anche altri spunti di riflessione. I quattro milioni di italiani che, rispetto alle europee del 2009, hanno deciso di non votare sono il segno di una disaffezione dalla politica istituzionale, che non trova più espressione nel movimento Cinque Stelle. La compagine guidata da Grillo e Casaleggio, pur mantenendo un più che rispettabile 21%, perde due milioni e rotti di voti rispetto alle politiche dello scorso anno, mentre il PD, nonostante la crescita dell'astensionismo, ne prende tre milioni in più.
Grillo viene doppiato dal PD, mentre la Lega, data per morta, si riprende parte dei voti presi da Grillo nel 2013. La Lega Nord, stante il risultato modesto di Fratelli d'Italia, si candida in modo secco al ruolo di formazione di destra radicale, con una proiezione europea garantita dall'asse con il Front National di Marine Le Pen. In piena decadenza è Forza Italia che, dopo il mirabile colpo di coda alle elezioni politiche dello scorso anno, quando pareggiò con il Partito Democratico, non può che seguire il destino del suo padre e padrone, che, dopo averla nutrita oggi la vampirizza, in un asservimento che pare non possa interrompersi che con la morte dell'ex-Cavaliere, il cui corpo oggi scientemente esposto senza trucchi, ha assunto forza mistica.

L'odiatissima casta dei privilegiati

Molta acqua è passata sotto ai ponti dalle scorse elezioni politiche, sebbene sia passato solo un anno. Oggi come allora Grillo è stato capace di riempire la scena saturandola di sé, facendone un tutt'uno con se stesso. Il suo faccione deborda, il suo grido esplode in faccia a chi guarda. Guida spirituale, guru, caudillo, Grillo “ha sempre ragione”, come un padre amorevole che consiglia, incoraggia, sorregge, protegge i suoi figli. Finché obbediscono. Poi sono sberle e, nei casi estremi, la cacciata dalla famiglia. Difficile pensare che il faticoso percorso parlamentare della compagine pentastellata sia estraneo alla riduzione di appeal della formazione guidata dall'ex-comico genovese.
Il gioco della democrazia partecipata si è sgretolato nell'opacità del blog, nella mancanza di luoghi fisici di confronto, nelle tante espulsioni, nel dissolversi dell'illusione rivoluzionaria. Un primo strappo era stato a dicembre, quando tanta parte dei ceti di riferimento della compagine pentastellata hanno dato vita alla breve stagione dei forconi. Una stagione che, sebbene attraversata e spesso anche controllata dalle formazioni di destra, aveva al centro un'ondata moralizzatrice e l'obiettivo chiaro di farla finita con un'intera classe dirigente, la cui intima corruzione è sempre meno tollerata, specie nelle periferie dove si fa fatica a campare la vita. Lo scorso anno Grillo aveva saputo intercettare il malessere di soggetti sociali che debordano dal quadro novecentesco. Come dimenticare il suo attacco ai sindacati? Un attacco che non gli alienò simpatie, perché questi costosi patronati sono avvertiti, non a torto, come parte dell'odiatissima casta dei privilegiati, dei politici e sindacalisti di professione.
Per molti, per troppi la memoria della lotta di classe non è il presente e nemmeno il futuro dei propri figli, già ipotecato da una classe politica che modella se stessa ai ritmi della transazioni finanziarie. Grillo è l'apoteosi della politica post-ideologica: mette insieme illusione partecipativa e il dirigismo più esasperato, corteggia i movimenti localisti e fa dichiarazioni razziste, vuole moralizzare la politica, tagliando stipendi e privilegi, ma gioca il proprio ruolo di garante per decidere, senza confronto alcuno, la linea politica del “suo” movimento.
In campagna elettorale le piazze si sono nuovamente riempite di folle plaudenti, ma, nonostante il giro televisivo nel salotto di Bruno Vespa, il movimento Cinque Stelle ha subito una secca battuta d'arresto. Chi aveva creduto in una veloce accelerazione nella trasformazione del quadro politico e sociale è rimasto a casa. Fuori dai giochi della politica istituzionale ribolle, in modo per lo più sotterraneo, un magma sociale che non ha, e nemmeno cerca più, rappresentanza politica istituzionale. La materialità delle relazioni sociali è profondamente mutata. La violenza della divaricazione di classe si è fatta più netta, senza tuttavia innescare una stagione di forte scontro sociale. Il complesso meccanismo di scomposizione sociale attuato negli ultimi trent'anni ha avuto effetti forti sia nella concretezza della condizione lavorativa che nella sua rappresentazione simbolica.

Soggetti dispersi

Oggi il popolo delle partite IVA, dei precari, di chi lavora senza tutele né garanzie è sempre più vasto. La solitudine è il segno distintivo dello sfruttamento nel secondo decennio del secolo. L'operaio Fiat, lo scaricatore di porto, il bracciante agricolo erano inscritti in un percorso collettivo, determinato dal comune spazio di lavoro – e lotta – e da un identico quadro normativo. Tutto questo oggi si declina in buona parte al passato. Tra partite IVA e precari a vita si è modificata la costituzione materiale delle classi subalterne, demolendone al contempo i processi identitari. Un padroncino che fa trasporti per conto della Fiat, non pensa a se stesso allo stesso modo dell'addetto della logistica alle dipendenze dall'azienda. La sua condizione di vita è peggiore ma diversa. Non ha nessuna delle tutele dei dipendenti, ma nemmeno i vantaggi del piccolo imprenditore. Né carne né pesce si trova in un limbo dove la riproposizione della prospettiva welfarista classica gli appare di assoluta inattualità. Inattingibile e nel contempo estranea alla sua vita. Oberato dalle tasse, spesso senza né lavoro né reddito, vuole meno tasse e qualche copertura quando resta a terra.
Questi soggetti dispersi sono davvero al di là della destra e della sinistra, in un altrove che il populismo grillino era riuscito a catturare, e in buona parte ancora mantiene, mescolando istanze ultraliberiste con l'ultrastatalismo del reddito di cittadinanza. Un gioco che Matteo Renzi sa fare decisamente meglio.
Dovrà tuttavia fare il conti con un numero via via crescente di uomini e donne che scientemente disertano le urne. La scommessa, per chi attraversa i movimenti sociali con sensibilità libertaria, è bloccare l'ondata populista per disegnare, nella materialità della lotta, nella concretezza di un agire politico che si smarca dalle tutele istituzionali, i luoghi e gli spazi di un percorso di autonomia e autogestione. Non sarà facile. Tuttavia da qualche tempo il panorama sociale è meno piatto, un po' di polvere si alza sull'orizzonte.

Maria Matteo