rivista anarchica
anno 44 n. 391
estate 2014




Imbarazzo a catinelle

Ci sono delle parole “ombrello”: quando uno non sa cosa dire, o crede di non poter dire, si dichiara in imbarazzo. Devo ricordarmi di inserire questo termine nel mio personale dizionario d'emergenza. L'Italia è piena di gente in imbarazzo, solitamente collocata in posizioni dirigenziali. Leggo, per esempio, che il PD è in imbarazzo quando si scopre che un signore di nome Primo Greganti parrebbe aver fatto imbrogli a molte cifre nella questione spinosa – imbarazzante, appunto – degli appalti per Expo 2015, essendo al tempo stesso tesserato del PD. L'uomo sarebbe un “tesserato che mette in grande imbarazzo i vertici del partito”, si legge qui: http://www.polisblog.it/post/231973/caso-expo-2015-il-pd-sospende-primo-greganti. Si legge anche che il tizio in questione, numerosi anni fa, era coinvolto in Tangentopoli. Ora: ci si imbarazza quando si scopre qualcosa di inatteso e che si è fatto di tutto per evitare. La mia domanda è: cosa c'è di inatteso in una probabile corruzione che si ripete – e manteniamola come probabile – sostanzialmente uguale a se stessa?
Le parole significano. Il linguaggio è un modo per dar forma ai fatti, e c'è un patto di fedeltà che dev'essere rispettato. Altrimenti non parliamo. Semplicemente, sventagliamo sciocchezze in riproduzione casuale. Non è imbarazzo, in altri termini, quello che dovremmo provare, ma stupefazione per il fatto che chi ha già dimostrato una volta di essere titolare di una fiducia non riposta se la veda attribuire di nuovo, e meccanicamente ripeta lo stesso, inaccettabile modello. E dovremmo avere vergogna, se in una vicenda di questo tipo siamo coinvolti in modo diretto.
“Vergogna” è un altro termine usato poco e male. Curiosamente, la vergogna è gerarchica ed economicamente determinata. Ci si vergogna solo quando si è poveri, politicamente insignificanti, nati nella classe sbagliata. Ci si vergogna di quel che si è, che non ha alcun senso, e non di quello che si è fatto perché indegno. Vorrei sentire un politico dire che ha vergogna.
Vorrei sentire per esempio uno dei senatori che hanno recentemente votato contro i tagli alle pensioni d'oro. Molti sono grandi intellettuali, eroicamente impegnati in mirabolanti battaglie sociali. Nessuno fa fatica ad arrivare alla fine del mese. Assolutamente nessuno si sognerebbe di rubare due hamburger in un supermarket per sfamare i suoi figli: e certo, ci mancherebbe, quello è un crimine. E tuttavia hanno votato contro i tagli in un paese in cui i disoccupati si suicidano perché davvero – e del tutto ingiustamente – si vergognano di non esser capaci di sostentarsi col loro lavoro. E in questo contesto, i senatori non si vergognano. Il partito è in imbarazzo, però: ne siamo consolati.
Parecchi anni fa, mia figlia piccola è uscita di casa interamente vestita di verde e dichiarando che quella era “la sua giornata imbarazzante”. Alla domanda su quale fosse il motivo di tanto imbarazzo, lei ha risposto che avrebbe dovuto rifiutare il corteggiamento di un suo compagno di classe, e questo avrebbe provocato un dolore del quale lei si sentiva responsabile. Non essere innamorata le provocava imbarazzo, e, a corto di parole, intendeva comunicarlo coi colori. Verde imbarazzo: è quasi una linea politica.
Ancora qualche anno fa, un mio studente ha fatto un clamoroso outing in aula. Era un tizio timidissimo, che compariva sempre carico di libri e che si era appassionato al mio corpo sui “corpi sbagliati”, non omogenei col dettato delle convenzioni sociali. Ricordo il palpabile imbarazzo della classe: era accaduto qualcosa di insolito, col quale nessuno sapeva bene come relazionarsi. Qui la definizione di imbarazzo è perfetta. Ricordo che fu superata, non attraverso il mio aiuto (paralizzata anch'io dalla rivelazione inattesa e dallo spostamento brusco dal collettivo istituzionale al personale intimo), con un atto semplice, elementare e accogliente: un applauso, che credo che a quel timidissimo studente abbia cambiato integralmente la vita.
In tutti e due questi casi, non c'è vergogna e non ci deve essere, perché non c'è colpa. C'è solo lo stupore di un dato inatteso, seguito dal superamento di un'incertezza: quel genere di comportamento per cui siamo esseri umani e che si chiama “scelta”.
Così io penso questo: chi decide, perché questo ruolo gli è stato affidato, non può essere in imbarazzo. Può – e deve – vergognarsi per aver fatto una scelta sbagliata, e la vergogna ha un senso se è seguita da un'assunzione di responsabilità: altra parola desueta, che nessuno pronuncia mai applicandola a se stesso.
Allora diciamo così: siamo un paese imbarazzante piuttosto che imbarazzato. Per quest'ultimo atteggiamento non abbiamo i requisiti. E piantiamola anche di pararci la testa con un ombrello che, alla luce dei fatti, è pieno di buchi: piove, e l'acqua, guarda un po', cade sempre sulle stesse persone.
Che è un altro modo per dire: “piove, governo ladro”.

Nicoletta Vallorani