rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014


Storia

In questa sezione:

Massimo Ortalli - La bibliografia sugli anarchici italiani (1945-2013)

Pasquale Iuso - Gli anarchici italiani (1943-1968)

Massimo Varengo - Appunti sugli anni '70

Luigi Balsamini - Cent'anni fa, la Settimana Rossa

Ateneo degli Imperfetti/Centro Studi Libertari-Archivio Pinelli Tu sei maledetta! (convegno a Marghera - 20/21 settembre 2014) con scritti di Goffredo Fofi, Ernest Hemingway, Boris Vian, Bruno Misefari, Ilaria La Fata.

storia

La bibliografia sugli anarchici italiani
(1945-2013)

di Massimo Ortalli


Tra i responsabili dell'Archivio storico della Federazione Anarchica Italiana, il nostro stretto collaboratore Massimo Ortalli ha presentato questa relazione al Convegno di studi sulla storiografia dell'anarchismo, tenutosi a Reggio Emilia lo scorso maggio su iniziativa dell'Archivio Famiglia Berneri/Aurelio Chessa e curato dalla figlia di quest'ultimo, Fiamma.
Titolo della relazione: Ricognizione generale e bilancio critico della bibliografia sul movimento anarchico italiano (1945-2013).


Da un raro documento conservato presso l'Archivio Storico della Fai, l'Elenco delle disponibilità della Libreria della Fai al 1964, è possibile ricavare in maniera diretta e immediata la consistenza della produzione storiografica dell'anarchismo in Italia a quella data. Se infatti in prima pagina si annuncia, col dovuto rilievo, la pubblicazione della importante opera curata da Ugo Fedeli sulla presenza organizzata dell'anarchismo in Italia, Congressi e convegni della Fai 1944-1962, quando si va a scorrere l'elenco dei titoli offerti al lettore, si può misurare quanto la ricerca storica sul movimento anarchico fosse particolarmente carente. Sono infatti pochissime, nelle 16 pagine del catalogo, le opere di respiro storico (non così, ma più numerose, quelle di carattere propagandistico) presenti, e fra queste pochissime quelle pubblicate da editori o scritte da autori provenienti dal movimento anarchico.
Scopo di questa relazione, dedicata allo stato dell'arte della storiografia dell'anarchismo in questo dopoguerra (e, più in generale, di alcuni movimenti strettamente connessi ad esso), è mostrare come, dopo un lungo periodo di sostanziale disinteresse verso la ricerca storica, la consapevolezza per gli anarchici di narrare la propria storia si sia progressivamente, e positivamente, evoluta, e come, al tempo stesso, anche da parte della storiografia ufficiale e non “di parte” sia venuto mutando l'approccio scientifico e metodologico per lo studio di questa materia.
Cercherò di non limitarmi alla produzione delle sole monografie, ma dedicherò alcune sintetiche osservazioni sulle principali case editrici anarchiche del dopoguerra, sulle riviste scientifiche e di propaganda dedicate o particolarmente attente alla storia dell'anarchismo in particolare e a quella del movimento operaio più in generale, e anche ad alcuni repertori che si sono rivelati preziosissimi strumenti per lo sviluppo della disciplina, quali i due volumi sui periodici di Leonardo Bettini, l'opera omnia di Errico Malatesta, in corso di stampa, curata da Davide Turcato, il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani (DBAI), i 4 volumi bibliografici curati dall'Ente per la storia del Movimento Operaio Italiano (Esmoi), il Dizionario Biografico del Movimento Operaio curato da Franco Andreucci e Tommaso Detti. Tralascerò necessariamente, in questa sede, anche se meriterebbero molto più che semplici citazioni, altri importanti testi divenuti utili strumenti di lavoro per qualsiasi studio sull'anarchismo e il movimento operaio.

Pregiudizi ideologici e debolezza “interna”

Parlavo inizialmente dell'oggettivo “disinteresse” dimostrato dagli anarchici, nel primo ventennio del secondo dopoguerra, per la scrittura della propria storia: questo è un dato che riflette, accanto al sostanziale e progressivo declino della presenza anarchica nella vita sociale e politica italiana di quegli anni, un altrettanto sostanziale declino della capacità di riflessione del movimento sul proprio passato. Se consideriamo, infatti, i dati relativi alle opere riguardanti, in tutto o anche solo in parte, la storia dell'anarchismo nazionale e internazionale usciti fra il 1946 e il fatidico 1968, troveremo che in questo lungo arco temporale sono solo un'ottantina i titoli da prendere in considerazione. E di questi, meno della metà opera di autori anarchici o comunque vicini al movimento anarchico: tredici brevi monografie di Ugo Fedeli (spesso basate più su ricordi personali che non su una rigorosa ricerca storica) tre lavori di Pier Carlo Masini e uno di Gino Cerrito. Numerose anche le autobiografie e le memorie, le commemorazioni o conferenze dei vari Lucarelli e “Amici di Bertoni”; e alcuni scritti agiografici privi di valore scientifico, a dimostrazione dello spirito con il quale gli esponenti del movimento dell'epoca affrontavano la ricostruzione della propria vicenda storica. Da considerare, poi, come gli autori stranieri sono ben 27 e quelli italiani “solo” 34, fra cui molti militanti e non storici di professione, e che le opere dedicate ad argomenti non riguardanti l'Italia (Comune di Parigi con sette titoli, la Rivoluzione russa con altri sei, la Guerra di Spagna con sette, ecc.) sono venticinque. Dati, questi, che parlano più di tanti discorsi sullo stato di cattiva salute del movimento anarchico e libertario dell'epoca.
Per aggravare il quadro di questa situazione poco esaltante, va detto che la parte più significativa dei saggi dedicati alla nascita e allo sviluppo del socialismo, e quindi anche dell'anarchismo, è di scuola marxista o liberale e che quindi, considerando il clima politico dell'epoca, i loro autori non erano certo disposti a concedere una valenza positiva alla storia dei movimenti libertari e a riconoscere un ruolo dignitoso alla presenza e all'azione dell'anarchismo rispetto a quello del socialismo legalitario o del comunismo. Non credo sia necessario ricordare come l'egemonia culturale del Partito comunista all'interno della sinistra e l'eredità idealistica crociana negli ambienti conservatori non permettessero “terzi incomodi” nella dialettica scientifica dell'epoca, e come certi pregiudizi ideologici facessero velo alla necessaria obiettività.
Per evitare però di essere frainteso, non si creda che voglia sostenere la necessitò di un filtro ideologico da sovrapporre al rigore della ricerca storica, ma voglio semplicemente sottolineare come il movimento anarchico non fosse in grado di esprimere o partecipare a una scuola storiografica capace di contrastare interpretazioni malevole o superficiali della propria storia* e soprattutto di valorizzare, anche da un punto di vista scientifico, il proprio passato. valorizzando il quale si poteva contribuire ad assegnare un ruolo all'anarchismo del presente. Va detto, inoltre, che molti dei saggi usciti in quegli anni, riguardanti le origini del socialismo italiano, non vengono qui presi in considerazione perché in essi viene sostanzialmente ignorato o sminuito il ruolo, eppure determinante, della componente anarchica e libertaria, protagonista di una storia parallela che andava di pari passo con quella socialista e marxista. In pratica, fino ai preziosi e pioneristici lavori di Masini e di Cerrito degli anni Sessanta, viene a mancare quasi completamente uno studio degli ultimi decenni dell'Ottocento e dei primi del Novecento che non sia più o meno congenito a una interpretazione marxista: sono proprio i lavori più importanti ed organici sulla storia del primo socialismo italiano, della prima Internazionale e delle lotte sociali di fine Ottocento ad essere frutto delle ricerche di storici indubbiamente di valore ma anche “di parte”, come di parte non si poteva non essere in quegli anni, quando ancora si aveva fiducia nelle magnifiche sorti progressive. Del resto, purtroppo, visto quel che passava in quegli anni il “convento” anarchico, nessuna meraviglia che autori quali Elio Conti, Leo Valiani, Luigi Bulferetti, Gastone Manacorda, Giuseppe Del Bo, Enzo Santarelli, Aldo Romano, ecc. fossero i soli storici (se si escludono Masini, Fedeli e per i suoi primi e importanti lavori Cerrito) a occuparsi dell'anarchia e degli anarchici in questo lasso lungo lasso temporale.

Una nuova stagione storiografica

Solo negli anni successivi ai fenomeni di insorgenza sociale esplosi sul finire degli anni Sessanta, fenomeni che esprimevano in larga misura una riaffermazione dei principi e dei valori del pensiero libertario - autogestione, partecipazione dal basso, assenza di strutture organizzative verticali, rifiuto della delega, ecc. - e che avrebbero portato a una ripresa significativa della presenza dell'anarchismo organizzato nelle società occidentali, le cose sarebbero cambiate. Dopo l'uscita, nel 1966, de L'Anarchia di George Woodcock – record di vendite e di ristampe e a cui faranno seguito, dopo alcuni anni, Né Dio né padrone di Daniel Guerin e Gli anarchici di James Joll - caposcuola di questa decisa inversione di tendenza sarà il primo volume della Storia degli anarchici italiani da Bakunin a Malatesta di Pier Carlo Masini, uscito nel 1969 per i tipi della Rizzoli. Un lavoro fondamentale e indice di una nuova stagione storiografica, non solo perché affronta il tema dell'anarchismo nella sua interezza, ma anche perché, collocandolo all'interno della storia del socialismo italiano, propone all'attenzione non solo del lettore ma anche dello storico, una lettura della significativa presenza del pensiero libertario nella storia d'Italia meno soffocata da griglie ideologiche.
Se fino a questo lavoro la storiografia “ufficiale” aveva potuto, come si è detto, minimizzare o ignorare l'anarchismo, l'accurata ricerca delle fonti e il loro fedele utilizzo compiuti da Masini, contribuirono a modificare lo sguardo con i quali si ricominciava a guardare al mondo libertario. Ne è ulteriore testimonianza il convegno internazionale di studi promosso dalla Fondazione Luigi Einaudi di Torino sempre nel 1969, Anarchici e anarchia nel mondo contemporaneo, e la pubblicazione degli Atti nel 1971. Quel convegno rappresenta un vero e proprio punto di svolta nella percezione e considerazione del mondo accademico rispetto all'anarchismo internazionale e alla sua storia, come dimostra l'altissimo numero dei partecipanti e la qualità degli studiosi intervenuti così come la rinnovata attenzione alle realizzazioni anarco sindacaliste in Spagna, alle vicende dei comunardi parigini e alla lotta antiburocratica e antibolscevica degli anarchici russi.. Fondamentale anche perché dimostra come la presenza del movimento anarchico, nonostante la sua frammentazione organizzativa che raramente si concretizza in strutture di respiro nazionale, sia comunque espressione di una storia comune, unitaria, generalizzata e quindi capace di interagire pienamente e di incidere nella storia del paese. Finalmente, dunque, l'anarchismo viene letto e interpretato nella sua piena e autonoma specificità, e non più come un “incidente di percorso” o come il parente povero di una storia ben altrimenti nobile e gloriosa.
Successivamente, negli anni Settanta, sull'onda della rinnovata presenza dell'anarchismo nelle dinamiche sociali del Paese, vedranno la luce alcune delle opere più importanti di questo dopoguerra, che costituiscono le fondamenta sulle quali si svilupperà una scuola storiografica “anarchica” italiana, in grado di indagare la propria storia con la scientificità necessaria, di affrontare l'argomento nella sua complessità, di inquadrarlo in una ricerca organica e coerente, di offrire nuovi stimoli di analisi e di studio. Non starò a citare le risorse che si sono espresse negli anni Settanta, anche perché tutti conoscono i nomi di Maurizio Antonioli, Nico Berti, Leonardo Bettini, Gigi Di Lembo, Adriana Dadà, Claudio Venza, Giorgio Sacchetti, ecc.. E accanto alle loro un fiorire di opere dedicate non più ad un anarchismo letto come appendice di altri movimenti e altre storie, ma come legittimo protagonista della storia sociale dell'Otto e Novecento: Letterio Briguglio, Emilio Sereni, Gian Mario Bravo, Alessandro Coletti, Tina Tomasi, Domenico Settembrini, Lorenzo Gestri, Franco Della Peruta, Alfredo Salsano, Piero Brunello, solo alcuni dei nomi che dagli anni Settanta riscoprono l'esistenza e l'importanza di un movimento e di un pensiero fino a quel momento troppo trascurato.

Nuovi nomi, nuovi “scolari”, nuovi allievi

Assistiamo così a un fiorire di pubblicazioni che riflette, anche se con obiettivi a volte contrastanti, l'interesse per un movimento di idee dato per estinto e, invece, capace di rinnovarsi. Perché contrastanti? Siamo negli anni Settanta, quando nel campo della sinistra è ancora forte l'egemonia del pensiero marxista (anche se, a volte, critico) e del Partito Comunista. E le contraddizioni che i nuovi movimenti portano nella società, con lo spostamento di consolidati equilibri, con la rimessa in discussione di alcuni dogmi immodificabili, con la proposta di nuovi obiettivi per più ampi spazi di libertà, spingono alcuni custodi dell'ortodossia a riproporre nei loro studi antichi pregiudizi nei confronti del movimento anarchico. Esemplari in questo senso i lavori di Gian Mario Bravo i cui due monumentali testi del 1971 e del 1979, Gli anarchici e La Prima Internazionale ripropongono, dietro una imponente mole di ricerche e una raffinata esposizione, molti degli opinabili e antistorici luoghi comuni con i quali la scuola marxista era solita interpretare le insorgenze sociali che non si riconoscevano nella “dottrina”. Esemplare, in questo senso, anche il volume di Aldo De Jaco del 1971 (Gli Anarchici, Roma, Editori Riuniti), scritto sull'onda dell'interesse che il movimento anarchico ritrova nella società italiana, ricco di documenti ma anche di commenti e considerazioni viziate da vecchi preconcetti. Sembrava, insomma, che tutto ciò che in campo politico e sociale si esprimeva al di fuori delle linee guida del partito, del centralismo democratico, del socialismo “scientifico”, non fosse che una sorta di fastidiosa zavorra: parafrasando le famose parole di Togliatti, si sarebbe detto che anche la criniera del purosangue – il movimento operaio – poteva ospitare poco nobili parassiti, vale a dire quel socialismo primitivo e ascientifico identificato con l'anarchismo.
Va riconosciuto, però, che in conseguenza di questo fiorire di studi, ci sarà una nuova riflessione all'interno del mondo accademico e degli storici. La migliore dimostrazione è rappresentata dai due volumi sulla storia del socialismo di Renato Zangheri, nei quali l'autore, pur essendo di formazione marxista, affronta il tema della Prima Internazionale e della nascita del socialismo in Italia, non solo riconoscendo ma anche apprezzando il contributo fondamentale apportato dal movimento libertario, grazie a un lavoro di contestualizzazione dell'esperienza internazionalista nella realtà sociale di quegli anni. Nelle pagine dedicate agli episodi insurrezionali degli anni Settanta dell'Ottocento, (i Prati di Caprara a Bologna, il tentativo di Castel Del Monte, la banda del Matese) ne vedremo ribaltata la lettura, rispetto a studi precedenti nei quali si formulavano giudizi superficiali se non prevenuti, frutto di quella pretesa superiorità intellettuale di cui si è detto, infrantasi in modo irreversibile come si è infranto il muro di Berlino.
Sulla spinta nata dalla ripresa degli studi dei primi anni Settanta, dagli anni Ottanta fino ai giorni nostri la storiografia dell'anarchismo in Italia vede affacciarsi nuovi nomi, nuovi “scolari”, nuovi allievi. E questo fermento di studi mostra una sua specificità. Se guardiamo la produzione che si sviluppa dopo la rinascita della storiografia dell'anarchismo troveremo un'attenzione particolare per studi “settoriali”, dedicati a singoli personaggi, a esperienze locali, a formule organizzative, alla raccolta di memorie, alla riproduzione di vecchi periodici. Insomma, non più e non solo una storia “complessiva” su scala nazionale, ma una storia legata al territorio, espressione dell'intento dello studioso di legare la ricerca e la ricostruzione della “grandezza” del passato alle potenzialità del presente. Significativa la formazione di scuole “locali”, attente a valorizzare le esperienze territoriali, sia per ridare la dignità che meritano a episodi lontani, sia per ricucire un filo rosso tra le esperienze del passato e le attività del presente. E particolarmente ricca e peculiare viene ad essere non solo la produzione di studi biografici (fra il 1980 e oggi si possono contare circa 160 biografie dedicate a 120 personaggi) ma anche di autobiografie, espressione del forte interesse dell'editoria libertaria per l'esempio e il patrimonio valoriale che il vecchio compagno può trasmettere alle nuove generazioni. Se tutti i principali esponenti dell'anarchismo italiano e internazionale trovano i loro biografi, anche i personaggi apparentemente di secondo piano – ma che costituiscono l'ossatura del movimento - vengono riproposti a un rinnovato interesse, così come episodi locali di lotta operaia, di resistenza antifascista, di pratica comunitaria, di proposta pedagogica. Formandosi dunque, nella sua apparente settorialità, un quadro complessivo e sempre più completo dell'anarchismo italiano.
Naturalmente questo fiorire di studi trova corrispondenza nella nascita di nuove case editrici anarchiche, di riviste storiche che si affiancano a quelle di altre scuole, nella promozione di convegni di studi, nella produzione di preziosi repertori, strumenti indispensabili per il lavoro dello storico. In questa relazione cercherò di segnalare, anche se in modo necessariamente sintetico, le esperienze più significative che hanno interessato la storiografia dell'anarchismo in questo secondo dopoguerra, partendo da quelle pioneristiche dei primi decenni, per arrivare al fermento di iniziative e realizzazioni che hanno cominciato a c concretizzarsi dai primi anni Settanta.

Il ruolo della “propaganda”

Con la ripresa dell'attività del movimento alla caduta del fascismo, riprende con vigore il tradizionale lavoro di propaganda. Il primo editore in senso proprio è il bolognese Mamolo Zamboni, che con la Libreria Italiana d'Avanguardia (LIDA), si dedica alla pubblicazione di alcuni classici dell'anarchismo (Il mutuo appoggio e La Conquista del pane di Kropotkin, Dio e lo Stato di Bakunin, Anarchia e comunismo di Cafiero, ecc.) e a testi di propaganda, tralasciando quasi completamente qualsiasi opera di carattere storico, se si eccettua la succinta biografia di Luigi Bertoni, basata sui ricordi personali degli estensori. A fianco di questa prima esperienza usciranno alcuni libri ed opuscoli editi dai periodici dell'epoca, come il saggio di Ugo Fedeli dedicato alla rivolta di Kronstadt stampato da «Il Libertario» di Milano, i Ricordi del domicilio Coatto di Amedeo Boschi stampati dal «Seme anarchico», o da gruppi militanti, come Gli appunti per la cronaca del movimento anarchico apuano, editi dal Gruppo Faure e Bertoni di Carrara nel 1947. Nel 1946 nasce Rivoluzione Libertaria (RL – Volontà) una casa editrice organica all'intero movimento e non isolata espressione di alcune sue componenti. Legata alla rivista «Volontà», curata da Cesare Zaccaria e Giovanna Berneri, affiancherà alle immancabili produzioni di stampo propagandistico o alla riproposizione dei “sacri” testi, alcuni notevoli lavori di carattere storico, quali il Volin, Arscinov, Fedeli, ecc. Questa editrice vivrà parecchie vicissitudini, immancabili del resto nella travagliata vita del movimento, e sarà poi rivitalizzata e gestita fino agli anni settanta da Aurelio Chessa, che ne accentuerà il carattere storiografico pubblicando, tra gli altri, alcuni fra i più importanti lavori di Gino Cerrito.
Un'altra importante editrice, dedicata tanto a testi di carattere propagandistico quanto storico, sarà L'Antistato, anch'essa per lungo tempo espressione del movimento nella sua interezza. Gestita da Pio Turroni, rappresenterà fino agli anni sessanta il più importante strumento di produzione libraria dell'intero movimento, supportata nella diffusione da tutte le componenti. Dopo l'abbandono per motivi di età di Turroni, questa testata verrà ripresa, negli anni Settanta, dagli anarchici milanesi facenti riferimento ai Gruppi Anarchici Federati, e vivrà una seconda giovinezza arricchendo il catalogo di importanti testi, tra i quali i quattro volumi di Peirats sull'anarcosindacalismo spagnolo e gli atti del Convegno su Bakunin del 1977.
Risalendo negli anni, saranno le edizioni de La Fiaccola a riportare un'attività editoriale nel sud dell'Italia. Nate per opera di Franco Leggio, anch'esse troveranno una continuità che dura ad oggi, grazie all'impegno di Pippo Gurrieri e dei collaboratori stretti attorno alla rivista ragusana «Sicilia Libertaria». Proseguendo in questo elenco, necessariamente limitato alle sole case editrici che hanno prodotto cataloghi significativi per anni, va citato il generoso lavoro di Giuseppe Galzerano, che con la omonima casa editrice nata a metà degli anni Settanta, ha pubblicato non solo i suoi ponderosi testi dedicati soprattutto alle biografie degli attentatori anarchici italiani, ma anche ricerche storiche attinenti, in particolare, alle insorgenze verificatesi nell'Italia meridionale. Sarà comunque a partire dagli anni Ottanta che vedranno la luce quelle che forse vanno considerate le più importanti case editrici espresse dal movimento anarchico in questo secondo dopoguerra, sia per la qualità che per la quantità dei titoli editi.
A Milano, in un certo senso sulle ceneri dell'Antistato, nasce, nei primi anni Novanta, Eleuthera, legata anch'essa al Centro Studi Libertari “Giuseppe Pinelli”. Particolarmente attenta alla proposta di testi capaci di indagare la modernità e le nuove prospettive libertarie che si aprono nell'oggi, non trascura la riproposta di alcuni classici, così come la pubblicazioni di testi dedicati alla storia del movimento. Sempre a Milano, affidata alla Federazione Anarchica Milanese, c'è Zero in Condotta, casa editrice “ufficiale” della Federazione Anarchica Italiana. Anche questa editrice, con sede dapprima a Imola dal 1988, pubblica sia testi di riflessione teorica sia testi di carattere storico, con una particolare attenzione alla storia della Federazione e dell'anarchismo di stampo organizzativo e federalista. Poi la curatissima produzione della Biblioteca Franco Serantini di Pisa, espressione dell'omonimo archivio. Questa editrice, nata sul finire degli anni Ottanta, ha prodotto fino ad oggi più di un centinaio di testi, moltissimi dei quali dedicati alla ricerca storica.
Vanno infine segnalate, in considerazione della loro persistenza nel campo editoriale, le edizioni La Baronata di Lugano, le edizioni catanesi di Anarchismo, fucina di innumerevoli testi, moltissimi dei quali opera del fondatore e massimo animatore delle stesse, Alfredo Maria Bonanno, e infine l'abruzzese Samizdat, poi riversatasi nel Centro Studi Sociali Camillo Di Sciullo, con sede dapprima a Pescara quindi a Chieti, che ha messo a catalogo, oltre a numerosi preziosi reprint o riscoperte di vecchi “classici”, anche alcuni pregevoli testi attinenti soprattutto alla storia del movimento anarchico abruzzese. Come si può vedere da questo elenco, succinto ma altrettanto ricco di potenzialità espresse, l'editoria anarchica non ha mai cessato, pur nella diversità degli interessi e degli argomenti privilegiati, di svolgere il suo importante ruolo di diffusore del pensiero e della storia dell'anarchismo e dei movimenti libertari, dimostrando la capacità di reggere il passo con lo sviluppo e la crescita degli studi storici.

Da “Volontà” alla “Rivista storica dell'anarchismo”

Per tracciare un quadro complessivo della storiografia dell'anarchismo in questo dopoguerra, occorre prendere in considerazione anche le numerose riviste scientifiche che non solo hanno ospitato importanti saggi e ricerche, ma hanno anche favorito lo sviluppo di una disciplina storiografica particolarmente attenta alle nuove problematiche relative a una più corretta interpretazione dei fenomeni sociali innescatisi con il prorompere della questione sociale in Italia.
Antesignano degli studi sul movimento operaio in generale con particolare attenzione a quello libertario, è senza dubbio «Movimento Operaio», uscito a Milano fra il 1949 e il 1956. Fondato da Gianni Bosio e da lui lungamente diretto, ha ospitato al suo interno i primi pioneristici studi sull'anarchismo, compiuti soprattutto da Pier Carlo Masini e Ugo Fedeli. La storia di questa rivista, che ha visto fra i suoi giovani collaboratori, alcune di quelle che sarebbero diventate fra le firme più prestigiose nel campo della storiografia dei movimenti sociali di questo dopoguerra, meriterebbe, per l'importanza che ebbe per la nascita e lo sviluppo di un nuovo filone storiografico, un saggio a parte. Un'altra importante e longeva rivista, che ha ospitato anche numerosi e importanti saggi sulla storia dell'anarchismo e dei movimenti libertari, è «Movimento Operaio e Socialista», edita dal Centro ligure di storia sociale e uscita fra il 1955 e il 1990 (n.s.) con cadenza tri e quadrimestrale. Accanto a questa, va ricordata la «Rivista Storica del Socialismo», diretta da Luigi Cortesi e Stefano Merli che esce a Milano fra il 1958 e il 1967 e pubblicata per 31 numeri. Pur dedicando la maggior parte delle sue pagine agli studi sul socialismo e sul marxismo in Italia, non ha mancato, in più occasioni, di mostrare attenzione anche alla storia dell'anarchismo.
In campo anarchico sono sostanzialmente quattro, pur nella diversità di impostazione, le riviste da prendere in considerazione. La prima è la già citata «Volontà», che ha iniziato le pubblicazioni nel 1946 per cessarle nel 1996. Rivista che per lunghi anni ha raccolto tutte le anime del movimento, rappresentandone l'espressione culturalmente più autorevole, pur privilegiando gli aspetti teorici e il lavoro di propaganda del pensiero anarchico e dei suoi collegamenti con le nuove realtà, non ha trascurato di pubblicare pregevoli articoli di carattere storico. Nella sua seconda fase di vita, quella che vede affidata la direzione al Centro Studi Libertari di Milano, ha indubbiamente accentuato il suo interesse verso nuove riflessioni e interpretazioni in chiave libertaria dei fenomeni sociali, cedendo l'interesse per la ricerca storica al Bollettino dell'Archivio Pinelli, una pubblicazione sempre curata dal Centro Studi, nata a Milano nel 1992, che ad oggi ha già visto l'uscita di una quarantina di fascicoli. La sua importanza deriva non solo dalla qualità degli articoli pubblicati, ma anche dal puntuale ruolo di informazione su quanto si muove nel campo della ricerca storiografica. Una terza rivista particolarmente interessante in questo ambito è «Collegamenti per l'organizzazione diretta di classe»: nata a Firenze nel 1997, dopo varie vicissitudini e interruzioni, si trasferisce a Milano nel 1995, dove cambia intestazione diventando «Collegamenti Wobbly». Sarà soprattutto in questa seconda fase, che va dal n. 1 al numero 13 uscito nel 2008, che si approfondiscono le tematiche storiche, raccolte puntualmente nella rubrica “Storia e memoria”.
Lascio per ultima, ma non certo per importanza, la «Rivista Storica dell'Anarchismo», l'unica pubblicazione, in campo anarchico, dedicata specificamente alla ricerca storica. Nata nel 1994, soprattutto per iniziativa di Pier Carlo Masini e del curatore della Biblioteca Serantini, Franco Bertolucci, ha rappresentato fin dal primo numero uno degli strumenti più importanti e preziosi per la storia dell'anarchismo. Raccogliendo nel comitato scientifico e in quello di redazione molti dei nomi più autorevoli non solo in campo accademico, ma anche in quello della storiografia “militante”, con i suoi 22 numeri (l'ultimo è il 22 del 2004) non solo ha pubblicato molti degli articoli e studi più interessanti di questi anni, ma ha anche contribuito a dare un'ossatura sostanziosa a una scuola storiografica che oggi, come dimostra la quantità e la qualità delle pubblicazioni, rappresenta un valore aggiunto nel mondo scientifico del paese.

Fonti, convegni, il dizionario biografico e...

Contemporaneamente, come valido aiuto per questi studi, si sviluppa, con particolare rilevanza, il lavoro sulle fonti. Dopo l'uscita di un'opera importantissima quale fu la Bibliografia del Socialismo e del Movimento Operaio pubblicata dall'Ente per la Storia del Socialismo e del Movimento Operaio Italiano fra il 1962 e il 1968, saranno altre due, negli anni Settanta, le opere che indicheranno la strada per nuove ricerche: i due volumi bibliografici di Leonardo Bettini (1972 e 1976), dedicati ai periodici anarchici di lingua italiana, e i cinque volumi del Dizionario biografico del Movimento operaio, curati da Franco Andreucci e Tommaso Detti. Due lavori preziosi non solo per la ricchezza e completezza di informazioni, ma anche perché propedeutici ad altri studi e lavori che vedranno la luce negli anni successivi.
Di questi il Dizionario Biografico degli Anarchici Italiani, di inestimabile valore e imprescindibile per qualsiasi studio che abbia come oggetto l'anarchismo - già padre di quatto nuovi dizionari biografici regionali - è la dimostrazione più piena della consapevolezza, non solo del movimento anarchico ma anche del mondo accademico, dell'importanza della ricostruzione di una presenza rilevante e niente affatto secondaria all'interno della più generale storia sociale dell'Otto e Novecento. Il numero degli estensori delle schede biografiche, così come il rigore scientifico e l'accuratezza editoriale che hanno permesso la realizzazione di questa opera, sono la piena dimostrazione del grado di maturità raggiunto dalla storiografia dell'anarchismo italiano.
Restando nel campo della ricerca delle fonti, va considerato anche il numero di convegni di studi dedicati alla storia o a singoli personaggi dell'anarchismo. Se, come si è detto, quello organizzato dalla Fondazione Einaudi nel 1969 fece da battistrada sia per la “originalità” del tema sia per la molteplicità degli argomenti trattati, negli anni seguenti si sono succedute molte altre occasioni di incontro e confronto, organizzate in campo accademico e a livello più “militante”. Sono infatti più di una ventina, se non ne ho dimenticato alcuni, i convegni organizzati in Italia a partire dalla metà degli anni Settanta ad oggi. E tra gli organizzatori ricordo, in particolare, quell'Archivio Famiglia Berneri Aurelio Chessa – Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia che oggi ci ospita. E non a caso perché è proprio a partire dalla consapevolezza dell'importanza della raccolta e conservazione delle fonti e dei documenti prodotti dal movimento anarchico, che questi ultimi decenni hanno visto il nascere di Archivi e Centri Studi di particolare rilievo. Oltre a questo, un capostipite a lungo costretto a vita solitaria, vanno ricordati il Centro Studi Pinelli di Milano, la Biblioteca Libertaria Armando Borghi di Castelbolognese, la Biblioteca Franco Serantini di Pisa, l'Archivio Storico della Fai di Imola e la neonata Biblioteca Travaglini di Fano, tutti espressione di una nuova sensibilità del movimento anarchico di oggi per la propria storia e il proprio passato. Una accurata ricognizione sulla natura e la consistenza di questi archivi è raccolta nel volume Fragili Carte, nel quale Luigi Balsamini descrive non solo il patrimonio conservati, ma anche gli obiettivi e le motivazioni che hanno portato alla nascita di questi insostituibili strumenti del lavoro storiografico.
Per finire non posso non citare quello che verrà ad essere un ulteriore strumento per la scrittura della storia dell'anarchismo. Mi riferisco ai nove volumi, curati magistralmente da Aldo Turcato, che raccoglieranno l'opera omnia di Errico Malatesta. Già i primi due volumi usciti, per la ricchezza della documentazione e dell'apparato critico, rappresentano un gioiello storiografico, utile non solo per approfondire il pensiero malatestiano, ma anche, e forse soprattutto, per passare in rassegna tutta quella lunga storia dell'anarchismo di cui Malatesta fu indiscusso protagonista. Quella stessa storia dell'anarchismo di cui oggi possiamo parlare con tanta cognizione di causa.

Massimo Ortalli

* Un significativo esempio di come la partecipazione degli anarchici agli avvenimenti del Ventesimo secolo venisse misconosciuta se non addirittura ignorata lo si ricava dalla lettura di questo documento redatto il 12 marzo 1965 da Aldo Rossi della Federazione Anarchica Laziale (Asfai, Fondo Antonelli, Rossi e Pietroni, bs 2, carpetta Corrispondenza evasa): «Venerdì 12 marzo alla Casa della Cultura sotto gli auspici della Rivista “Il Ponte”, ha avuto luogo una pubblica manifestazione sul tema “Spagna quando?”. Su questo interessante tema hanno parlato il dott. Giuseppe Casati, il prof. Aldo Garosci, Arrigo Repetto e Aldo Spriano. In questo dibattito [...] veniva però totalmente dimenticato, escluso un breve accenno del prof. Garosci, l'apporto degli anarchici. Veniva messo in rilievo il contributo dei comunisti, socialisti, repubblicani, ed anche della tardiva – ma valida, secondo gli oratori – partecipazione delle forze cattoliche, mentre l'anarchismo sembrava non aver alcuna importanza circa la realtà spagnola. Noi della F. A. Laziale [...] sottolineammo la strana dimenticanza da parte dei relatori del contributo dato dagli anarchici [...] e tra il vivo interesse dei presenti, soprattutto giovani, veniva quindi letto un volantino, da noi tradotto dallo spagnolo, edito dalla Federazione Iberica Giovanile Libertaria. La lettura del manifesto, che lo stesso prof. Garosci affermava essere della massima importanza, veniva poi sottolineato da calorosi applausi [...]».

Addio a Paola Nicolazzi
“Addio a Lugano”

È morta a Carrara Paola Nicolazzi. Aveva 81 anni.
È stata una delle voci che hanno accompagnato le lotte degli anni '70, una stagione in cui si intrecciavano storie personali ma anche le strade della canzone popolare con il canto sociale e di protesta, a cominciare da quello anarchico.
Alcune sue intrepretazioni sono state pubblicate nei nostri “Dischi del Sole”, compresa la sua “ballata” più famosa: “Il Galeone”, su un testo scritto nel 1967, in carcere, da Belgrado Pedrini.
Questo canto è entrato nel repertorio di decine di gruppi musicali di tutta Italia e continueremo ancora a cantarlo in tutti i nostri incontri, feste, concerti.
Vorremmo ricordarla con la stessa frase di Buenaventura Durruti che aveva accompagnato neanche due anni fa i funerali di sua figlia Raffaella: “Noi portiamo un mondo nuovo qui, nei nostri cuori”, dove si è per sempre accomodata anche Paola.
Ai figli, ai parenti e ai compagni di Carrara, il nostro abbraccio.

Istituto Ernesto de Martino
Villa San Lorenzo al Prato
Via degli Scardassieri, 47
50019 Sesto Fiorentino (FI)
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7 giugno 2014

La redazione di “A” si associa al ricordo degli amici e compagni dell'Istituto Ernesto De Martino e ricorda la nostra intensa collaborazione con Paola, a partire dalla campagna per la liberazione dell'antifascista anarchico salernitano Giovanni Marini nei primi anni '70.
Tra le tante iniziative di propaganda e di lotta cui abbiamo partecipato fianco a fianco, ci piace ricordare qui la sua partecipazione al concerto del 10 ottobre 1975, a Milano, al teatro Uomo (poi ridenominato teatro Miele), per raccogliere fondi per la nostra rivista.
In quella serata (per chi c'era) memorabile, Paola (accompagnata alla chitarra dal giovane figlio Roberto) cantò “Addio a Lugano” insieme con Francesco De Gregori (protagonista della serata pro-“A”) e Giorgio Gaber (“scovato” tra il pubblico e invitato a salire sul palco).