rivista anarchica
anno 44 n. 392
ottobre 2014



Secondo noi, Marcos


La “scomparsa” del subcomandante ha suscitato diversi pareri.
Di seguito riportiamo due opinioni inviateci.



Il signore degli specchi e il principio del capo

di Federico Battistutta

Non mi stupirei se molti simpatizzanti dell'EZLN digerissero a fatica le últimas palabras del subcomandante Marcos. Non tanto e non solo per il suo addio definitivo e il conseguente sentimento di nostalgia verso l'epopea del Sup. Ma soprattutto perché queste ultime parole colpiranno nel segno rispetto a chi in questi anni ha persistito nel coltivare l'immagine (mitica? epica? romantica? da feuilleton o da fumetto?) dell'eroe rivoluzionario. Nella “società dello spettacolo”, in cui i rapporti sociali sono mediati da immagini, il subcomandante Marcos si è rivelato non essere altro che una maschera, un pupazzo, un ologramma; è il 'signore degli specchi' (secondo la bella definizione di Vázquez Montalbán), una geniale invenzione da parte della gente del Chiapas per portare l'attenzione, altrimenti negletta, sulla propria condizione. A quanto pare riuscendoci appieno: tutti siamo caduti dentro questo congegno, avversari e sostenitori. E ora, gli zapatisti e le zapatiste, decidono di porre fine alla loro creatura.
Adesso, a cose fatte, che ne faremo del simulacro di Marcos fra le mani? Una sindone o un'icona mediatica? Oppure seguiremo il suggerimento presente all'interno di quest'ultima dichiarazione: «dovreste coltivare un po' di senso dell'umorismo, non solo per la salute mentale e fisica, ma anche perché senza senso dell'umorismo non si può comprendere lo zapatismo. E quello che non capisce, giudica; e quello che giudica, condanna». E, con questo giusto dosaggio di umorismo, ripensare il nostro rapporto con la politica. A ben vedere, questa è l'ultima tappa di un sovvertimento delle categorie del politico a cui Marcos ci aveva già abituati con le precedenti dichiarazioni: con lui, infatti, il comunicato politico esce dall'angusto lessico algido e burocratico (vi ricordate i comunicati delle varie organizzazioni armate negli anni Settanta?), per divenire atto creativo. Si può veramente dire che l'immaginazione prende il potere (meglio: lo demolisce).
Andiamo al cuore di tutto il comunicato: «É una nostra convinzione ed una nostra pratica che per ribellarsi e lottare non sono necessari né leader né capi né messia né salvatori. Per lottare si ha solo bisogno di un po' di vergogna, un tanto di dignità e molta organizzazione». Quale distanza dal líder máximo cubano e dai più recenti epigoni! È dunque possibile farla finita, una volte per tutte, con l'idea di capo in ogni sua possibile declinazione e sollevare la testa, percorrendo con i propri simili tratti di strada in piena orizzontalità? Nella Selva Lacandona dicono di sì. Con insistenza.
C'è un video (lo si trova facilmente su youtube) in cui Marcos dichiara la sua intenzione di togliersi il passamontagna e mostrare a tutto il mondo il suo volto. Lo si vede chinare il capo, afferrare con una mano il passamontagna, quindi strapparlo via; dopodiché compare il viso di un ragazzo indio e subito dopo il medesimo gesto - quello di togliersi il passamontagna - lo vediamo ripetuto e ogni volta compare un volto differente: giovani, anziani, bambini, maschi, femmine, bianchi, gente di colore e così via. Come dire: tutti siamo Marcos. Il subcomandante non esiste perché tutti siamo Marcos quando solleviamo il capo e decidiamo di prendere la vita nelle nostre mani.
Proviamo allora a leggere la storia di Marcos anche alla luce di quanto accade a casa nostra. «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi», diceva il Galileo di Brecht. E, da questa prospettiva, l'Italia è davvero una terra di estrema sventura. La prolungata agonia in cui versa la nostra democrazia rappresentativa ha affidato al culto del capo l'ultima possibilità per sopravvivere. In questa semplice chiave è possibile leggere le vicende della cosiddetta “seconda repubblica”. Se tangentopoli aveva sepolto il “sistema dei partiti”, (n.b.: gli stessi partiti che una manciata di anni prima dichiaravano di aver superato gli anni di piombo in nome dei sacri valori costituzionali), se nei raggruppamenti politici da tempo non crede più nessuno, si sono allora fatte avanti liste costruite intorno a questo o quel leader. Basta ideologie, basta partiti: prima con Berlusconi, ora Renzi (per non parlare di Grillo e della sua alternativa). La democrazia rappresentativa vuole salvarsi con una svolta autoritaria. È infatti sufficiente raschiare un po' e dietro il culto del capo vediamo all'opera il führerprinzip, il tristemente famoso “principio di supremazia del capo”. Anche la sinistra – o ciò che rimane di essa – anziché innescare una controtendenza, ha finito per accodarsi, triste, a tale indirizzo (v. le varie liste in cui campeggiano i nomi di Vendola, Ingroia e, infine, Tsipras; con quest'ultimo si è toccato in qualche modo il fondo: non essendoci a disposizione una figura leader in casa nostra si è dovuta cercarla nel resto d'Europa).
Qui l'appello di Marcos diventa allora per noi una vera e propria sfida, da raccogliere con ironia, con dignità e molta fantasia; anche se difficile, se non impossibile, per i politici nostrani. (Marcos, in una conversazione con Montalbán, aveva affermato che «un partito politico non può afferrare la proposta zapatista in quanto uno dei suoi aculei, tra i più pungenti, è la critica dei politici di professione, e questo indipendentemente dalla loro posizione politica»).

Federico Battistutta




La fine del Sup è il funerale dell'Autorità

di Valerio Morosi

Il Subcomandante Marcos, portavoce dell'Ezln ed additato dal governo come leader degli stessi insorgenti chiapanechi, ha smesso di esistere il 25 maggio 2014. Il tutto, come ormai noto, è stato dichiarato dallo stesso interessato in un incontro pubblico in ricordo del compañero Galeano, vilmente ucciso in un attacco paramilitare il 2 maggio scorso. Il portavoce zapatista è ritornato nella notte scura degli indigeni, nell'oltretomba da cui vengono tutte le voci del suo popolo. Si è inoltrato nell'oblio dei 500 anni di sfruttamento che separano il presente dall'arrivo dei conquistadores occidentali e cessa di far sentire la sua voce e diffondere i suoi comunicati ironici, sferzanti e spesso commoventi.
Chi non conosce lo zapatismo e i suoi metodi, o ha da sempre scambiato il movimento per il classico foco guevarista, resterà perplesso da una simile manovra. Chi era affezionato ai libri del Subcomandante, alle sue parole, alle sue storie – ed effettivamente le capacità letterarie della persona che si celava dietro pipa e passamontagna sono state ampiamente riconosciute in tutto il mondo – sarà sinceramente rimasto dispiaciuto da questa decisione. Ma chi fa parte della seconda categoria sa anche che questa sparizione è figlia di una logica coerente con l'ideologia libertaria dell'Ezln.
Da tempo ormai il movimento neo-zapatista del Chiapas ammetteva di essere giunto ad un punto di svolta. Dopo vent'anni di insurrezione, di lotta giornaliera tesa ad instaurare una propria autonomia contro i soprusi del governo, una nuova generazione di uomini e donne si era ormai formata sotto le insegne dello zapatismo. Furono peraltro queste stesse compagne e compagni indigeni ad accogliere nel 2013 le migliaia di persone venute da tutto il mondo per partecipare all'Escuelita Zapatista, un momento di rilancio dell'Ezln che ha nuovamente mostrato al mondo le potenzialità organizzative e coordinative del movimento, oltre al cuore e alla forza del popolo originario della Selva Lacandona. Durante questa occasione i partecipanti hanno avuto la possibilità di vivere per alcuni giorni nelle comunità che costituiscono l'ossatura dell'Ezln, ovvero le “basi di appoggio”.
Grande assente di questi incontri, caduti tra l'altro durante il ventennale dell'insurrezione chiapaneca – 1° gennaio 1994 –, è stato poi lo stesso Subcomandante Marcos. È evidente che il significato della mancata apparizione, letta inoltre nell'ottica della precedente cessione al Subcomandante Moises del comando dell'esercito, sia stato la volontà di mostrare quali siano i veri detentori del potere: le comunità, gestite localmente da autorità rappresentative mediante un sistema di distribuzione degli incarichi auto organizzato in maniera totalmente assembleare.
La sparizione della figura del Subcomandante è frutto di una esigenza di chiarezza, tesa a togliere ogni dubbio relativo alla gestione del potere nell'Ezln; tesa a mostrare come le teste e i media occidentali, accecati da pregiudizi inveterati relativi al culto della personalità, alla necessità di un leader, alla personificazione del comando, abbiano in realtà sempre preso un abbaglio. Marcos sta all'Ezln come il proverbiale dito indice alle persone che vi si nascondono dietro – gioco in cui la colpa dell'errore è sempre dovuta all'osservatore – e l'Occidente, non accorgendosi di ciò, ha sempre mistificato la portata della rivoluzione in Chiapas.
Purtroppo la circostanza che ha occasionato la rivelazione è tra le più tristi in assoluto. È stato dopo l'assalto al Caracol (ovvero il centro coordinatore della zona) di La Realidad, la distruzione della clinica lì costruita e l'omicidio barbaro di Galeano che le comunità hanno finalmente deciso di por fine alla “leggenda” del Subcomandante, un fantasma troppo ingombrante per il popolo chiapaneco, seppure la decisione fosse appunto nell'aria da tempo. Per la volta definitiva l'Ezln ha detto basta alle personificazioni e agli ideali autoritari, alle guerriglie fochiste, alle teorie delle avanguardie operaie, alle menzogne del mandato popolare incondizionato ad un manipolo di rivoluzionari di professione.
Ma sono sicuramente le ultime parole del Subcomandante quelle che possono rendere maggiore giustizia alla decisione: “Non ci saranno dunque case-museo o targhe di metallo con su scritto qui è nato e cresciuto. Né ci sarà chi dirà di essere stato il subcomandante Marcos. Né si erediterà il suo nome o il suo incarico. Non ci saranno viaggi pagati all'estero per tenere conferenze. Non ci saranno trasferimenti né cure in ospedali di lusso. Non ci saranno vedove né eredi. Non ci saranno funerali, né onori, né statue, né musei, né premi, né niente di quello che il sistema fa per promuovere il culto della personalità e per sminuire la collettività. Il personaggio è stato creato ed ora i suoi creatori, gli zapatisti e le zapatiste, lo distruggono”.
La morte di Marcos acquista il significato simbolico di sacrificio nei confronti di Galeano; “Pensiamo che sia necessario che uno di noi muoia affinché Galeano viva. E per soddisfare la morte impertinente, al posto di Galeano mettiamo un altro nome affinché Galeano viva e la morte non si porti via una vita, ma solo un nome, poche lettere prive di senso, senza storia propria, senza vita. Quindi abbiamo deciso che Marcos da oggi smette di esistere [...]. Alla fine chi capirà, saprà che non se ne va chi non c'è mai stato, né muore chi non ha vissuto. E la morte se ne andrà via ingannata da un indigeno col nome di lotta di Galeano, e sulle pietre posate sulla sua tomba tornerà a camminare ed ad insegnare, a chi lo vorrà, la base dello zapatismo, cioè, non vendersi, non arrendersi, non tentennare”.
Foto di Galeano sono state diffuse sui media alternativi; egli è l'unico zapatista di cui esistano immagini senza il passamontagna; anche questo fatto è fortemente simbolico, perché il volto coperto è da sempre il maggior simbolo del movimento. Uno dei suoi molteplici significati è quello del “coprirsi per essere finalmente visti” dopo un lungo e silenzioso inverno di schiavitù durato secoli. A Galeano invece il volto, nella morte, è stato restituito, cosa che fa di lui un nume e che apre la sua memoria e immagine all'eternità. Galeano non è il primo zapatista morto per la causa e temiamo tutti che non sarà nemmeno l'ultimo. Ma questo suo aperto ricordo, questa restituzione del suo volto a noi tutti, fa di lui una incarnazione di tutti i militanti indigeni caduti durante la lotta per la libertà. Anche qualcosa di più di un nuovo Marcos.
Il sacrificio del Sup non è quello di un leader, ma la fine indolore che inganna sia la morte sia i pregiudizi del comando, e rivela che l'autorità è solamente un fantoccio da svellere tramite la volontà e la ragione.

Valerio Morosi


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