rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014





Figli di


Il figlio del noto presidente del Consiglio entrò nel ristorante con la baldanza del primo della classe. Per questo aveva scelto quel posto che era insieme esclusivo e mondano, l'ideale per festeggiare il suo primo incarico di governo a neppure 40 anni. Al suo fianco camminava sorridente il figlio del famoso giornalista. Aveva appena ottenuto un'intervista in esclusiva per il quotidiano che era stato chiamato a dirigere dopo la morte del padre avvenuta, diceva lui, a neppure 90 anni.
Al tavolo, insieme a loro, si sistemarono il figlio di un dirigente statale che aveva ereditato dal genitore lavoro e grado gerarchico, il presidente di un'importante fondazione bancaria intitolata a suo padre e il figlio di uno storico capo degli industriali, ora alla guida della stessa categoria.
Poco dopo li raggiunse il figlio di un leggendario cantante pop. Aveva appena finito di registrare il suo terzo disco per una multinazionale discografica presieduta dal figlio di un memorabile magnate del settore.
I figli delle guardie del corpo si disposero a cerchio intorno al tavolo per creare una zona di protezione. Al di là delle loro robuste spalle s'intravedevano le facce curiose e disorientate dei clienti. Molti di loro avrebbero voluto stare a quel tavolo, e intanto ne parlavano male, scuotendo la testa. Probabilmente non avevano avuto un padre all'altezza e si erano fermati al penultimo grado di successo. Erano ricchi per ragioni di continuità familiare, ma costretti a restare nell'ombra di qualcuno più potente di loro.
In lieve ritardo arrivò anche l'arcivescovo, che aveva promesso la sua benedicente presenza per dare un tocco di sacra rispettabilità a quell'evento. I suoi lineamenti ricordavano quelli di un alto prelato ormai defunto che lo aveva preceduto nell'incarico, ma a nessuno sembrò opportuno far notare l'indubbia rassomiglianza.
Intanto il maître si preparò a presentare i piatti di eccellenza della casa, molti dei quali erano stati creati tanti anni prima da suo padre. Con un battito di mani ordinò ai camerieri figli d'arte di servire gli antipasti accompagnati da un flûte di champagne.
Jack osservava la scena da dietro la vetrina e rifletteva sullo champagne. La loro classe stava in questo: nell'iniziare da dove tutti gli altri finivano. Ma lui non aveva quel tipo di classe. Suo padre gli aveva insegnato a entrare a gamba tesa, senza preavviso, per ribaltare i ruoli di quella che definiva <una farsa>, intendendo la vita in società o forse la vita in generale. Lo aveva allenato a modi spicci, rozzi, e a impugnare talvolta una pistola per riprendersi il maltolto.
No, non aveva la loro classe, questo lo sapeva. Ma aveva coltivato il suo personale stile. Lasciare il finale sospeso nel punto in cui tutti solitamente iniziavano. Si rivolse alle persone dietro di lui, una decina di figli di nessuno o giù di lì, e disse <Andiamo>. Poi il figlio del noto gangster entrò nel ristorante.

Paolo Pasi