rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014





Penisolâti

È un cd di Loris Vescovo, il quarto in quindici anni, ed è uscito da poco. Avevo segnalato su queste pagine il suo primo lavoro “Doi oms e une puarte” (“A” 265, estate 2000) e il terzo “Borderline” (“A” 347, ottobre 2009) facendo una fatica bestia a trattenere i superlativi, così come faccio fatica a tenerli al guinzaglio anche adesso. Ed ecco che li sgancio subito: è un lavoro meraviglioso, magnetico, sorprendente. E infatti il primo ascolto mi ha proprio preso di sorpresa e mi ha disorientato, così quando è finita l'ultima canzone ho schiacciato ancora il tasto play e me lo sono riascoltato subito. Ma anche questo secondo ascolto e quelli dei giorni successivi mi hanno dato sempre un certo spaesamento.
Chissà perché mi aspettavo da Loris roba differente, forse per via di una vecchia idea che mi ero fatto di lui e che mi era rimasta in testa, non saprei. Dagli altoparlanti escono invece nuvole contorte, più che canzoni sono congegni strani, sono trappole per le orecchie. Canzoni che sembrano una cosa, poi le vai a riascoltare e resti un po' così perché sembra sia un altro disco, e invece no. Che strano. E questa sensazione si ripete all'interno dell'album come se le canzoni invece che restare ferme a farsi leggere dal laser si spostassero, cambiassero posizione, si muovessero irrequiete come scolari indisciplinati decisi a non farsi fermare con un sorriso ipocrita appeso in faccia nell'immobilità della foto di fine anno.
All'inizio, ma solo per tratti brevi, sembra quasi di essere finiti indietro nel tempo, al Loris Vescovo di una volta, a quel misto impalpabile vagamente Neil Young e vagamente Nick Drake che caratterizzava le sue prime cose. Ma dura poco, dicevo, molto presto la riconoscibilità folk svanisce e le vaghe somiglianze pure, e il panorama si fa complicato. L'ascolto si fa salita e diviene via d'alta quota. Contribuisce per certo a questo dislivello il gruppo di musicisti che gli si sono raccolti attorno: ritroviamo il Leo Virgili ed il Simone Serafini del passato recente, adesso anche Ivan Ceccarelli e Mark Harris a gettare diserbante raffinato contro il silenzio. Ma la voce è e resta quella, bruna e ruvida, sospesa in bilico fra terra ed acqua ed amante di entrambe, perennemente indecisa a prendere il volo, ispida come un gatto boscariolo che non si fa avvicinare.
Nei testi si filosofeggia di identità e meticciato, di scelte meditate di solitudine e di solitudine imposta per forza del destino, del costruirsi lento e incostante dei rapporti umani in forma di filastrocca oppure in versi liberi. Per queste vie si incontrano le persone e gli spiriti insieme in processione, Pier Paolo Pasolini, i benandanti, persino qualche camicianera ed altri personaggi lugubri e infelici che abitano dentro la televisione e nei gazebi dove si raccolgono firme. Stranezza ulteriore, la lingua friulana dei testi non li rende incomprensibili ma aggiunge alle parole un'aura magica, e per mal che vada c'è la traduzione. Come in “Borderline” anche qui dentro c'è -spesso, non sempre- malcontento, rancore, malessere, insoddisfazione, misto notturno di amaro ed aspro. Ma se l'album precedente di Loris poteva essere raccontato, molto frettolosamente, come una raccolta di protest songs dai riflessi lunari, adesso le canzoni hanno altra consistenza e spessore, e per assaporarle bisogna armarsi di curiosità e pazienza.
La copertina ed il libretto offrono un'immagine insolita dell'Italia, e ben si relazionano con la visione del mondo offerta dall'autore: nodosa di dubbi come certi alberi vecchissimi, malinconica come certe strofe novembrine di Biagio Marin, agitata e sottosopra come uno sberleffo anarchico. Sono canzoni da sbucciare, ognuna ha un certo spessore da intaccare, bisogna scavare, fare fatica e sporcarsi le mani, talvolta bisogna usare il coltello. Difficile raccontare l'acido di certe strofe, paragonabile al brivido metallico che lascia sulla lingua la lama che ha appena tagliato uno dei limoni migliori.
Loris Vescovo e Caia Grimaz a Cjantâ Vilotis, 2013

Il cd, come i precedenti, è pubblicato dall'indipendente udinese Nota. Vi invito a investigare sul catalogo, consultabile su www.nota.it, dove nascosto tra certi grandi nomi della musica popolare nazionale (Margot, Giovanna Marini, Cantacronache, Gualtiero Bertelli, Luisa Ronchini, Caterina Bueno, Alessio Lega etc.) c'è un mondo di autori oscuri di musiche entusiasmanti. Suggerisco solo un paio di titoli, ma non a caso: “Sotto gli occhi di tutti”, sedici poesie di Umberto Fiori su musiche di Luciano Margorani, e il doppio “Grops” che raccoglie la testimonianza di una manifestazione in ricordo di Giorgio Ferigo, che fu notevole scrittore, storico e musicista.
Contatti: www.lorisvescovo.com.

Marco Pandin